Benvenuti nell’incubo visionario di Park Chan-wook. Il tema fondamentale della pellicola del regista coreano è la vendetta, che oltretutto è presente più di una volta nella sua filmografia (“Mr Vendetta” (2002), “Lady Vendetta” (2005). In “Old boy” però, c’è tanto altro. Dae-su è un uomo comune con una moglie e una figlia piccola che viene improvvisamente rapito e scagionato solo dopo quindici anni: un tempo infinito trascorso a covare odio nei confronti dello sconosciuto aguzzino e a progettare un modo brutale per vendicarsi. Park Chan-wook non ha nulla da invidiare, quanto a suspense e tensione, ad altri generi cinematografici. “Old boy” è una pellicola
complessa che tra violenza e atrocità, nasconde risvolti psicologici. Il racconto è crudo e molto violento, ma diverso da altri stili, come quello di Quentin Tarantino ad esempio (più volte ritenuto eccessivamente “violento” nelle sue pellicole), che ha insignito il regista coreano del Gran Premio della giuria da lui presieduta a Cannes. Dae-su nasconde un segreto e l’affannosa ricerca della verità coinvolge particolarmente lo spettatore, a volte disorientandolo e confondendolo, ma riuscendo a tenere sempre l’attenzione al massimo.
“Come una gazzella che fugge dall’occhio del cacciatore, come un uccello che si libera dalla trappola o dalla gabbia, libera te stesso”, dice Dae-su in una scena del film. È come se dovesse trovare un modo per darsi pace, per liberare se stesso da tutti i dubbi e i traumi che lo tormentano. Sembra molto pericoloso però arrivare a svelare il mistero e addentrarsi in un mondo dominato da violenza e follia, dove persino l’amore è sbagliato. La sensazione che si avverte vedendo la pellicola è un senso di claustrofobia molto forte che genera un desiderio incontrollabile di scappare, respirare, vivere. L’angoscia è tangibile, sembra di essere in un incubo. Il regista coreano però, sa anche come stupire e non risultare banale, sfruttando diversi meccanismi psicologici, come l’ipnosi e l’allucinazione.
“Se ridi, tutto il mondo riderà con te; se piangi, piangerai da solo” : questa massima viene ripetuta più volte e riesce a sintetizzare a pieno il senso dell’opera di Park Chan-wook. Dae-su è un uomo solo e tormentato, che non riesce a fare i conti con se stesso e la propria coscienza, cerca affannosamente la verità, per poi arrivare a scoprirla e ad avvertire un dolore ancora più forte. In realtà la vendetta è qualcosa che in sé per sé non ha alcun senso, che non riporta in vita persone che non ci sono più, che non allevia le sofferenze, eppure non si può evitare: chi si vendica, infatti, è consapevole del fatto che la sua vendetta non porterà a nulla, ma allo stesso tempo non può smettere. Dal punto di vista psicologico,
è un tema molto interessante, e il regista coreano se ne serve per mostrare che oltre al sangue e alla sofferenza fisica c’è altro. Non c’è però spazio per la redenzione, Park Chan-wook ha voluto chiudere la sua opera in un modo che suggerisce speranza, ma è solo un’ipotesi, “Old boy” non si conclude con una liberazione, ma è una pellicola maledettamente credibile e struggente. Immancabile ovviamente il remake americano diretto da Spike Lee del 2013.
Mariantonietta Losanno