“PAROLE D’AMORE SCRITTE IERI”

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   –   di Elvio Accardo –                   POESIE DAMORE PAROLE DAMORE SCRITTE IERI  PREFAZIONE DELLA PREFAZIONE

Scrivere una prefazione, o un commento a una raccolta di poesie, è un compito che si affida ad altri, critici, letterati, poeti di fama, titolati di prestigio, ma mai l’autore stesso si scrive da se anche la presentazione, o una sorta di introduzione dotta a quanto ha prodotto in versi, sarebbe come suonarsi e cantarsi una canzone da soli e poi applaudire pure.

Io, infatti, non ci penso nemmeno a scrivermi la prefazione, intendo invece scrivere una prefazione della prefazione, una operazione curiosa, che ho dovuto inventare per avere la possibilità di raccontare esattamente i fatti e la catena di casualità che hanno determinato la mia decisione di chiedere a Don Salvatore Sepe, eccellente pasticciere della omonima pasticceria di piazzetta d’Amore n°15, di scrivere lui la prefazione alla raccolta delle mie poesie, intitolata “Parole d’amore scritte ieri”.

Piazzetta d’Amore è quella piazza dietro la chiesa del Santo Rosario, dove sbuca via Re d’Italia, dove abito io al terzo piano del n° 36.

È poca la distanza con la pasticceria di Don Salvatore e, se non fosse per quella panchina sul marciapiede che costringe la gente a scendere sulla via, manderei mio nipote Silvio che ha nove anni a casa di Don Salvatore più spesso, dove l’aspetta la sua compagna di classe e di banco, Rita, per giocare o fare i compiti. Rita è la nipote del pasticciere e abita in piazza sopra alla pasticceria, al secondo piano, e passa gran parte del pomeriggio dalla nonna, donna Rosalina, moglie di Don Salvatore, al primo piano, dove aspetta i genitori che rientrano da lavoro.

Preferisco che Rita venga a casa mia nelle ore pomeridiane a studiare e giocare con Silvio, che poi è il figlio del mio primogenito.

Qualche tempo fa avevo preparato in alcune cartelline, le fotocopie delle mie poesie scelte per una eventuale pubblicazione. I ragazzi hanno studiato un po’, poi li sentivo parlare e ridere, che meraviglia i bambini che ridono, ti regalano gioia anche da lontano. Poi è arrivata la mamma di Rita, erano già le diciassette e doveva tornare a casa. Non mi sono proprio accorto che tra i libri e le altre cose, Rita aveva la cartellina delle poesie.

Dopo qualche giorno, ritornando da una mia passeggiata, infilata nella cassetta delle lettere, tutta piegata, c’era la cartellina che Rita aveva portato con sé.

La tiro fuori un po’ lacerata, e dentro c’era un biglietto che diceva così: “Egregio professore, ho trovato questa cartellina sul divano di casa mia, mia moglie Rosalina mi ha detto che l’aveva Rita, e che sicuramente era vostra, anche perché c’era scritto il vostro nome. Vogliate scusare la bambina, ma l’ha presa inavvertitamente. Perdonate se ho sfogliato le vostre poesie, e le ho lette pure, proprio l’altra sera. Abbiate pazienza, i bambini sono un po’ disordinati.

                                                                       Vostro, Sepe Salvatore”.

Con la cartellina sotto braccio sono andato in pasticceria, volevo ringraziare Don Salvatore, e dirgli che non me n’ero accorto. Entro e dietro al banco di cristallo, lungo almeno 5 metri, decine di vassoi pieni di tutto il ben di dio della pasticceria, un profumo inebriante e Don Salvatore che salutava una signora, a cui aveva consegnato una guantiera piena di dolci appena comprata e che manteneva come si mantiene uno scrigno d’ebano pieno di gioielli.

Ci salutiamo e lo ringrazio, lui dice che era suo dovere, poi con un sorriso che risaltava come una fetta di cocomero, mi invita ad entrare nel Sancta Sanctorum del suo laboratorio, sul retro della pasticceria. Dentro mi chiede di gustare un piccolo babà, e poi mi dice che dovevo perdonarlo, perché aveva letto le poesie senza il mio permesso. Gli spiego che non era un problema, anzi m’aveva fatto piacere perché le avevo scritte per farle leggere a chiunque voleva concedere la sua attenzione a parole e pensieri scritti da me. La risposta di Don Salvatore mi lasciò di sasso, il resto del babà che avevo in mano colò la sua anima di rum sulla mia giacca, quando mi disse, senza neanche una esitazione: “Professore, quasi quasi non ho capito niente, ma mi sono piaciute lo stesso tantissimo.”

Lo guardai perplesso, non sapevo cosa rispondere, fu lui a risolvere la mia crisi d’identità, dicendo “Professore, il rum vi sta colando sulla giacca, non vi preoccupate ci penso io.” Prese una spugna dal lavandino bagnata sotto un filo d’acqua e cominciò a strofinarmi il risvolto della giacca. Mentre spugnava il davanti del mio doppiopetto aggiunse: “meno male però che l’altra mattina ho accompagnato Rita a scuola, alla quale ho detto che non doveva più toccare le vostre poesie, lei mi ha risposto che erano bellissime e che le aveva lette insieme a Silvio vostro nipote. Poi le ho detto che non erano cose per bambini, e se pure le leggeva, cosa ne avrebbe capito? Lei mi ha risposto che le capiva benissimo, anzi erano come dei film, e allora le ho detto,” Rita, perché oggi non mi spieghi cosa hai capito?.”

Così ieri pomeriggio si è messa sul letto vicino a me e mi ha svelato il segreto. E così le vostre poesie mi sono piaciute tanto, ma che dico, tantissimo. Complimenti professore.”

Rimasi pensieroso, e dedicai qualche attimo a riassettarmi la giacca grigia con una nera e grossa macchia d’acqua sul bavero, giusto per prendere tempo, poi dissi: “Don Salvatore sarei curioso e lieto, ve lo dico col cuore, perché non mi scrivete il segreto che Rita vi ha svelato su dei fogli di carta, così posso arricchire la raccolta con una introduzione vostra, ispirata da vostra nipote Rita? Don Salvatore, volete scrivere la prefazione a queste poesie? Questa casualità mi sembra bene augurante, scrivete quello che più vi piace sulle poesie che avete letto, ne sarò onorato.”

“Professore ma che dite, io dovrei scrivere e presentare le vostre poesie? Ma vi sentite bene? Io ho fatto fino alla terza ragioneria, poi ho lavorato in pasticceria sempre, prima con mio padre e poi da solo con Rosalina. Mio figlio non ne ha mai voluto sapere, però è diplomato ragioniere e tiene la contabilità del supermercato sulla via del cimitero, la Conad, lo sapete, no?! Io vi ringrazio per la fiducia ma non tengo laurea, diploma, farei una brutta figura.”

“No Don Salvatore, nella vita il ruolo più importante lo gioca il caso, questo lo so, è poca cosa, ma è certa. Senza questa possibilità imprevedibile, senza questa combinazione di eventi misteriosi e straordinari, tutta la nostra esistenza sarebbe piatta, scialba, senza colore. Io ho raccolto le fotocopie delle mie poesie perché il vento casualmente le ha sparpagliate sul pavimento del mio studio, poi per caso le ho lasciate in sala da pranzo perché suonava il telefono, e ancora per caso i bambini l’hanno trovata quando Rita è venuta da Silvio. Poi, sempre per caso, la cartellina è rimasta tra i libri e le cose di vostra nipote, infine per caso vostra moglie l’ha trovata, e voleva consegnarmela, ma se n’è dimenticato, e voi per caso l’avete trovata sul divano.  Don Salvatore, ma non vi sembra che tutti questi “casi” messi insieme non vogliano dire altro che quello che vi ho detto? Voi non vi dovete preoccupare, scrivete quello che Rita vi ha raccontato, anche quello che vi dirà in seguito.”

Il pasticciere trovava nella logica del discorso una fatalità, un destino disegnato altrove, e dopo un po’ di passi e soste, si voltò e disse: “E va bene, scriverò tutto quello che ha raccontato Rita, però se non vi piace, strappatelo.”

Salutai Don Salvatore e feci per uscire, quando il pasticciere disse: “Professore mi dispiace per la giacca”.  Io alzai la mano sorridendo, in segno di muto saluto e dissi “Allora mi piglio un altro babà.  A presto”.

Due settimane dopo, Rita, prima di andare in sala da pranzo ad incontrare Silvio, intento a giocare a Playstation, mi consegnò una busta. L’aprii e trovai fogli scritti a penna. Sul primo foglio c’era scritto “Prefazione”. Quello che seguiva era lo scritto di Don Salvatore.

  Prefazione

Ho letto più volte le poesie del professore Accardo. È stata una esperienza unica per tutto quanto è capitato, a cominciare da come le ho avute, fino a quando le ho lette e rilette. Grazie a mia nipote Rita, la raccolta “Parole d’amore scritte ieri” è arrivata in casa mia solo per caso, ma forse è meglio dire che è la fatalità che predispone le cose e quindi nulla capita per caso quando c’è una mano sapiente che riesce a mettere insieme gli elementi in dosi giuste e farne così piccoli prodigi compiuti.

La prima volta che ho letto le poesie del professore, confesso di aver capito poco, le parole mi sembravano raccontare luoghi e cose sconosciute, lontane assai, cose mai viste in posti situati chissà dove. Poi ho parlato con Rita, la mia nipotina di nove anni, amica di banco di Silvio, nipote del professor Accardo, e così lei stessa, a starla a sentire, mi ha fatto capire che i segreti nascosti nelle parole d’amore non sono mai tanto segreti per i bambini.

Ho chiesto a Rita se i grandi o i nonni possono capirle nella stessa maniera. Lei mi ha risposto: “Si, anche molto di più, perché i grandi e anche i nonni sono dei bambini cresciuti, e quindi conoscono più cose, ma le vedono con gli occhi dei grandi e non più con gli occhi dei bambini.

Mi ha detto Silvio che suo nonno, il professor Accardo, tiene gli occhi da bambino, perché vede, parla e compra le parole dal “monaco viandante”. Ogni tanto accompagna il nonno ai giardinetti di via Beato Angelico, dove ci stanno i boschetti e le fontane con le panchine, si siede li, e mentre Silvio gioca con i compagni, lui apre un libro e legge, ma in realtà aspetta il “monaco viandante”. Silvio l’ha visto spesso venire verso mezzogiorno: è un monaco piccolo piccolo, e con un sacco sulle spalle si ferma davanti alla panchina e vende le parole al professore”.

“Ma chi?” dico io “il monaco viandante?” “No” risponde Rita “Quello che vende le parole è il “monaco   viatornante”, è sempre lo stesso monaco, piccolo piccolo, con la barba e senza capelli, vecchio e un po’ zoppo, ma si chiama” monaco viandante” solo quando va a comprare le parole, perché lui esce di sera tardi e gira per i paesi, per le vie, per le case, ovunque trova parole da comprare. Silvio dice che compra parole dagli innamorati, dai lavoratori, dai ladri, dai viaggiatori, dagli innamorati che si lasciano, dai bambini che giocano, dalle mamme, dalle zitelle della chiesa, dai ballerini, da chiunque tiene parole da vendere. Non compra mai parole dai bugiardi.

Poi le mette nei sacchetti di plastica trasparente.

Il mattino dopo, quando ritorna, si possono comprare i sacchetti che lui tiene nel sacco, e solo quando lo vedi di mattina si chiama” monaco via tornante”, perché torna dagli acquisti della notte, poi va dai poeti, dagli scrittori, da musicisti, ecc., e mostra i sacchetti, è così il professore compra i sacchetti di parole che gli interessano, e torna a casa con Silvio. Di sera o quando gli piace, svuota i sacchetti sulla scrivania e con la sua fantasia sceglie, dando ai suoi pensieri, alle sue fantasie, alle sue poesie le parole giuste, come facciamo io e Silvio con i soldatini, i cow boys, gli indiani e i mostri di plastica, che inventiamo guerre, storie, lotte e innamoramenti, scegliendo i pupazzetti giusti. Hai capito adesso?”.

Che gioia avere Rita accanto, che racconta le cose sul letto accanto a me mentre dopo pranzo riposo per poi tornare al lavoro.

Adesso penso, scusandomi con i lettori, perché so bene quello che dico, che aprire questo libro di poesie intitolato “Parole d’amore scritte ieri”, proprio per la loro fresca composizione, è come entrare nel laboratorio di una pasticceria, a voi che ve ne importa delle uova fresche conservate nei cestini, della ricotta appena portata dal casaro di campagna, della farina in attesa sul banco d’acciaio, dei forni ancora caldi, l’acqua di fiori d’arancio, l’anice, del miele, dei canditi, dei ruoti lucenti, del cioccolato, del rum, esposti allineati sugli scaffali; a voi basta mangiare un babà, un bignè, un cannolo, saziarvi dei profumi che escono dal forno, i colori delle sfogliatelle, la ricchezza delle torte. Solo dopo, solamente dopo, e non siete tenuti a chiederlo, ne a spiegarvelo, capite, a volte di più a volte di meno, oppure esattamente che non serve a niente conoscere ed analizzare precisamente le quantità e le qualità che compongono quei piccoli tesori, sapete bene che null’altro serve mentre gustate una cassatina.

Solamente i vostri sensi, la vostra capacità di godere della combinazione miracolosa degli ingredienti racchiusi in quella cassatina. Come le poesie lette in queste pagine ci stanno quelle che preferiamo di più o qualcun’altra di meno, ma proprio nessuna ci lascia indifferenti: tutte parlano d’amore.

                                                                 Pasticciere Sepe Salvatore

                                      Post Prefazione

Ogni domenica, vado nella piazzetta di fronte ed entro nella pasticceria di Don Salvatore, compro una guantiera con otto paste assortite scelte da lui, gioia della nostra tavola domenicale, ci sorridiamo, ci salutiamo e pago la metà.

“Parole d’amore scritte ieri”

Otto Cavalli

Otto cavalli spaventati

da una farfalla

senza storia

calpestano la riva del mare,

e la schiuma bianca di sale

non trova ricetto

tra le alghe e i sassi.

Quattro cavalli

spaventati e vinti

dalle boccacce delle rane

ritrovano la via di casa.

Altri quattro

corrono nel buio

di questa notte

che odora di fieno

e di sospiri.

Io solo ricevo

i complimenti

per un combattimento perduto.

Un autista di tram

insegue brevi pensieri

su rotaie lucenti

come madreperla azzurra.

Che grande spettacolo

innamorarsi di te.

 * * * * *

 Il vento caldo

Il vento caldo del mattino

ha una voce tremante

che accorcia i sospiri

delle donne audaci.

Dice parole segrete

che si logorano

al canto isterico

di lucertole azzurre.

E’ difficile dormire

in una notte insonne

per un fachiro

che ascolta il miagolio

delle sue scarpe nuove.

Pesci rossi e neri

veloci e aerodinamici

attraversano i coralli di Bosa

come una città

che non è mai loro,

mentre già

sprofondo nell’inferno tiepido

di una poltrona bianca.

 * * * * *

L’uomo giraffa

Un uomo giraffa esita

davanti alla barba

dura e secca dei marinai,

scrive parole d’acqua,

di fuoco, o d’aria

su pagine di terra bruna.

Parla alitando

bolle prodigiose

di mercurio avaro,

provocando sussulti

nel cuore degli amanti di strada,

anch’io, come affonda,

una radice nella terra,

la mia mano

affondo nel tuo cuore.

 * * * * *

Pasticceria africana

Nella pasticceria africana

sventolano immobili

bandiere e spade

come i silenzi

dei carri fermi.

Seguo, vestito da comico cocchiere,

il panico degli

antichi re d’oltremare.

All’orizzonte

diamanti e cinabri

sfilano in cortei primitivi

per il sostegno

alla festa dei poveri.

Io sorseggio cauto,

in questo pomeriggio intuitivo

delle ricamatrici,

l’elisir di una

pasticceria volubile.

 * * * * * 

La luna bianca

 La luna del mattino,

bianca, incomprensibile

accattona di lodi,

trafitta dal grigio pallido

di anime davanti

a uno specchio,

riflette voci,

più voci, altre ancora,

conserva solo

parole d’amore

scritte ieri

rispecchiando timida

una giostra di denti d’oro

alla porta di Brandeburgo.

Berlino ha la storia

di un’assenza parlante,

come le note acquose e cupe

di un violoncello

bagnato di pioggia,

che tante volte

ha biascicato:

parola d’onore!!