AMARE E’ ASPETTARE? DI UN ULISSE E DI UNA PENEPOLE

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a cura di Dalia Coronato

Lui assente. Lei aspetta. Lui viaggia. Lei resta. Dal libro di Marilena Lucente, Roberto Solofria nel ruolo di Ulisse e Ilaria Delli Paoli nel ruolo di Penelope, mettono in scena “Di un Ulisse, di una Penelope” al Nuovo teatro Sanità di Napoli.

L’attesa è un tempo che scorre lentamente, è acqua che striscia silenziosa, che filtra tra le crepe, che si insinua tra il buio di ferite mai chiuse e cova. E’ sospensione che porta a volte rancore, a volte speranza. “E’ più facile conoscersi o riconoscersi?”, ripete Ulisse in viaggio verso Itaca, verso casa. Vent’anni di tempesta, vent’anni di guerre, di principesse salvate, di guerrieri sconfitti, di sirene sedotte; vent’anni di solitudine, venti anni e un seme diventa un albero, un neonato diventa uomo, una bambina diventa donna”, sussurra Penelope.

La scena dominata dal colore passione si spegne nel sangue sciolto lungo la riva degli addii, lungo il mare del dio mortale, disegnando una scenografia – realizzata dal giovane architetto Antonio Buonocore – che si sviluppa attraverso i sensi dello spettatore. La struttura cubica presente sul palcoscenico si intreccia con le scene immaginate dagli ascoltatori, come le battaglie tra Ulisse e i Proci, mentre l’acqua fa da quarta dimensione e genera sensibilità nell’ascolto di un destino interrotto. “Come dici? Che tutto qui è diverso? E che vuol dire? Tutto cambia. Io stesso sono cambiato, eppure. Ho lo stesso nome, gli stessi occhi, le stesse mani”.

Ulisse arrivato a Itaca, finge di essere un viandante che porta notizie alla regina. “Una casa è l’odore di quella casa”, ripete ad alta voce l’eroe acheo, parlando in un napoletano contaminato dall’avventura, mentre i Proci occupano il palazzo e la mente di Penelope. “A uno come Ulisse piacciono le sfide, sopratutto in amore”, ma la regina abbandonata subisce più una scomparsa che una partenza.

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Roberto Solofria e Ilaria Delli Paoli In “Di un Ulisse, di Una Penelope”. Foto di Giulia Pizzuti.

Una moglie vedova, una donna separata, una regina senza regno, Penelope si aggira tra le stanze di un palazzo deserto, subendo abbracci vuoti e l’arroganza di un rimpatrio. La donna trascurata per venti anni sente di essere cambiata, sente che quella tela non è più sua. L’uomo desidera trovare la certezza al suo ritorno, un rifugio accogliente, un pasto caldo, una tenerezza ospitale, senza fare i conti con il tempo. La metamorfosi di Penelope accompagna la composizione musicale – realizzata direttamente sulla scena da Paky di Maio – mentre la ragione lotta contro il sentimento. Ulisse sa di non poter portare bagagli ideali con sé, questi appartengono alla terra ferma così come solo i sogni aspirano velocemente le notti marine. Penelope innamorata sa che Ulisse viaggerà ancora, che la lascerà, ancora. E’ una sorte segnata dalla lontananza, quella di un Ulisse e di una Penelope, una solitudine che erige difese, che divide, che sospende, un sentimento senza intesa che interrompe e si rompe.