Caserta che non si vergogna.
Caserta che ormai ha fatto l’abitudine a essere denigrata dalle guide turistiche, così come dallo Sgarbi di turno.
Caserta, terra di conquista, saccheggiata, utilizzata, dove tutto passa e niente resta, dove chi arriva fa fortuna, mangia, strafoga, lascia il desco sporco e se ne va!
Caserta, città borghese, fatta di facciate dove dietro c’è il niente mischiato con il nulla, costruita sull’apparenza, disinnamorata delle proprie radici e della sua storia.
Caserta è un po’ come quelle belle case borghesi, dove tutto sembra pulito e ordinato, e dove invece se inavvertitamente alzi il lembo di un tappeto, non puoi contenere lo strabordare di tutto il lordume, la monnezza, che nel tempo le casalinghe disperate, ma così attente alla messa in piega, hanno sapientemente nascosto a botte di colpi di scopa, magari ricordando il vecchio adagio delle loro mamme “ fa’ solo quello che vede la suocera”, che è un poco quello che ha fatto la politica casertana rispetto alle questioni ambientali.
Così come gli struzzi, i casertani hanno vissuto mettendo la loro testa nella sabbia dell’omertà, nascondendosi dietro una fasulla tranquillità, una serena, ma altrettanto assassina, vita da città di provincia.
Quando potevano scegliere lo hanno fatto sull’onda della speranza del posto di lavoro per il figlioletto, o per l’esame universitario della discoletta di famiglia, se non per la corsia preferenziale per una visita medica, magari semplicemente per un po’di soldi o un buono di benzina.
Se poi in questa città si rileva una importante incidenza delle malattie neoplastiche, la notizia passa in secondo piano, fino a quando non ti tocca personalmente, e allora ci si sveglia … solo allora, purtroppo.
Che i pozzi fossero contaminati era una notizia vecchia, che esistesse la “piscina rossa” pure, che la Saint Gobain non adottasse le opportune cautele per lo smaltimento delle scorie di lavorazione, era un sospetto che purtroppo si sta accreditando sempre di più.
Sono oltre 10 anni che si sa, ma fidatevi che questa realtà è nota da molto più tempo, che tutta l’area vasta, quella compresa tra i tenimenti su cui insisteva la Saint Gobain fino ad arrivare alle contigue cave di tufo, trasformate in discariche negli anni 80, che si trovano nella zona di Lo Uttaro, e perché no … arriverei fino al nuovo disastro ambientale del Foro Boario di Maddaloni, è considerevolmente compromessa nelle sue matrici ambientali è cosa certa e tristemente nota, tanto che alcuni appezzamenti hanno meritato la denominazione di siti di interesse nazionale, tanto erano, anzi sono inquinati.
Perciò, si è pensato bene di coprire tutto con una bella cementificazione.
Riqualificazione, questo è il termine utilizzato per “apparare” il guaio, verbo che utilizzo volutamente perché la volontà era quella di apparare, nascondere, attraverso una scenografia, la schifezza che c’era sotto.
Né più e né meno di quello che si faceva buttando la monnezza sotto il tappeto.
Quindi, c’è stata la “riqualificazione” attraverso l’intervento dei costruttori nell’area Saint Gobain, e quella della meravigliosa cattedrale nel deserto del Mattatoio Comunale, che a più riprese viene riproposto come sede di un impianto per lo smaltimento dei rifiuti.
Anche perché, se sulla monnezza ci butti altra monnezza, alla fine come fai a riconoscerne la paternità?
Intanto, i pozzi sono contaminati dall’arsenico e non solo, e l’acqua degli stessi viene emunta e utilizzata per irrigare i campi coltivati del circondario, e magari alla stessa fonte si abbeverano i greggi di pecore che stazionano nei pochi terreni incolti.
Arrivati a questo punto basterebbe fare di necessità virtù, insomma diversificare e magari cominciare a proporre il friariello all’arsenico, la fava al manganese o il pecorino al cadmio … roba da fare invidia ai pastori sardi.
Eppure, qualcuno ci aveva provato a far luce sullo scempio, proponendo una mappatura sulla qualità delle matrici ambientali dei terreni agricoli che insistono nel Comune di Caserta, partendo proprio da quelli più compromessi, come quelli vicini all’area di Lo Uttaro.
La volontà era quella di fare chiarezza sui prodotti agroalimentari coltivati e orientare correttamente le future politiche di tutela del territorio, e su proposta del consigliere comunale Edgardo Ursomando, proprio nel 2014 il Comune di Caserta stipula un protocollo di intesa con il DISTABIF della SUN, attraverso il quale si sarebbe dovuto avviare un monitoraggio ambientale sui suoli agricoli in zona Lo Uttaro fino ad arrivare a quelli della fascia pedemontana in zona San Clemente, questo per valutarne la qualità sotto il profilo ambientale, eventuali contaminazioni del terreno e dei prodotti agroalimentari ivi coltivati. Dai risultati ottenuti e dalla relativa mappatura, si sarebbe poi passati alla conversione dei fondi compromessi verso coltivazioni no food, magari di essenze con capacità fitodepuratrici. Purtroppo, per poche decine di migliaia di euro, il progetto non andò in porto, e rimane solo l’amaro in bocca …speriamo solo che non sia l’arsenico.
C’è speranza per Caserta? …Si , c’è speranza non perdendo completamente la memoria col coraggio di fare proprie le denunce altrui senza pensare all’interesse elettorale . C’è speranza di smuovere l’acqua ristagnante; c’è speranza di alzare i tappeti ripulendoli dalla polvere nascosta da troppo tempo. C’è speranza di recuperare la dignità perduta per costruire una nuova strada dignitosa e sicura. C’è speranza ricostruendo da certosini il nuovo percorso di REDENZIONE. Si, non può perdersi la SPERANZA a credere nel FUTURO……..C’E’ SPERANZA.
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