SETTEMBRE AL BORGO E’ RIBELLE – LA GALLERIA FOTOGRAFICA

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foto di Gianfranco Carozza

La 45esima edizione di settembre al borgo ha un’anima ribelle, però nel segno della tradizione, parola che deriva dal verbo latino “tradere”, composto dalla preposizione trans, che significa oltre, e dal verbo dare, consegnare. La tradizione quindi è l’atto di trasmettere oltre quanto di più prezioso abbiamo. E Teresa De Sio ha saputo ben farlo.

“Brigante è oggi chi pensa il mondo con la propria testa, così come lo sente e non secondo gli schemi preconfezionati da televisioni, giornali e anche da internet”, racconta la brigantessa della musica italiana che scalda il pubblico di piazza Vescovado, inizialmente un pò ingessato, nella serata inaugurale del 2 settembre. “Propongo e cerco di diffondere – mi dice la De Sio – un brigantaggio intellettuale, il cui padre fu Pier Paolo Pasolini”. Proprio il poeta corsaro, ribelle alla sua natura di borghese, fu uno dei primi a scoprire la bellezza e intatta purezza di scorci di Casertavecchia, girandovi alcune scene del Decameron, uno dei film della trilogia dell vita.

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foto di Gianfranco Carozza

La De Sio, con passionalità e visceralità di donna del sud, canta “Brigantessa”, “Aum Aum”, “Voglia e turna’” e poi le canzoni di Pino Daniele. Racconta la perplessità espressa da chi la conosce quando annunciò di voler interpretare i pezzi di Daniele e la risposta ribelle che diede: “sì, lo faccio, perché “Je so’ pazz”. E così partono le note del celebre brano che fa cantare la piazza. Il concerto, bagnato in chiusura da qualche tenera goccia di pioggia, termina con la brigantessa che sventola una bandiera dallo sfondo giallo e con un sole rosso al centro, che scopro essere stata ideata da lei stessa, quale vessillo del Sud. A testimonianza dell’amore che nutre per la nostra terra, depredata, secondo lei, dall’esericito e governo sabaudo e la cui vera storia, dall’unità d’Italia in poi, non è stata mai raccontata.

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foto di Gianfranco Carozza

Così come dimenticata è la storia di Siffridina, contessa di Caserta e consuocera di Federico II, che con l’arrivo dei D’Angiò rimase fedele alla casata sveva e fu per questo imprigionata a pane e acqua nel castello di Trani, in Puglia. La ribellione di questa donna fiera e austera rivive nello spettacolo/intervista impossibile: “Siffridina: parole ribelli”, scritto da Francesca Nardi, interpretato da Maria Angela Robustelli Tavassi, Angelica Greco, per la regia di Rino Della Corte, che hanno regalato forti emozioni e fatto venire i brividi alle persone che hanno gremito la cattedrale domenica 3 settembre. La storia della contessa è un monito a non essere stranieri a sè stessi e alle proprie radici, a non chinarsi al potere dominante, a liberarsi da tranquillizzanti ma false verità, a schierarsi con coraggio da una parte e a librarsi verso sè stessi.

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foto di Gianfranco Carozza

Come è successo magicamente a Maria Pia D’Antuono, giovane voce del gruppo Taranterrae, che mi racconta che la musica popolare ha rappresentato nella sua vita una rottura dei limiti, una liberazione dai freni e la spinta decisiva per cambiare sè stessa.

Il ribelle, infatti, non ha paura di cambiare. “A un certo punto della mia carriera ero stanco di fare sempre Finardi, quello di “Musica ribelle”, “extraterrestre”. Volevo fare altro”, confessa il cantautore milanese al pubblico accorso a sentirlo nella serata del 3 settembre e rimasto per almeno un paio di minuti, prima dell’ingresso dell’artista, in un religioso e poetico silenzio, annunciatore del clima intimista che sarebbe di lì a poco seguito. “Grazie a Marco Poeta, virtuoso della chitarra che Finardi chiama con sè sul palco, e Francesco Di Giacomo (voce del Banco del mutuo soccorso ndr) ho fatto un disco di fado, poi mi sono dato al blues e ho realizzato perfino un disco di musica sacra, pur essendo un non credente praticante. Mi sono sentito libero come una donna abusata che si riapre alla vita”.

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foto di Gianfranco Carozza

Ribelle è chi non smette mai di credere nei propri sogni. Prima di cantare il brano “Non diventare grande mai”, il cantautore dice di interpretarlo ancora con le stesse emozioni di quarant’anni fa, perché i sogni, i principi e gli ideali che lo animavano quando era ventenne sono rimasti intatti. Penso allora a Rosa, una donna che ho intervistato poco prima dell’inizio del concerto e mi ha detto di sentirsi ribelle perché, nonostante le delusioni della sua vita, non smette di cercare di realizzare i suoi sogni, mentre nell’aria freschetta del borgo risuonano i versi: “continua a giocare a sognare a lottare/ non t’accontentare di seguire le stanche regole del branco/ ma continua a scegliere in ogni momento”.

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foto di Gianfranco Carozza

“Essere ribelli non vuol dire strepitare o fare casino, ma significa guardare la realtà e cercare di essere rilevanti, di incidere sulle cose che non ci piacciono per cambiarle”, sostiene Finardi. “Tanta della musica che si produce oggi mira, invece, solo a far scappare, come una droga, dalla realtà e da sè stessi, anestetizzando le coscienze. La musica è ribelle quando è testimonianza di ciò che accade nella nostra vita privata e nel mondo”. “Leonard Cohen era ribelle anche quando scriveva brani intimisti e d’amore”. Come “Hallelujah”, una di quelle canzoni che toccano il cuore e interpretata da Finardi sul palco di Caserta

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foto di Gianfranco Carozza

vecchia. “In realtà – racconta il cantautore – non è un brano sul divino, ma sul senso della musica e sulla sua sacralità. La musica è un linguaggio assoluto: con le note i musicisti possono parlarsi anche senza conoscersi e Cohen, nel testo, contrappone proprio questa perfezione, fatta di rapporti esatti e matematici con la soggettività e la relatività dell’amore, governato da leggi imperscrutabili”. Il testo del celebre brano, apprezzabile solo in lingua inglese, contiene allusioni e riferimenti erotici ma anche sentimenti contrastanti di sottomissione e ribellione. In un’intervista Cohen dichiarò che “questo mondo è pieno di conflitti e di cose che non possono essere unite ma ci sono momenti nei quali possiamo trascendere il sistema dualistico e riunirci ed abbracciare tutto il disordine. Questo è quello che io intendo per alleluia [….].È un desiderio di affermazione della vita, non in un qualche significato religioso formale, ma con entusiasmo ed emozione…”. Essere ribelli è forse anche cercare questo.

a cura di Francesco Capo

Il reportage fotografico a cura di Gianfranco Carozza

https://www.flickr.com/photos/gianfrancocarozzareporter/albums/72157688564635815