IL REFETTORIO
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Il refettorio aveva le pareti in maiolica che conferivano alla grande sala, illuminata dalla luce che filtrava dalle persiane socchiuse, un’atmosfera che sembrò colorata di azzurro quando padre Leonardo accompagnò gli ospiti in fondo alla sala del refettorio, dove una lunga fila di tavoli scuri disposti a ferro di cavallo erano preparati con corte tovaglie bianche e vasellame bianco. Padre Saverio fece sistemare Rosanna e Amedeo ai lati del priore, mentre gli altri monaci si sedevano silenziosi ai loro posti abituali, e poi si spostò a fianco di Amedeo.
Padre Leonardo, in piedi, cominciò le preghiere di rito con un canto breve e continuò con una preghiera in latino. Tutti i monaci pregarono e cantarono insieme con lui. Alla fine padre Leonardo benedisse il cibo e dispensò il cenacolo dalla regola del silenzio, presentò Rosanna e Amedeo a tutti i commensali e quindi tutti cominciarono a essere serviti da frati che, dalla cucina, velocemente, portarono scodelle fumanti di pasta asciutta. Tutti iniziarono il pasto della festa. Le scodelle di alluminio urtate dalle forchette risuonavano sordo insieme a qualche sedia spostata per caso. C’era eco nella sala, ma a mano a mano, la dispensa del silenzio ebbe il suo effetto e sussurri e voci cominciarono a creare il calore di qualunque convivio. Timidamente, padre Saverio, versò il vino al priore, agli ospiti e poi a se stesso. Padre Leonardo, alzando poi il bicchiere verso Amedeo che lo osservava: “a voi avrebbero potuto portare la pastasciutta nei piatti di porcellana, ma vi hanno portato la scodella di alluminio, come a tutti noi. A questa mensa, il segno della povertà è l’emblema della nostra ricchezza” disse con un sorriso.
Nessuno replicò al priore sull’argomento, ma Amedeo rispose sorridendo a sua volta, e, cambiando discorso, aggiunse: “questo è un convento anche ricco di vocazioni, siete molti, credo, e per me è la prima volta che pranzo in un convento. Qui dentro la pace e la serenità sono il quotidiano, è senza dubbio attraente e molto suggestivo”. Padre Saverio, pulendosi le labbra con il candido salvietto, disse: “oggi siamo più di cinquanta, ma questo è un convento normale, ce ne stanno altri più consistenti da questo punto di vista, ma è anche vero che i conventi sono pochi e quindi, i frati sembrano di più, ma in realtà le vocazioni vanno un po’ diminuendo, come pure le vocazioni dell’ordine clericale.
Il priore continuò: “Cominciamo ad avere presenze di altri paesi, vocazioni tarde; qui abbiamo, come in tanti altri conventi, frati che hanno indossato il saio dopo aver condotto una vita normale di lavoro. Abbiamo frati sposati con figli e uomini raggiunti dalla grazia attraverso vicissitudini tremende, che, lasciando famiglie e beni, fanno vita di penitenza e di preghiera come tutti gli altri, assoggettandosi alle regole del nostro ordine dei frati minori di San Francesco che si arricchisce di esperienze umane e ne fa dono alla vergine della Lobra.”
So che questo convento è molto antico” disse Rosanna “mi pare che fu edificato nel 1500 e che i frati minori di San Francesco si mostrarono forse un po’ più arditi, diciamo così, dei frati minimi di San Francesco di Paola, che furono invitati a costruirlo. Ma, a quei tempi, credo che le coste massesi erano troppo esposte alle incursioni piratesche dei saraceni, e loro si rifiutarono, ma voi, il vostro ordine, invece accettò, anche questo è un segno di ricchezza e di coraggio”. “Vedo che Rosanna conosce la nostra storia”- disse il priore dopo aver posato la forchetta, segno che aveva terminato la sua porzione di pastasciutta- “ma il convento è stato edificato dopo la costruzione della basilica, nel 1583, la basilica invece fu iniziata nel 1528 e finita nel 1570.
Prima, la vecchia cattedrale, stava giù a Fontanella, giù alla marina e prima ancora era un tempio dedicato a Minerva, protettrice dei naviganti. La processione a mare, risale addirittura all’epoca romana; allora, la sacra dea era chiamata “la vergine della Lobra” da de lubrum, tempio, quindi la vergine del tempio. Ma io forse vi annoio, queste cose già le conoscete” disse il priore entusiasta di poter parlare della storia della basilica.
“No, no non ci annoiate, io ho vissuto sempre qui a Massa, ma se dovessi dire di conoscere bene l’origine di questa città, direi una bugia, e credo di interpretare anche i pensieri di Amedeo, il quale non ha mai visto l’interno del complesso”. “È vero, padre, quasi sempre è come dice Rosanna, perché si finisce per conoscere meglio quello che sta lontano piuttosto che quello che ti sta di fronte con il quale condividi magari pezzi di vita. Continuate, quindi, mi affascina la vostra maniera di raccontare”. “Quello che dite è sacrosanto, intervenne padre Saverio sporgendosi sul lungo tavolo mentre aiutava i monaci che raccoglievano le scodelle vuote della pastasciutta. “Io credo che voi alludete anche agli uomini, vero professore Serra? A volte si scopre che chi ha diviso per anni la vostra esistenza, magari amici, o anche persone di cui ci si innamora, un bel giorno si guardano con occhi diversi, e vi sembrano sconosciuti, e da quel momento vi chiedete: ma chi era costui?, io non lo conosco, talvolta, la sorpresa sgomenta, altre volte spaventa, ma quasi sempre è invece interessante. Forse gli uomini, le ultime creature che il Signore ha messo sulla terra non sono perfette, e questo dettaglio in fondo è la parte più interessante per i rapporti umani, rinnovano continuamente le relazioni, consentendoci di fare grandi scoperte, dentro noi stessi e al di fuori di noi” .”Padre Saverio allude alle vocazioni” disse il priore, “lui stesso è stato una vocazione tardiva, solo dieci anni fa è entrato in convento, vi siete accorti che non è italiano?, è brasiliano, di Santos “. “Si, ce ne siamo accorti” rispose Rosanna, “ma voi parlate così bene l’italiano che è difficile capirlo subito”. “Mio padre era di Torre del Greco, emigrò e aprì una pizzeria a Santos, sposò mia madre che è di Rio, poi finirono per commerciare in pietre dure; oggi è rimasta solo lei a Torre, un po’ spaesata, perché mio padre ci ha lasciato l’anno scorso. Io, in pratica, ho parlato l’italiano e il portoghese sempre”. I monaci che servivano a tavola posarono sui tavoli grossi vassoi di ceramica bianchi, pieni di melanzane profumate di cioccolata.
Una vera allegria si percepiva tra i monaci. Cominciarono a servirsi senza tanti complimenti da quei grossi vassoi i quali mostrarono velocemente una decorazione blu posta sul fondo prima nascosta dalle grosse fette di melanzane. Padre Saverio cominciò a servire Rosanna, poi Amedeo e il priore. Pose nel suo piatto tre fette ricoperte di cioccolata. “La melanzana imbottita è quanto di meglio la tradizione è riuscita a fare come pietanza dell’Assunta. Tutti i Massesi mangiano questa pietanza oggi, e da anni ci sta solo una variante: invece di indorare e friggere due fette di melanzane imbottite di mozzarella, qualcuno ripiega una sola fetta su se stessa, farcendola di mozzarella, e poi indorata e fritta, ma nessuno può variare la copertura di cioccolato fondente sciolto e versato sopra”. Così introdusse la pietanza, il priore, raccogliendo sorrisi da ogni commensale che l’udì.
“Padre” disse Amedeo rivolto al priore asciugandosi le labbra, dopo aver assaporato il forte vino rosso servito in caraffe di coccio, “il tempio di Minerva era situato dove sta quella edicola giù alla marina accanto a quella vecchia palma, vero? Ma non rimane più niente di quel tempio?” “Oh sì!, le colonne e il portale sono oggi incorporate nella basilica e ne costituiscono l’ingresso. Professore, voi dovete pensare che la flotta romana stanziatasi a Capo Miseno, ebbe come protettrice la saggia Minerva e per lei costruirono il tempio giù a fontanella, dove sta la spiaggia, e come voi ricordate c’è anche la vecchia palma. Il tempio doveva essere molto grande, perché consentiva di ospitare i marinai che dopo la processione a mare, fatta con barche, portavano offerte e libagioni alla dea e alle divinità costiere che proteggevano la navigazione” “e quali erano le divinità costiere? ” chiese Rosanna con tono provocatorio e scherzoso di chi già conosce la risposta ma vuole creare un attimo di suspense. Infatti Amedeo si girò prima verso di lei, poi verso il priore, con una espressione di attesa, mentre Rosanna, che aveva mangiato solo una parte delle melanzane servite da padre Saverio, si tendeva ad ascoltare il priore. “Ma come, non lo sai ?” Rispose padre Leonardo sorseggiando il vino che, controluce, appariva come il colore dei chicchi del melograno.”Rosanna, qua, in questo mare, e su queste coste, ci stavano le sirene; erano queste le divinità alle quali i naviganti portavano ogni sorta di libagioni e offerte, primo per propiziarsele, secondo per non incappare nei loro incantesimi”. Amedeo era rimasto silenzioso. Cominciò a ripiegare il tovagliolo in tutti i modi e a fare mucchietti con le briciole di pane sulla candida tovaglia. Si rivolse al priore, senza alzare gli occhi dalle briciole di pane: “è per questo che l’isola de “li Galli è detta Sirenuse?” “Sì, ma anche Sorrento, si chiama Syrentum, e molte delle colline sorrentine sono dette Monti Sireniani”- disse padre Leonardo. Rosanna rivolta ad Amedeo disse: “Il territorio di Massa Lubrense è detto: Sirenussai, che è una parola greca, e poi se non erro, qualche tempo fa, è stato ritrovato qui un vaso calcidese del VI secolo, su cui sono raffigurate sirene alate”. “Esatto”, disse padre Saverio, “qui poi c’è stata la più famosa delle sirene, quella che si salvò dallo scempio che le muse fecero di loro, Partenope, quella che raggiunse il golfo di Napoli e che da lei prende il nome”.
Interruppe ogni altro pensiero la voce del priore che annunciava la frittura di pesce. I monaci l’avevano depositato su vassoi caldissimi, tanto che li portarono al tavolo tenendo tra le mani il grembiulone bianco che pendeva dal loro collo.
Poi padre Leonardo continuò dicendo: “via via, la cristianità ne fece un culto della Vergine, trasformando il tempio di fontanella in una Chiesa antica, depredata e distrutta più volte da incursioni Saracene, fino al 1465, anno in cui divenne cattedrale. Pensate che nell’odierna basilica, c’è la parete centrale della vecchia cattedrale, che segò un certo Costanzo Parascandalo, e collocò qui dove oggi la potete vedere con l’immagine originale antica della Vergine che si trovava nella vecchia cattedrale.
Padre Saverio già aveva servito triglie, calamari e gamberi nei piatti; il profumo del pesce sapientemente fritto nella grande cucina accanto al refettorio invase ogni angolo del grande locale, stimolando le narici dei commensali che aggiungevano sale e, qualcuno, qualche schizzo di limone. Tutti erano in silenzio, la frittura di pesce non consente distrazioni né altri pensieri.
“Rosanna, vedo che hai lasciato quasi tutta la frittura. Anche le melanzane non le hai finite, non ti sono piaciute queste pietanze? Il pesce è freschissimo, l’hanno preso i pescatori stamattina verso Mitigliano, e lo hanno donato al convento … è tutta grazia di Dio”. Il tono del priore era dolcissimo, come quello di un amorevole padre che invita la figliola a terminare il piatto.
“Grazie, padre Lorenzo, ma io mangio poco, e vi assicuro che è tutto veramente squisito, e vi garantisco che un cibo così dove vivo non c’è, e non ci sarà neanche in futuro … ma poi ho mangiato tutti i calamari, padre Saverio mi ha fatto una ricca porzione”. “Sì, è vero”- rispose padre Saverio – i calamari sono eccezionali, senza togliere niente ai gamberi e alle triglie … professore Serra, ne gradite ancora? Sono ancora caldi”. “No, no, non ce la faccio, grazie, è tutto buonissimo, ma mi debbo fermare; poi volevo dirvi che avete ragione padre Leonardo, questa è veramente la grazia di Dio, ma solitamente di quello che mangiamo altrove, non sono sicuro che Dio ne sappia qualcosa”. Tutti risero di gusto “ecco, quelli che abbiamo mangiato non erano calamari, ma totani … in questa stagione e per tutto l’autunno, proprio intorno al promontorio di Sorrento, compresa Capri, se ne pescano in abbondanza” .”Quindi erano totani, e non calamari”- disse il priore- “ne siete certo?”. “Padre, Amedeo è un gran pescatore di totani e non può sbagliare anzi, se si mette disteso e rigido, finisce pure per somigliarli”; ancora una fresca risata uscì dalle bocche sorridenti di quanti sentirono la battuta di Rosanna. Anche Amedeo sorrise e imitò il totano come aveva fatto Rosanna poche ore prima. “Sì, è vero, questo è il totano” indicando alcune rotelline bianche e ambra, sparse nel vassoio insieme a qualche triglia “. Beh! Allora i calamari e i totani sono praticamente uguali, nessuno se n’è accorto, però sono ottimi entrambi, ma, professore, ho capito che ne sapete più di noi, dateci qualche notizia anche sulla maniera di pescarli … non si sa mai, a qualche frate di questo convento potrebbe interessare “. Disse questo guardando in un punto preciso del lungo tavolo, poi, rivolto a padre Saverio, a bassa voce, disse: “Chiamate fra’ Giuseppe”, e rivolto a Rosanna e Amedeo: “Fra’ Giuseppe è monaco cercante, il nostro questuante, un uomo molto allegro e di spirito, ne sa più lui di pesci e maniera di pescarli che tutti noi messi insieme”. Fra Giuseppe arrivò subito, era anziano piccolo di statura, secco, e grosse vene emergevano sotto la pelle delle mani; un caschetto di capelli corti e bianchi contornava la testa, gli occhi piccoli e luminosissimi, le guance incavate e un naso enorme, sotto il quale scompariva una piccola bocca senza labbra. Salutò gli ospiti e il priore disse: “fra Giuseppe, il professore Serra è un esperto pescatore, chissà che non potete arricchire le vostre esperienze, sentiamo”, rivolto ad Amedeo. “Padre, io mi limito ai totani, e poi non è molta la mia conoscenza. Io ho sempre pescato utilizzando tecniche già conosciute e tradizionali, forse ho avuto un po’ di fortuna in più di tanti altri che si dedicano a questa pesca d’estate”. “Su, non fare il modesto” disse Rosanna, “hai riconosciuto i totani al posto dei calamari nella frittura. “Sì, erano totani quelli, non calamari” esordì fra Giuseppe, “ora che ci penso, erano più forti di sapore”. “Infatti la differenza è proprio questa, il sapore dei totani è più aromatico, quello dei calamari è più dolce. Ma in pratica sono uguali anche nella forma tranne che nel colore che è un po’ più rossiccio e le pinne che nel calamaro hanno un’attaccatura più bassa, e quindi più lunga, i totani invece l’hanno più alta molto spostata verso la parte terminale, con una forma triangolare. La tecnica di pesca poi è un po’ complessa, perché abbisogna di una barca o un di un buon gozzo, magari con un pozzetto agibile per la stesura delle lenze, poi una lampara e infine le totanare, che sono lenze molto lunghe anche 200 metri avvolte su telaietti di sughero. In fondo alla lenza, la totanara, che è un grosso piombo, a volte rivestito da un filo di seta variopinto, il piombo poi finisce con una corona di ami rivolti in su, in modo da aggrappare il totano con un forte strattone. Questo, grosso modo, è l’occorrente per andare a totani; altri elementi per la pesca sono certamente il posto, e la totale assenza di luna. Ma qui da Sorrento a punta Campanella, o sotto Capri, ogni posto è buono, basta che sia un po’ ridossato e col mare calmo”. Tutti erano molto attenti alle parole di Amedeo, che dai primi momenti di imbarazzo, scivolò in una descrizione minuziosa delle tecniche fin quando fra’ Giuseppe lo interruppe: “professore, ho sentito parlare di esche artificiali, qui tra i nostri pescatori. Come voi avete detto, l’esca è sempre naturale, si prende una perchia, o una boga, si spacca in due e una metà si arrotola attorno al piombo della totanara”. “Ma l’esca finta com’è?, sono molto curioso, non riesco a immaginarla”. “L’esca finta è un gamberone di plastica rossa che sta intorno al piombo della totanara, il totano lo vede muovere e ci salta sopra; ma ancora più complessa è l’esca finta fosforescente … Questa è una totanara completa come la conoscete pure voi, ma sopra tiene un elemento, diciamo luminoso, che serve a pescare molto a fondo, fino a 1000 metri. Questa totanara serve a portare su i totani, fino alla luce della lampara, poi si usano le altre lenze. In una notte senza luna, col mare calmo, bisogna soprattutto rimanere sullo stesso posto fermi e pazienti, usando un po’ i remi per non scarrocciare e tenere bene le totanare, strappando con forza verso la superficie, cominciando almeno da 50 braccia d’acqua. A volte sembra che la luce opalescente che la lampara proietta giù nel mare, provenga da una luna sperduta nel fondo nero dell’acqua, a voi non resta altro che immaginare di stare capovolti, e pescare nel cielo.
L’effetto è molto suggestivo, e quando il totano viene afferrato, salendo dalle profondità, aggrappato alla totanara, sembra un grande fiore rosso che scende dal cielo. A quel punto, però, bisogna distogliersi subito da questa fascinosa e improbabile ipotesi, e ritornare vigili tirando su con calma e con una costante trazione, e poi subito, appena affiora il totano, con uno strattone tirarlo dentro al pozzetto facendo attenzione che non sbatta sulla murata, perché potrebbe sganciarsi. Qui, in questo momento, dovete fare molta attenzione, perché il totano, una volta nella barca, sputa acqua da tutte le parti. Forti spruzzi provenienti dal sifone, che è il suo forte sistema di propulsione. Ecco tutto, ho detto l’essenziale, ma credo che fra’ Giuseppe già conosce questa pesca, vero?” “È vero professore, ogni volta che non c’è luna, e il cielo è nero, come la pece, io mi affaccio dall’ultimo piano del convento e guardo il mare, penso sempre che ogni pesce è andato a dormire o è tornato nella sua tana, perché, se no, sapete quante capate darebbe vicino agli scogli se se ne andasse in giro senza neanche un po’ di luce. Ma, visto che hanno inventato questa totanara luminosa che scende fino a 1000 metri, non se ne potrebbero mettere un po’ sul fondo del mare, almeno per i ritardatari?” Una risata fragorosa si levò da quel lato del tavolo, poiché anche altri monaci s’erano uniti ad ascoltare Amedeo nella sua dissertazione. “Voi non siete solo uno scrittore di belle storie di mare,” disse felice padre Leonardo, “ma siete anche un affabulatore, avete descritto la pesca con tale grazia e sapienza, che i totani pescati così come ci avete raccontato, sembrano anche molto contenti di finire in padella”. Altra risata corale. Ma fu veramente gaia quella che uscì dalla dolcissima bocca di Rosanna. Amedeo registrava ogni segno del suo volto, e con gli occhi percorreva quel corpo infinite volte, fermandosi sui dettagli, le sfumature, le minime variazioni di luce che scorrevano sulla sua pelle ad ogni lieve tensione dei muscoli.
Un alto monaco corpulento e con una barba lunga e crespa, comparve dietro le spalle di Amedeo e poggiò l’angolo di un grande vassoio di metallo accanto a Rosanna, distribuì delle coppe di cristallo madide di brina. Il sorbetto al limone del convento fece la sua apparizione, tra tintinnii e sorrisi gentili di uomini sereni che davano sempre un valore giusto ai giusti valori. “Questo è il secondo simbolo popolare della nostra santa festa, il primo l’abbiamo mangiato, la pietanza dell’Assunta, la melanzana imbottita; adesso il sorbetto al limone, fatto da noi con i nostri limoni, poi c’è il terzo ma questo lo vediamo stasera, quando la processione si ritira. Nel nostro immaginario popolare il terzo simbolo della festa sono i fuochi che infiammano tutto il cielo di Massa Lubrense, con granate e botti che fanno grandissimi ombrelli di luce di infiniti colori, che partono dalla scogliera, dalla chiatta davanti al porto. Sapete, professore, che vengono da ogni parte i fuochisti, fanno proprio delle gare. Poi, da Puolo a Marciano, si aggiungono altri fuochi, enormi falò a vista che rischiarano tutta la costa, il cielo, le barche e tutta la gente che sta per mare, dal cielo … dalla terra e dal mare, e la processione allora si conclude in una apoteosi di luce. Mai vista festa più bella!”. Padre Leonardo si entusiasmò, e, profondamente felice, parlò della festa e dei simboli popolari legati alle abitudini Massesi. Commosso, alla fine, quasi sarebbe scappato dalle mani di tutti un applauso, se padre Saverio non avesse proposto agli altri commensali un canto di ringraziamento, che immediatamente si levò dalle loro bocche, riempiendo il refettorio di note festose ricche di garbo. Il canto Amedeo non lo conosceva, ma volentieri si unì al complesso coro a più voci nel ritornello, che fu ripetuto più volte dopo l’antifona che padre Saverio intonò con voce solista.
Rosanna al termine del canto, disse al priore: “se non ci aveste trattenuti a pranzo, non avremmo mai avuto la possibilità di entrare così profondamente nell’animo della festa … grazie, sono anch’io un po’ commossa da tanto calore, mi è sembrato di tornare indietro nel tempo, quando da bambini ci riunivamo, nel giorno dell’Assunta, a casa mia, con tutte le mie amiche vestite a festa, e ci preparavamo a seguire la processione insieme ai nostri genitori”. “Cara Rosanna, tutto ritorna nella vita, anche le cose più dimenticate, però le riconosciamo solo se i nostri occhi sanno essere puri, sanno cioè leggere direttamente, senza nessun compromesso, nei cuori di chi ci sta vicino”. “È vero, tutto ritorna, almeno una volta”- aggiunse Amedeo – “almeno tutte le cose belle, quelle a cui ci affezioniamo o che amiamo, le cose, le persone … e i compromessi poi, quelli sono illusioni, false interpretazioni, ossessioni nostre, che purtroppo ci portiamo dentro, nascosti da qualche parte e che ci costringono a vedere sempre rosso anche quello che è blu.” “Amedeo, non perdete la speranza, non lasciatevi fuorviare dall’abitudine”, disse padre Leonardo sollevando la coppa di cristallo, nella quale era rimasto il sorbetto ormai sciolto, “prima al posto di questo liquido c’era il sorbetto, bianco, profumato, freddo, sano e infinitamente gustoso, ma prima ancora quel magnifico dessert era acqua con zucchero e succo di limone, quello che c’è adesso … così è la vita, talvolta ci appare stupenda, ed eccezionalmente entusiasmante, quello è il momento di coglierla, di viverla appieno, non lasciarsela sfuggire mai, coglierla con l’anima e con la mente, così come abbiamo fatto con questo sorbetto. Dobbiamo stare attenti, la vita può ritornare subito dopo ad essere meno bella, meno eccezionale, come questa acquetta dolce sul fondo del bicchiere”. Amedeo guardò Rosanna che restituì lo sguardo, ma i due rimasero silenziosi, senza risposta. “Noi dopo prenderemo il caffè fuori, sulle panche del chiostro, al fresco, leggo nei vostri occhi e in quelle di Rosanna la voglia di fumare”. Si alzò in piedi e tutti gli altri monaci lo imitarono. Iniziò la preghiera di rito, che indicava la fine del pranzo.
Appena usciti nel luminoso chiostro, Amedeo e Rosanna accesero le sigarette. Il bastone continuava a impicciargli le mani mentre accendeva la sigaretta, lo poggiò al muro, ma lentamente cominciò a scivolare di lato cadendo rumorosamente sul cotto del pavimento. Fumando piano si sedettero sulla panca di pietra , al fresco del corridoio coperto. Amedeo raccolse il bastone e con un certo imbarazzo cercò di infilarlo sotto la panca. Aspettavano padre Leonardo, lo avevano preceduto perché il priore si sarebbe trattenuto con i monaci per ulteriori preghiere e per dare disposizioni per i preparativi della processione. Nel silenzio dell’ombra, tagliata vivida dal sole del pomeriggio, rimasero muti a lungo fissando dettagli di quel cortile, come fanno quelli che guardano ma non vedono, e che fermano gli sguardi sui loro pensieri.
“Credo di capire che tu conosci molte cose sulle sirene…poco fa, mentre parlavate di queste mitiche creature, ho pensato che poi tanto mitiche non lo sono. Pensa che nel circo Barnum furono esposti esemplari di sirene, e addirittura al museo di storia naturale di Venezia ne era conservata una mummia”- disse Amedeo, “sciocchezze”- rispose Rosanna, poggiando la borsa sulle cosce rimaste scoperte dalla posizione seduta. Sotto il tavolo del refettorio aveva potuto nasconderle, ma qui nulla, oltre la borsa, poteva coprirle. “Contraffazione, semplici contraffazioni” continuò, “lasciamole in pace, così come ce le hanno fatte conoscer; non è meglio immaginarle vive e belle, magari un po’ perverse e ammaliatrici piuttosto che morte e mummificate, magari sotto spirito in un museo o in un baraccone da fiera?” “Sì, è vero. E’ orrendo pensare ad una mummia di sirena, però è anche brutto pensare che non si possono riprodurre, non possono avere figli, e per questo mi domando come possono essere così diffuse in moltissime culture … per esempio in Russia esistono le Rusalke, per gli eschimesi le Sedne. In Giappone vengono chiamate Ningyo, e in Africa la sirena Mami Wata vive nel fiume Niger, la loro diffusione è talmente capillare che veramente viene da chiedersi se siano esistite o esistono veramente”- rispose Amedeo. Il priore fece in quel momento la sua comparsa seguito da padre Saverio, con un vassoio in mano e sopra la moka fumante e le tazzine. Padre Saverio versò il caffè e servì Rosanna e Amedeo, poi il priore sedette a fianco di Rosanna e cominciò a sorbire il suo caffè. “Padre Saverio, restate con noi, prendetevi una sedia nel corridoio; dunque Professore, io ho sentito quanto dicevate sulla esistenza o meno delle sirene, mentre arrivavo con padre Saverio. Vi interessa il mio pensiero? Io me ne sono fatto uno, a 70 anni, con più di vent’anni di esperienza nel convento di Massa, io un pensiero l’ho dovuto fare”. Senza attendere la risposta di Amedeo, continuò con una espressione sorridente che illuminava il suo volto quasi senza pieghe, liscio e giovanile. “A me piace la sirenetta di Copenaghen, quella che è diventata il simbolo della città. Sta su uno scoglio e guarda il mare, quasi pensasse a quello che noi pensiamo di lei, cioè la nostra ansia di scoprire se è vera o se è finta, se è meglio vederla, incontrarla, con tutte le conseguenze che ci hanno tramandato, oppure è meglio sognarla, immaginarla come uno vuole, senza indagare troppo, come nella favola di Andersen in cui una giovane sirena rinuncia per amore alla coda di pesce”. Amedeo rispose: ” Andersen ha avuto per primo il coraggio di trasformare le sirene in creature pronte a sacrificarsi per amore, cancellando l’originaria natura mostruosa, eh si! Per l’uomo d’oggi, il loro mito ha solo due origini: il primo è l’episodio di Ulisse quando volle sentire il loro canto fatale, il secondo l’avete citato. Ben pochi sanno però, che le sirene in origine nacquero dal dio dei fiumi Acheloo, e non avevano la coda di pesce, ma penne ed ali di uccello. Prova ne è lo stesso episodio di Ulisse, il quale riuscì a resistere al loro canto e quelle decisero di uccidersi gettandosi in mare. Io credo che se quelle creature erano metà pesce, era questa una morte impossibile.” “Di nuovo ad indagare”- disse il priore: “Rosanna, tu che ne pensi?”. Rosanna aveva acceso un’altra sigaretta, e, dopo una pausa molto lunga passata ad osservare la punta infuocata, disse: “Ulisse senza saperlo, facendosi legare all’albero della nave, riesce ad udirne il canto e a sopravvivere. Subito dopo come tu hai ricordato, le sirene si suicidano gettandosi nel mare; sta proprio qui, in questo gesto tragico, la loro nobiltà, la loro definitiva purificazione. L’acqua è come un sepolcro che si richiude su di loro e quando riemergono sono pure, l’acqua è il simbolo della morte e della vita. Le sirene allora, esistano oppure no, non sono più esseri associati al male, alla tentazione diabolica, al piacere della carne.” “oh no! No!” – disse padre Saverio, che si era seduto silenziosamente su una sedia, accanto a padre Leonardo. “La mitologia greca interpreta in maniera molto nobile la loro funzione: le sirene non sono più perfide ammaliatrici che causano la morte dei marinai, ma diventano le accompagnatrici delle anime dei defunti nell’aldilà, e questo è documentato su pietre tombali, su steli funerari, e sempre in atteggiamenti compassionevoli, anche se poi conservano la loro stupenda voce melodiosa e gli strumenti musicali che poi usano per accompagnare il canto di addio ai defunti. Perciò, signora Rosanna, io credo che voi avete ragione. In fondo tutte le meravigliose cose che sono state scritte sulle sirene come le favole, le canzoni, le storie devono essere state ispirate da esseri buoni, capaci di amore e di sacrificio e non da esseri demoniaci”. Rosanna si alzò, scivolò tra quegli uomini che attenti seguivano la conclusione di padre Saverio. Alla sua bellezza, s’era aggiunto il pomeriggio di mezzo agosto, che unisce pigrizia e morbidezza alle sensazioni, facendole scivolare lentamente nella voluttà di cui tutti s’accorsero, di più Amedeo che seguì ogni movimento di Rosanna, che al termine del pensiero di padre Saverio si girò e con la mano che stringeva la sigaretta indicando intorno, disse: “in questo mare, proprio qui e non altrove, le sirene hanno le loro case nelle infinite grotte che vanno da Sorrento a tutta Capri, su tutta la costa della penisola sorrentina. Il loro mito è nato qui; Partenope, col suo grande amore, ha creato questi luoghi e tutte le meraviglie che tutti ci invidiano, dal clima sempre mite, al sole, dalla terra al mare, dai frutti dai fiori, e la gente, dove stanno donne e uomini più belli, più forti, più intelligenti … ma quante altre volte deve venire Partenope per convincerci che questo è un luogo benedetto? Ma vedete Capri, in quale altro universo ci sta un luogo simile, e quanti altri secoli ci vogliono per discutere se esistono o non esistono le sirene?” “Che fuoco, Rosanna, che impeto, che tu sia benedetta, chi meglio di te e più di te ama questa terra, questi luoghi che sento che ti stanno nel sangue … vieni, abbracciami, questo povero vecchio aveva bisogno di una sgridata che mi è arrivata direttamente dal tuo cuore. Hai ragione tu, forse le sirene esistono veramente solo qui, esse però sono viste soltanto da uomini fortunati, dai poeti e dai bambini. Vieni, abbracciami”. Rosanna si avvicinò al padre Leonardo e l’abbracciò, commossa e, tra le braccia di quel vecchio, pianse.
Rosanna chiese un bagno per ricomporsi; padre Saverio indicò una porta in fondo al cortile vicino all’ingresso che dalla chiesa immetteva nel chiostro. Rimasti soli, Amedeo si incamminò appoggiandosi visibilmente al bastone nell’ombra del chiostro, affiancato dal priore e da padre Saverio. “Rosanna non è stata molto fortunata”- disse padre Leonardo, “da quando sono morti i suoi genitori, la sua solitudine non la lascia un minuto; Assunta, zia Tatella, la persona che adesso cura gli interessi di Rosanna, viene qui e mi informa … poverella, soffre per questa ragazza che considera come una figlia. Avrebbe voluto per lei un matrimonio con una persona di queste parti, che avrebbe curato meglio Rosanna amandola di più, e che si fosse interessato al palazzo e alla limonaia. È triste per Assunta vedere giorno per giorno andare in rovina la casa, la limonaia, e non poter fare niente. Lei è vecchia, non può più occuparsi di tutto, vorrebbe anche lei riposarsi, ma più di tutto, soffre per Rosanna, soffre a vederla così”- cercò con cura la parola – poi disse: “spenta, proprio così, spenta. Mi ricordo anch’io di Rosanna piena di vita, la gioia sua era coinvolgente … e che voce teneva, veniva a cantare nel coro del Santuario, era voce solista, quando c’era lei anche l’organo si fermava. Professore Serra, la famiglia Spada è stata un emblema per questa città, signori antichi, generosi e devoti. La cosa che proprio non accetta Assunta, è il fatto, scusate se mi prendo la libertà di parlarne tanto di Rosanna, ma lei qui è amata da tutti, preghiamo per lei, è circondata dall’affetto di tutti i massesi, è il fatto dicevo, di vedere la famiglia Spada finire, estinguersi, dissolversi con Rosanna, la quale, non avendo figli, non potrà tramandare la continuità della stirpe. È doloroso per zia Tatella e anche per i Massesi pensare che presto o tardi andrà tutto in malora, permettendo speculazioni sul palazzo e sulla limonaia.” Amedeo dovette fermarsi, sentiva fitte acute nella gamba che la irrigidivano. Cosa realmente voleva il priore con quei discorsi su Rosanna? Sulla sua famiglia, e poi perché parlava con lui? “Padre”, rispose, poggiando le spalle a una colonna del chiostro, “veder finire una così illustre famiglia in una città che ne ha fatto un vanto, come dice lei e zia Tatella, è molto triste, e poi vederla finire così, senza storia, nel silenzio e nel rammarico dell’ultimo erede, si rischia anche di dimenticare quanto questa famiglia ha fatto per Massa. Però, caro padre, adesso non vedo soluzione diverse da questo destino che mi appare già segnato, senza possibilità di cambiare”. “Ma come? Voi siete tanto amico di don Gaetano, vi conoscete da giovani, potete parlargli, addolcire il loro rapporto, sperare in una prossima convivenza basata sulla stima e sull’amore, chissà che almeno Rosanna non riesca a trarne un sorriso in più, una serenità maggiore e cominciare a vedere il futuro diversamente. Professore, il conforto di un amico prezioso come voi, può ridare la gioia che ha perduto chissà dove. Me ne sono accorto anch’io che non è felice, io ve l’affido, le nostre preghiere vi aiuteranno”. Il dolore nella gamba costrinse Amedeo a scusarsi col priore, chiese di sedere su una panca di pietra poco lontana. Rosanna arrivò, fresca come un fiore appena colto. Rosanna li raggiunse e disse, rivolta al priore: “vi sono grata di questo tempo che ci avete dedicato, grata dell’ottimo pranzo, ritengo che il vostro convento sarà per me una tappa a cui non rinuncerò mai più quando tornerò a Massa, anzi, se me lo permettete, domani manderò zia Tatella con un’offerta per i vostri poveri del convento. Adesso dobbiamo andare, il nostro programma è ancora a metà”. “Rosanna, non lo dire proprio, il nostro tempo vi appartiene, come ad ogni altra creatura di Dio, siamo grati noi a voi per la novità che avete portata in convento, e per l’onore che avete fatto alla nostra tavola”. Così il priore salutò Rosanna e Amedeo, mentre padre Saverio li accompagnò fuori sulla soglia del santuario. Mentre attraversavano il piazzale della basilica, padre Saverio chiamò: “professore Serra, questo pacchetto è vostro, lo avete dimenticato accanto alla sedia nel refettorio; fra Giuseppe lo ha ritrovato mentre sistemava il locale”. Amedeo ritornò indietro di pochi passi, e padre Saverio gli consegnò il pacco dei torroni che aveva dimenticato.” Alle 7.00 Ernesto vi aspetta sulla barca di Jennarone, ci vediamo alla processione. Arrivederci”. Strinse loro ancora la mano e tornò nel santuario dove fra Giuseppe l’aspettava. Amedeo guardò Rosanna che scoppiò in un’allegra risata indicando i torroni. “Questi torroni li avevo comprati per zia Tatella, cosa ridi?”. Poi rise anche lui.