di Alfredo Grado*
La polemica sull’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, indicata comunemente come “emergenza immigrazione” ci riporta ad una realtà che proviamo a comprendere da tempo. Cercando informazioni che non sono mai in unico posto, leggendo report e circolari, interpellando esperti e rappresentanti di enti pubblici e privati. Risultato: ancor prima di comprendere il fenomeno ci si rende conto che probabilmente non abbiamo inteso il funzionamento del sistema di accoglienza in Italia rispetto a come, invece, dovrebbe funzionare. Sulla carta, infatti, il sistema di accoglienza dovrebbe operare su due livelli: prima accoglienza, che comprende gli hotspot e i centri di prima accoglienza, e seconda accoglienza, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, meglio conosciuto come SPRAR. Teoricamente, quindi, la prima accoglienza dovrebbe servire a garantire ai migranti un primo soccorso, a procedere con la loro identificazione, ad avviare le procedure per la domanda di asilo. Fatto questo, i richiedenti asilo dovrebbero essere assegnati ai progetti SPRAR, (seconda accoglienza), fiore all’occhiello del sistema, un programma che riesce a garantire un processo di integrazione nei territori a 360 gradi, che va ben oltre il vitto e l’alloggio.
Nella pratica, invece, a causa del numero crescente di arrivi via mare in Italia di persone che fanno domanda di asilo, entrando quindi nel sistema di accoglienza, i beneficiari sono aumentati a dismisura. Per cui, al fine di garantire una reale accoglienza e integrazione nel territorio, c’è bisogno dell’adesione dei comuni, ovvero che questi ultimi diano la loro disponibilità a gestire un progetto di accoglienza sul proprio territorio. Ma questo non avviene, tranne per pochissime eccezioni, per motivi di ordine pubblico, politico o meramente organizzativo. Risultato, nella stragrande maggioranza dei casi la gestione dell’accoglienza viene affidata a soggetti privati i quali, dopo aver partecipato a un bando della prefettura, si mettono a disposizione: dagli albergatori ai ristoratori, fino ai proprietari di casolari e alle cooperative. Solo una minima parte viene ospitato in un centro gestito dal ministero dell’Interno attraverso il servizio centrale Sprar e affidato (sempre tramite bando) all’ente locale. 35 euro al giorno pro capite pro die per ogni richiedente asilo, una spesa pari a oltre un miliardo di euro l’anno, che è diventato un affare dei privati. E che ci viene da pensare essere voluto, giacché i costi sostenuti dalla pubblica amministrazione per l’utenza immigrata (sanità, scuola, abitazioni, giustizia e così via) siano ampiamente compensati dalle tasse pagate e dai contributi versati dagli stessi lavoratori stranieri. Se cosi fosse, non dobbiamo stupirci di fronte ad alcun sistema criminale che lucra sulle assegnazioni dei migranti, sul sovraffollamento dei centri, sulla falsa attestazione di presenze degli ospiti, con la connivenza di alcuni enti pubblici o dipendenti. Ma tutto questo potrebbe aiutarci a sollevare il velo sulle “relazioni pericolose” tra Ong e traffico di migranti. E già, perché se cosi non fosse, dovremmo capire da soli, fino a fantasticare, come mai in questi mesi alcuni soggetti delle Ong sapevano perfettamente luogo, ora e mare dove intervenire per i salvataggi; e come mai, in qualche occasione, hanno addirittura bypassato la centrale operativa della Guardia Costiera. E’ facile pensare di essere di fronte ad un sistema che prevede il salvataggio prima e l’accoglienza poi, ma le cose più semplici sono spesso quelle più plausibili, anche perché l’essere umano tenta di cercare sempre spiegazioni complesse, distanti, dimenticando che nella stragrande maggioranza di casi sono a portata di mano. Ma ad avvalorare questa ipotesi è lo stesso procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, secondo il quale “a partire dal settembre-ottobre del 2016, è stato registrato un improvviso proliferare di unità navali appartenenti a ONG, che hanno fatto il lavoro che prima gli organizzatori (ndr cioè i trafficanti) svolgevano, cioè quello di accompagnare fino al nostro territorio i barconi dei migranti”.
La domanda a questo punto sorge spontanea, ed in un certo senso la riproponiamo: chi c’è dietro tutte queste associazioni umanitarie che sono proliferate in questi ultimi anni, da dove vengono tutti questi soldi che hanno a disposizione e soprattutto che gioco fanno?