COVID-19: TUTTO QUELLO CHE GLI ALTRI NON POSSONO O NON VOGLIONO DIRVI (e che non vi diranno mai)

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VII PUNTATA: LA ‘CHIUSURA ALL’ITALIANA’LUIGI COBIANCHI COVID 19: TUTTO QUELLO CHE GLI ALTRI NON POSSONO O NON VOGLIONO DIRVI (e che non vi diranno mai)

OSPEDALI, DA NOSOCOMI A INCUBATORI DEL VIRUS

    –    di Luigi Cobianchi    –       

L’ultima volta ci siamo lasciati con il caso ‘Codogno’ ponendoci una domanda: come è stato possibile che, dai primi focolai presentatisi in specifici comuni delle regioni del nord, il SARS-CoV-2 si sia potuto diffondere, dapprima in tutto il settentrione e, quindi, nel resto d’Italia, oltretutto così rapidamente?

Ebbene, fondamentalmente vi sono due ordini di motivi, ovvero la ‘chiusura all’italianae gli ospedali – soprattutto quelli del nord – trasformatisi, per mala gestio, da nosocomi a incubatori – e, quindi, propagatoridel virus.

Sul primo aspetto, già nella precedente puntata abbiamo evidenziato come, al di là della vulgata televisiva da post golpe, per giorni e giorni nessun blocco reale venne imposto ai Comuni- epicentro, in pedissequo ossequio agli squallidi interessi dei cumenda’ – di cui abbiamo abbondantemente parlato – di talché, per non creare una seria ‘zona rossa’ da cui NIENTE E NESSUNO, per almeno un mese (e non mi sembra una pretesa eccessiva) potesse entrare o uscire, abbiamo trasformato l’Italia in un’unica area ristretta’, ciò che, al di là di ogni considerazione, presenta evidenti, gravissimi profili di incostituzionalità: a tenore dell’art. 16 della nostra Carta fondante, invero, siffatte limitazioni sono ammissibili solo a fronte di un reale problema di sanità e/o di sicurezza.

Ora, prendiamo, per esempio, proprio il caso benedetto da Dio della nostra Città, che – probabilmente anche per intercessione dei suoi autorevolissimi Patroni e, certamente, per l’ottimo lavoro svolto nel nostro ospedale, ove è stato immediatamente attuato il protocollo sperimentale messo a punto al Cotugno – ha registrato neanche 20 (no, non ho mancato nessuno zero, se volete lo scrivo a lettere: venti!) casi conclamati di COVID-19, su una popolazione di 75.024 abitanti (al 31/06/2019): dov’è il problema sanitario? Dove l’emergenza? E, per favore, non mi si venga a dire che è l’effetto dello stare a casa.

Ma i ‘cumenda’ sono i ‘cumenda’ e, allora, se proprio si dovevano creare zone rosse, o per tutti o per nessuno. Non sia mai qualcuno dovesse rubargli un granello di mercato! E, anche in ciò, hanno avuto quali validissimi ‘alfieri’ i ‘governatori’ delle loro regioni, i quali, a differenza di qualche fenomeno locale sempre più folkloristico (ahinoi), anziché abbaiare rabbiosamente – salvo poi limitarsi a guaire, pienamente rientrato nei ranghi, nella prima occasione concreta per ottenere qualcosa, rappresentata da una vetrina televisiva nazionale – mordono, e come se mordono, digrignando fauci da squalo bianco, senza chiassate, senza proferire verbo, di modo che la preda, raggiunta con felpato agguato felino, non abbia neanche il tempo di capire cosa sta per accaderle. Per la serie: «Da qui all’eternità»!!

Se proprio chiusura doveva essere, che allora chiusura fosse davvero, perché, invece, il modello attuato rende gli arresti domiciliari cui siamo stati sottoposti tutti, indiscriminatamente – comuni-focolaio e quelli a ‘zero casi’; contagiati e sani; soggetti a rischio e persone che, vivaddio, non lo sono – ancor più ANTISCIENTIFICI (se possibile), con buona pace degli oramai ben noti svarioni, a cui aggiungerei anche i crisantemi televisivi, i quali, nell’impossibilità di costruirsi, in quattro e quattr’otto, curricula che non hanno, alacremente, squallidamente sono, negli ultimi giorni, tutti presi a demolire quelli di coloro che considerano nemici, solo perché stanno dicendo VERITÀ che non piacciono all’establishment che li fomenta/foraggia e, quindi, neanche a loro.

Se, è vero – com’è vero – che la nostra Costituzione non contempla l’applicazione (e menomale, vista l’attuale congiuntura politica!) della legge marziale (su tutti, cfr. art. 11), se un comune andava proprio messo in quarantena e, allora, occorreva, attraverso le Forze dell’Ordine – e, ove del caso, anche l’esercito – bloccare ogni strada d’accesso a quelle realtà, ivi comprese stazioni ferroviarie, aeroporti, (ove presenti). TUTTO.

E, invece, non potendo deludere le aspettative di creatività che abbiamo alimentato, sul nostro conto, nel resto del mondo, eccoti lachiusura all’italiana’, elastica, con mezza regola e mille eccezioni, senza considerare che una sola persona positiva ne può contagiare a decine (fermo restando quanto ci siamo detti nelle precedenti puntate, sulla ‘terza via’ e sull’immunità di comunità).

Non è assolutamente scientifico inibire i flussi di persone, ma non quello delle merci, perché, sempre con buona pace dei virologi della domenica, un virus può utilizzare la porosità e la scabrosità delle superfici – sia biotiche (vedi quelle di derrate alimentare, come carne, frutta, verdura, ecc. maneggiate da soggetti positivi), sia abiotiche, ivi compreso il particolato – come vettore, lasciandosi trasportare da una parte all’altra del Paese, del globo.

Eppure, in questi giorni, gli acquisti online si sono cresciuti esponenzialmente e chissà quanti ignari nostri connazionali hanno ricevuto pacchi con ‘sorpresina virale’ inclusa!

Vi sono, invero, virus che possono permanere attivi, soprattutto su superfici biotiche, anche per tempi lunghissimi e su questo aspetto, rispetto al SARS-CoV-2, NESSUNO può ancora dire nulla. E’ troppo presto. Previsioni, proiezioni, algoritmi matematici predittivi e raffronti in disparte, solo il tempo potrà dirci… i tempi dei cicli di questo virus.

I treni hanno continuato ad attraversare lo stivale da un capo all’altro, portando con sé i volumi d’aria inglobati nelle loro carrozze, di talché, se una di esse fosse stata contaminata alla partenza da uno o più soggetti positivi, alla fermata successiva – specialmente se a breve raggio dalla prima – nessuno svarione o crisantemo televisivo di questo mondo, a dispetto di tutta la spocchia che ha, potrebbe garantire, al cento per cento, che non avrebbe avuto luogo il contagio di soggetti sani, che dovessero essere entrati in quello scompartimento. La prima regola di prevenzione anti-diffusione di un virus, invero, è – e resta – quella di predisporre adeguati ricambi d’aria e di non far soggiornare più persone in spazi ristretti, come può essere la cabina di un ascensore, ma anche la carrozza di un treno, l’abitacolo di un autobus o un basso napoletano, piuttosto che un monolocale bergamasco, con buona pace di certi presidenti di regione.

E, invece, chi ci governa cosa ha fatto? Non solo non ha bloccato i treni ma, addirittura, narcisisticamente, irresponsabilmente ha preannunciato, con la massima enfasi, secondo la migliore tradizione dei peggiori regimi del terrore, a mezzo di un’edizione straordinaria di Tg, per di più in contemporanea su tutte le reti nazionali, le limitazioni alla circolazione che sarebbero scattate solo il giorno dopo, determinando una folle corsa ai convogli da nord a sud, con tutti gli effetti disastrosi che ne sono derivati. Sta di fatto, invero, che comuni del mezzogiorno i quali, fino a quel momento, non avevano registrato nessun caso di COVID-19, di lì a quindici giorni sono diventati addirittura zone endemiche.

In buona sostanza, non bastava aver chiuso il recinto dopo che i buoi erano scappati, ma si è deciso di riaprirlo nuovamente, a più riprese, di modo che qualche capra – nell’accezione ‘sgarbiana’ del termine (perché così devo chiamare certi irresponsabili) – che, per distrazione, intenta a brucare l’erbetta, fosse rimasta nella recinzione – sentisse di aver avuto il via libera a fuggire, con tanto di mandriani che la dirigevano verso l’uscita!!

Ho ascoltato, attonito, i primi rumor sulle invenzioni dei cervelloni consulenti governativi sul futuro del trasporto pubblico nel nostro Paese, con geometrie e architetture nei posti a sedere che voglio vedere chi e quando, per esempio nella nostra regione, potrà rispettare, stante la carenza, divenuta organica, di corse, vettori, posti a sedere e controllori. Immaginate Napoli, in un orario di punta, dove graziosamente il signor ‘x’ cede il posto alla signora ‘y’ per rispettare la geometria delle sedute? Ma se spesso si è così stipati che gli autobus devono viaggiare a porte aperte, con la gente sul predellino!

Ciò in disparte, trasporto pubblico non significa solo tradotte, terze classi, treni merci o per trasporto bestiame riconvertiti in vettori per passeggeri, come spesso sembra accadere, soprattutto da noi al sud, che ancora stiamo scontando il rancore altrui per essere stati i primi anche nell’avere la ferrovia, in Europa. Come si dice a Napoli, ‘ce lo hanno fatto uscire dagli occhi’ e continuano ancora! Trasporto pubblico significa anche TAV, aeroplani, dove si viaggia con i finestrini chiusi (o, pensano di modificarli perché siano apribili in volo? Magari a qualche nostro, ben noto ministro sarà balenata nella mente l’ideona, no?!) e, soprattutto, con l’aria condizionata. Ora, mi spiegano questi signori come pensano di evitare la diffusione del virus tramite questo mezzo, oserei dire, elettivo? Pensano, forse, basti cambiare più spesso i filtri o adottarne di quelli ai carboni attivi? Credono che questi sistemi servano a qualcosa contro un virus? Vero è che di questo ku klux klan della lotta alla scienza sono cavalieri professi, d’ ‘onore e devozione’, quelli che pensano che basti indossare una mascherina per bloccare il contagio da virus (ma su questo aspetto ci soffermeremo nella prossima puntata). E lo Stato, che non è riuscito a salvare l’unica compagnia di bandiera nazionale, come pensa che quelle private possano sostenere i costi di gestione, riducendo il numero di viaggiatori a circa un terzo per volo, per rispettare le ‘simmetrie italiche’ de quibus, rispetto alla cui bellezza il virus, commosso, dovrebbe deporre l’ascia di guerra? Riesumiamo quelli della cordata CAI? O chiediamo alle ‘astromarchette’ elettorali di rivolgersi al ben noto soggetto che ha cominciato a far danni da quando, anziché di magliette multicolor, ha deciso di occuparsi di ponti e strade, con il quale, more solito, dacché gli volevano togliere di dosso anche la biancheria intima, è nata una corresponsione d’amorosi sensi?

Tornando, invece, al trasporto merci, qualcuno mi potrebbe chiedere: se si fossero bloccati i vettori, come si sarebbe potuto provvedere all’approvvigionamento di generi di prima necessità, nei comuni messi in serio isolamento, con gli accessi sbarrati?

Semplice, come si è previsto, almeno dal dopoguerra a prima di questa oscena storia, in ogni piano di emergenza sanitaria degno di questo nome, rispondente alla scienza e non a umori e sporchi interessi: andavano immediatamente realizzati, attraverso il Genio militare, appositi hub in aree individuate a distanza opportuna dal comune in isolamento, magari baricentrici, per economicità, in caso di più comuni viciniori. Dette strutture di interscambio sarebbero dovute essere rifornite di merci attraverso vettori su gomma, con container sigillati e disinfettati alla partenza. Della distribuzione si sarebbero dovuti occupare altri veicoli, distinti dai primi (più piccoli e meno inquinanti), provenienti dall’interno delle zone isolate, di modo che nessun automezzo dovesse entrare e, poi, riuscire dai siti emergenziali. Grandi vasche, poste all’ingresso e all’uscita di queste strutture, a filo di carreggiata, riempite di sostanze dalla comprovata attività antivirale (come diremo nella IX puntata, almeno per il trattamento di superfici abiotiche esistono. Per le superfici biologiche, pelle compresa, il discorso è diverso), nelle concentrazioni che le rendono realmente efficaci. Tutti gli automezzi, sia in ingresso che in uscita, avrebbero dovuto attraversare queste vasche per disinfettare gli pneumatici, dopodiché, prima dello scarico/carico merci, una squadra specializzata di operai qualificati, opportunamente scafandrati (come meglio diremo, nella prossima puntata, per i medici) avrebbe dovuto provvedere alla disinfezione degli assali, dei sottoscocca/telai, dei passaruote e quantomeno della parte bassa della carrozzeria dei predetti automezzi, con un getto in pressione di disinfettante.

Un sistema analogo, ma solo in ingresso, poteva essere adottato per tutti gli altri Comuni, non bisognevoli di particolari restrizioni, onde evitare l’adduzione involontaria del virus.

Caserta, una volta tanto, avrebbe potuto, da capoluogo, assurgere a modello per l’intero Paese, grazie all’intermodalità del suo interporto – quello ubicato a Marcianise, che la Politica lungimirante creò e la politichetta miope e meschina ha, praticamente, distrutto – con il suo avveniristico sistema di interscambio, che precorreva i tempi di decenni.

Si sarebbe dovuto, altresì, imporre, banalmente, a tutti gli spedizionieri di rimballare ogni pacco in sacchi speciali rinforzati, creandovi il vuoto all’interno e disinfettandoli all’esterno, così come di viaggiare con i cassoni dei loro automezzi sigillati e sanificati a ogni trasporto.

Ripeto, la clausura forzosa si dimostra vieppiù assolutamente antiscientifica (oltre che insostenibile, per tempi prolungati), ma, se proprio si vuole adottare questa non-soluzione, che perlomeno lo si faccia correttamente, senza vanificare, a più riprese, anche i pochi benefici che, almeno nel brevissimo periodo, può pure dare.

Ma, come detto all’inizio di questa puntata, al di là della chiusura all’italiana’, l’altro fattore scatenante che ha contribuito alla diffusione del virus a macchia di leopardo è rappresentato, incredibilmente, proprio dagli ospedali, trasformatisi da luoghi di cura in altrettanti incubatori – e, quindi, diffusoridel virus.

Il tutto perché le più elementari norme progettuali e igienico sanitarie sono state semplicemente… ignorate.

Al di là della drammatica carenza di posti in terapia intensiva – di cui ci siamo estesamente occupati nella V puntata – è possibile che dovesse arrivare questo benedetto virus perché, ridestatici da un lungo sonno della ragione, scoprissimo che, forse, non è opportuno che, nei nosocomi, l’accesso ai reparti di malattie infettive avvenga attraverso i percorsi ordinari che portano ad altre specialità cliniche o chirurgiche, prive di possibilità di contagi? E’ possibile che nessuno abbia mai pensato che, forse, non è opportuno più di tanto che il triage e il pronto soccorso ordinario siano effettuati negli stessi ambienti anche per pazienti verosimilmente infetti e contagiosi? Non occorrerebbe, forse, un pronto soccorso dedicato? E’ possibile che, pur essendo il settore sanitario pubblico la patria di tutti gli sperperi, dobbiamo ridurci a costruire baraccopoli improvvisate, non avendo spazi minimamente sufficienti, in rapporto alla popolazione – e, segnatamente, alla percentuale di soggetti a rischio costante per patologie sistemiche croniche, immunodeficienza, ecc. – nei reparti di malattie infettive?

Tornando alle terapie intensive, è possibile che in un Paese dell’Occidente – e, in particolar modo, in Italia – non vi sia una netta separazione tra quelle per pazienti contagiosi e quelle per soggetti che non lo sono?

Né si può dire che nessuno si fosse mai posto il problema, sia pure in termini un po’ diversi: da anni, uno dei migliori neurochirurghi che abbiamo in Campania (e non solo), il dott. Giuseppe CATAPANO, lotta per ottenere nelle strutture che dirige una terapia intensiva postchirurgica ‘dedicata’, per interventi cosiddetti ‘puliti’, separata da quella postoperatoria per interventi cosiddetti ‘puliti-contaminati’ o, a maggior ragione, ‘contaminati’ o, addirittura, ‘sporchi’.

E dire che, proprio a Caserta, dove non abbiamo un semplice ospedale, bensì un’Azienda ospedaliera di Rilievo nazionale e di Alta Specializzazione, abbiamo avuto, non molto tempo fa, in assenza di una siffatta accortezza, l’esperienza mortificante di pazienti che avevano subito brillanti interventi di cardiochirurgia, deceduti per un ‘batterio killer’, derivato verosimilmente da attività ‘sporche’, annidatosi nei condotti della climatizzazione. Evidentemente lo abbiamo già dimenticato!

Ma il vero dramma si è consumato all’interno dei reparti di malattie infettive e nelle terapie intensive ‘frammiste’, ove incredibilmente oggi, nel 2020, si parla di sale a pressione negativa (ovvero in cui, in caso di apertura di un accesso, l’aria entri dall’esterno verso l’interno, senza possibilità che si realizzi il flusso inverso, per limitare al massimo la possibilità di fuoriuscite di patogeni da dette strutture) come se fossero un recente prodigio della tecnica. Eppure, se non l’ho sognato – e vi assicuro che non è così –  nella prima metà degli anni ’90, quale appendice del Suo corso, il prof. Vittorio BETTA – all’epoca Ordinario, poi Emerito di Fisica tecnica nell’Università degli Studi di Napoli Federico II, padre in Italia della disciplina, dopo averla ‘introdotta per primo dagli Stati Uniti, nei primi anni ’60 –  tenne per noi allievi una specifica lezione sulla progettazione di tali sale. Pensare che, da allora, è trascorso quasi un quarto di secolo e tutto è rimasto come prima, se non peggio, con ambienti di ricovero e terapia per pazienti di malattie infettive ricavati, fortunosamente, in strutture progettate per altro.

E, sul punto, mi si consenta di fare un’altra amara riflessione di quelle che mi procacceranno almeno un centinaio di anatemi, perché non è possibile che, nel nostro Paese, quando si verificano tragedie che il buon senso e la perizia avrebbe potuto certamente evitare, nella migliore delle ipotesi si individuino responsabilità (dopo almeno tre gradi di Giudizio, salvo revisioni postume), ma difficilmente responsabili!

È ora che la classe medica pubblica, sia ospedaliera che universitaria, abbia uno scatto d’orgoglio! A fronte, invero, dei medici eroi – alcuni dei quali giovanissimi e freschi di laurea; altri, all’opposto, anche ottuagenari, in pensione – che si sono offerti come volontari per prestare la loro opera nei luoghi ove il SARS-CoV-2 ha assunto davvero una diffusione preoccupante, vi sono tante figure sanitarie apicali, spesso messe lì dalla politica – che con la Sanità non dovrebbe avere nulla a che vedere – le quali per troppo tempo, indecentemente, hanno finto di non vedere, non sentire, non sapere.

Solo così ti spieghi, all’ospedale di Caserta, la presenza di ‘uffici distaccati’ dei clan; solo così ti spieghi come un primario di un reparto di malattie infettive possa continuare, per anni, ad esercitare in reparti del tutto inadeguati e, comunque, non conformi alla normativa di riferimento, senza elevare la benché minima protesta, magari perché, avendo avuto il classico ‘calcio’ dalla politica, proprio con i politici non se la può prendere…

Voglio vedere se queste figure dirigenziali si fossero assunte la responsabilità di chiudere i propri reparti, andando a protestare sine die sotto gli Uffici della competente Regione, assieme al personale tutto, ai pazienti e ai loro familiari, se saremmo arrivati a questo punto.

Vero è che in alcuni casi si è trattato di malafede o di mera trascuratezza, in altri di inadeguatezza al ruolo. E’ anche per questo che, da anni, invoco la reintroduzione anche per i medici ospedalieri di una progressione di carriera simile a quella universitaria, con tre gradi – assistente, aiuto e primario (o, comunque, denominati) cui si acceda per concorso pubblico nazionale, per titoli, con commissione sorteggiata al competente Ministero, con la specifica previsione per i primari come per i professori ordinari di dover dar prova, al di là delle qualità scientifico-assistenziali/didattiche possedute, di avere anche specifiche competenze manageriali, gestionali, in ambito amministrativo.

Tornando al perché della diffusione incontrollata del virus, vogliamo, infine, parlare dell’assoluta mancanza di presidi idonei di protezione per i medici, i biologi, il personale sanitario e assistenziale che operano nei reparti di malattie infettive, di talché, dopo essersi contagiati, proprio coloro che erano deputati alla cura dei pazienti, involontariamente, si sono trasformati in altrettanti ‘untori?

E la soluzione quale sarebbe? Dotarli di… mascherine, di misere, inutili (se non perniciose) mascherine. E quanti si sono profusi in raccolte e donazioni straordinarie, anche per venire in contro agli appelli che gli stessi operatori sanitari hanno presentato, come se davvero questi presidi potessero aiutarli, come se realmente servissero a qualcosa, contro i virus…

Ma di questo ci occuperemo estesamente nella prossima puntata, dalla quale in poi, apriremo un altro fronte sconcertante, quello delle ‘castronerie antivirus’.

Ci porremo un quesito ben preciso: gel disinfettanti, guanti e, soprattutto, le mascherine – diventate per alcuni ‘eletti’ il nuovo petrolio, il nuovo oro, e per tutti gli altri il primo oggetto nella scala dei desideri – servono a qualcosa, non servono affatto o, addirittura, sono dannosi?

Non mancate, allora, mi raccomando! Vi aspetto con il forte desiderio che ho di contribuire a non farvi oltremodo ingannare dai politicanti e dai para…scienziati loro solidali, soprattutto ora che si parla di imporre l’uso delle mascherine a tutti, peraltro, incredibilmente, proprio allorquando – almeno stando alla vulgata golpista – il contagio si sarebbe sensibilmente ridotto …

Vero è che – come ben comprenderete – basta effettuare qualche test in meno per un paio di giorni, rispetto alla media di quelli eseguiti in precedenza, è l’alterazione dei dati, ad usumcumendatorum’, è bella è servita!

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LEGGI LE PUNTATE PRECEDENTI:

VI PUNTATA: GLI AGGHIACCIANTI PERCHÉ DI TANTE VITE UMANE SPEZZATE

PUNTATA: PERCHÉ CI HANNO RECLUSI

IV PUNTATA: IL MODELLO ANGLOSASSONE E LA “TERZA VIA”

III PUNTATA: EFFETTI INDESIDERATI E COLLATERALI DELLA CLAUSURA FORZOSA (SOPRATTUTTO PER CHI NON VIVE AL GRAND HOTEL)

II PUNTATA: EFFICACIA DELLA CLAUSURA FORZOSA

I PUNTATA: EFFICACIA GIURIDICA DELLE RECENTI RESTRIZIONI GOVERNATIVE