di Edgardo Ursomando
La casa dovrebbe essere il rifugio sicuro per la famiglia, un diritto sacrosanto, il minimo inderogabile per permettere una condizione di vita dignitosa. La gestione dell’edilizia popolare ha fallito, e purtroppo spesso sono le persone perbene a pagare per l’inciviltà di pochi. La prassi dell’occupazione abusiva, il non rispetto delle assegnazioni, la penuria di alloggi popolari e la farsa dell’housing sociale, sono esperienze negative ormai consolidate su tutto il territorio nazionale, e i fatti che le raccontano sono oggetto di servizi e dossier giornalistici, ma hanno anche ispirato film o pièce teatrali che aprono uno squarcio sulla cruda realtà, a volte strappando anche qualche amara risata. Sì, perché per chi ha un tetto sicuro, certe problematiche pur se evidenziate dai media, le accantona subito, le dimentica, non per cattiveria, ma perché tutti viviamo solo per noi e basta che si ritorni alla routine quotidiana per resettare tutto, ci devi sbattere il grugno, toccare con mano, guardare negli occhi una ragazzina di quattordici anni che con dignità ti guarda e ti sorride, raccontandoti come gli piove in casa. Eppure ci sono enti e uffici preposti alla gestione del patrimonio casa, ma che continuano a mettere in atto la politica dello struzzo, infilando la testa nel primo buco utile per far finta di non vedere, di non conoscere … rifuggendo troppo spesso dalle proprie responsabilità. Responsabilità dalle quali però non si può scappare, perché certificate da denunce, interrogazioni, attestazioni e documenti, … perché tutti sanno … lo sa polizia municipale, come l’ufficio tecnico e i vigili del fuoco … e forse sarà arrivato anche all’orecchio della magistratura, ma ancora nulla si muove, si continua ad aspettare l’imponderabile. E’ vero, la storia che sto per raccontarvi fu già da me denunciata qualche anno fa, era il 2011 quando chiamato da un gruppo di inquilini del Parco Schiavone, verificai personalmente lo stato di degrado dello stabile di proprietà comunale adibito a edilizia popolare, denunciai, basta fare un rapido giro sul web per documentarsi su quello che mi trovai davanti, le condizioni erano disastrose, al limite della decenza (in realtà il limite era ampiamente superato), ma mi trovai di fronte a delle donne, determinate, battagliere, che chiedevano solamente di poter vivere decorosamente e che finalmente qualcuno prendesse provvedimenti verso chi continuava a utilizzare il loro palazzo come una discarica. Le perdite d’acqua costanti, i numerosi incendi e la presenza massiccia di rifiuti hanno minato nel tempo anche la staticità dell’edificio. Ma come si è arrivati a questo punto, è possibile che nessuno sapesse? Che nessuno si accorgesse di continui atti vandalici? Che nessuno verificasse? Eppure stiamo parlando di una proprietà comunale, si tratta pur sempre dei soldi dei casertani! Chi abita in quella struttura non è sconosciuto agli uffici comunali, alcuni risultano affidatari, altri sono occupanti autodenunciati, per altri invece non è dato sapere; ma per l’ufficio anagrafe tutti risultano residenti in via E. Mele Centurano Caserta, presso il Parco Schiavone. Molti di loro pagano regolarmente il canone d’affitto e cercano di condurre una vita normale e degna, vergognandosi dello stato di abbandono in cui sono stati relegati, dimenticati dalle istituzioni e nella speranza di poter finalmente fare quel salto di qualità che gli permetta di poter dire con orgoglio “Io abito qui, questa è casa mia”. Intanto, i calcinacci continuano a cadere, l’acqua percola copiosa dal soffitto e le muffe che ricoprono le pareti di casa, non rendono certo salubre l’ambiente per chi ci abita, e purtroppo spesso chi ci abita deve anche combattere con qualche patologia invalidante che può solo peggiorare in quel contesto. Sì, certo, ci furono all’epoca le mie interrogazioni, che portarono come risultato solo una modesta “lavata di faccia” dello stabile, ma da allora le cose sono peggiorate, una serie di controlli e interventi dei vigili del fuoco, così come dei tecnici comunali, sollecitati dalle denunce dei residenti e dei vicini che si affacciano su quello scenario disgustoso, hanno di fatto appurato che la staticità dell’intero immobile risulterebbe compromessa. Un’altra tegola pronta a cadere in testa agli sfortunati residenti di Parco Schiavone, che adesso vivono con lo spauracchio dello sfratto a tutela della pubblica incolumità. L’eventuale sfratto potrebbe essere la soluzione per sanare una annosa situazione, che in futuro potrebbe solo procurare problemi, e che si è incancrenita per l’indolenza e l’inadempienza di qualche ufficio, eh sì perché se Parco Schiavone è stato ridotto in nell’attuale stato di rovina, sarà sicuramente stata colpa anche di qualche incivile, ma anche di chi non ha vigilato con diligenza sul patrimonio della comunità. La spada di Damocle dello sfratto adesso pende sulla testa di questi malcapitati, che si potrebbero ritrovare nella triste condizione, qualora questo si verificasse, di essere cacciati dalla propria casa senza la garanzia di una soluzione alternativa che gli permetta di avere un tetto sulla testa. Non sono più consigliere comunale, ma non per questo mi sottraggo alle richieste di aiuto di chi è in difficoltà, e se posso amplificare la voce di chi voce non ne ha più, allora lo faccio con piacere.
Per questo motivo mi rivolgo a Lei, Signor Sindaco di Caserta Avv. Carlo Marino, perché sono sicuro che come all’epoca condivise gli interventi politici dai banchi dell’opposizione su Parco Schiavone e Parco Primavera, oggi non potrà fare a meno di prendere a cuore la penosa condizione di questi nostri concittadini.