ANALISI DI ALCUNI STRALCI DI DICHIARAZIONI RILASCIATE DAL PARENTICIDA ARAL GABRIELE

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  malke ANALISI DI ALCUNI STRALCI DI DICHIARAZIONI RILASCIATE DAL PARENTICIDA ARAL GABRIELE       

 –      di Ursula Franco  *      –              

Aral Gabriele è nato il 10 marzo 1975 a Roma, nel 2005 è stato condannato in via definitiva a 28 anni di reclusione per l’omicidio dei suoi genitori, Maria Elena Figuccio, 64 anni, e Gaspare Gabriele, 66 anni, e sta scontando la pena nel carcere di Volterra.aral gabriele ANALISI DI ALCUNI STRALCI DI DICHIARAZIONI RILASCIATE DAL PARENTICIDA ARAL GABRIELE

Nel 2002, Aral, studente universitario fuori corso, all’Università di Camerino, aveva raccontato ai genitori di essere prossimo alla laurea in Giurisprudenza mentre invece aveva sostenuto solo una decina di esami, di cui l’ultimo, nel dicembre 1999 e, a ridosso del giorno della fantomatica laurea, invece di rivelargli la verità, li ha uccisi. Durante la cena del 22 marzo 2002, li ha addormentati somministrandogli uno psicoparmaco, il Minias, poi, mentre erano ancora in vita, li ha avvolti in sacchi neri della spazzatura che ha sigillato con del nastro adesivo in modo da indurne la morte per asfissia.

In Statement Analysis partiamo dal presupposto che chi parla sia “innocente de facto” e che parli per essere compreso. Pertanto, da un “innocente de facto” ci aspettiamo che neghi in modo credibile e che lo faccia spontaneamente. Ci aspettiamo anche che nel suo linguaggio non siano presenti indicatori caratteristici delle dichiarazioni di coloro che non dicono il vero. 

Un “innocente de facto” non ci sorprenderà, negherà in modo credibile già nelle prime battute.

Un “innocente de facto” mostrerà di possedere la protezione del cosiddetto “muro della verità” (wall of truth), un’impenetrabile barriera psicologica che permette ai soggetti che dicono il vero di limitarsi a rispondere con poche parole in quanto gli stessi non hanno necessità di convincere nessuno di niente.

Da Aral Gabriele ci aspettiamo pertanto che neghi in modo credibile di aver ucciso sua moglie e che possegga il cosiddetto “muro della verità”. 

Una negazione credibile è composta da tre componenti:

  1. il pronome personale “io”;
  2. l’avverbio di negazione “non” e il verbo al passato “ho”, “non ho”;
  3. l’accusa “ucciso tizio”.

La frase “io non ho ucciso i miei genitori”, seguita dalla frase “ho detto la verità” o “sto dicendo la verità” riferita a “io non ho ucciso i miei genitori”, è una negazione credibile. Anche “io non ho ucciso i miei genitori, ho detto la verità, sono innocente” è da considerarsi una negazione credibile. Una negazione è credibile non solo quando è composta da queste tre componenti ma anche quando è spontanea, ovvero non è pronunciata ripetendo a pappagallo le parole dell’interlocutore.

Stralci dell’intervista rilasciata da Aral Gabriele alla giornalista Roberta Petrelluzzi:

Aral Gabriele: Eee io… mm… prima avevo una vita normale, diciamo, tra virgolette, non… non avrei mai pensato… potevo pensare… non so, diventerò un avvocato, farò questo lavoro o no ee… conoscerò questa donna o mi sposerò, cose normali, non avrei mai potuto pensare di dover finire in prigione perché non ho mai men… commesso nessun reato in vita mia e sono due anni che sono in prigione.

Aral afferma “prima avevo una vita normale”, proprio l’uso del termine “normale” lascia trapelare il contrario.

Aral Gabriele non nega di aver ucciso i suoi genitori, non dice “io non ho ucciso mio padre e mia madre” ma, non senza difficoltà, si esibisce in una negazione non credibile “non ho mai men… commesso nessun reato in vita mia”. 

Il termine “mai” è frequentemente usato da chi dissimula, copre un periodo di tempo indefinito, un’intera vita e proprio per questo rappresenta una negazione non credibile. “mai” è appropriato solo quando viene associato ad una negazione credibile.

Aral Gabriele: C’era tra mia madre e me un rapporto che andava appunto oltre l’affetto, perché c’era un’affinitààà di carattere, di gusti ehm… di ciò che ci piaceva e ciò che n… ci dava fastidio ee… che magari con mio padre non c’era, eravamo due tipi diversi però comunque per lui, appunto, io ero il primo figlio maschio.

Secondo Fredric Wertham (1895 –1981), uno psichiatra statunitense di origini tedesche che ha analizzato un’ampia casistica di matricidi, questi delitti maturano all’interno di rapporti ambivalenti, di odio e attrazione sessuale inconsci.

Secondo la Oliviero Ferraris & Giorda (1995) un figlio può giungere ad odiare il padre e la madre sia per la spaccatura che si crea tra i suoi bisogni, desideri, necessità, aspirazioni e il rifiuto, o l’incapacità da parte della coppia parentale di soddisfarli, sia per il divario esistente fra le richieste dei genitori e la reale capacità del figlio di farvi fronte.

Aral Gabriele uccise i genitori proprio perché incapace di soddisfare quantomeno le aspettative di suo padre.2 4 ANALISI DI ALCUNI STRALCI DI DICHIARAZIONI RILASCIATE DAL PARENTICIDA ARAL GABRIELE

Sulla sua agenda del 2002, in data 14 febbraio, il povero Gaspare Gabriele aveva scritto: “Aral a Camerino domanda laurea presentata (1 mese prima)”, in data 21 febbraio “Aral ultima tesi pagato C/C € 191,25” e infine, in data 27 febbraio “inizio lauree fino ad aprile”, una riprova del fatto che Aral gli aveva fatto credere di essere prossimo all’esame di laurea.

Aral Gabriele: C’era una s… una vita familiare moltooo eee… affiatata, stavamo veramente bene, poi chiaramente c’erano sempre… ci potevano essere dei bisticci, come in tutte le famiglie, non è che eravamo una famiglia delle favole però c’e… di fondo c’era un grande legame, ci volevamo molto bene, non abbiamo mai litigato per cose veramente importanti.coniugi gabriele ANALISI DI ALCUNI STRALCI DI DICHIARAZIONI RILASCIATE DAL PARENTICIDA ARAL GABRIELE

Stralci delle dichiarazioni di Aral Gabriele rilasciate durante le udienze del processo a suo carico:

Aral Gabriele: Vedo che i miei non ci sono… e mi preoccupo che possa essere successo qualche cosa veramente eee… continuo ad andare avanti… continuo ad andare avanti, mmm… il corridoio, controllo nei bagni eee… entro in camera, accendo la luce e in quel momento, in quel momento… vedo che da parte alla par… nella parte destra della camera, all’angolo, c’erano questi… questi sacchi e io… ho su… bito la… la percezione… ho subito la sens… cioè capisco che là ci sono due corpi…….. io (interrotto)

Da notare l’uso dell’avverbio “veramente” che ci indica che quel “successo qualche cosa” è per lui sensitivo.

Il racconto non è scorrevole. Aral, nel tentativo di prendere tempo per organizzare una risposta sensata, inserisce informazioni non necessarie,  fa continue pause, ripete intere frasi “continuo ad andare avanti… continuo ad andare avanti”, “in quel momento, in quel momento”, “ho su… bito la… la percezione… ho subito”,  ripete parole “questi… questi”, ripete concetti usando termini diversi “io… ho su…bito la… la percezione, ho subito la sens… cioè capisco che”.

Da notare che, prima di giungere alla descrizione dei sacchi con all’interno i cadaveri, Aral, nel descrivere un evento accaduto nel passato, parla al presente: “Vedo”, “i miei non ci sono”, “mi preoccupo”, “continuo”, “controllo”, “entro”, “accendo”, “vedo”, un’indicazione del fatto che non sta pescando nella memoria. Che Aral non peschi nella memoria ce lo conferma l’uso di “in quel momento”, che tra l’altro ripete due volte, attraverso il quale, non solo prende linguisticamente le distanze dai fatti, ma ci indica che sta falsificando. Il giudice avrebbe dovuto esplorare e chiedergli che cosa fosse accaduto sia prima che dopo “quel momento”.

Giudice: Si avvicina?

Il giudice sbaglia ad interrompere Aral, lo fa per cercare di velocizzare il racconto dell’imputato ed invece lo contamina.

Aral Gabriele: Io mi avvicino, io mi… inginocchio… mi… sono portato sopra al primo sacco, al sacco che veniva… diciamo che… che…l’unico accessibile il primo sacco che uno si trovava davanti… mi sono chinato sopra questo sacco… ee ho… e ho visto eee… tirati contro… contro la plastica… aderente, i lineamenti…

Ancora un racconto ricco di pause, di ripetizioni e di dettagli inutili.

Ancora due verbi coniugati al presente “mi avvicino” e “mi inginocchio” e poi finalmente Aral inizia a parlare al passato “mi… sono portato”, “si trovava”, “mi sono chinato” e “ho visto”.

Giudice: Intravisto.

Il giudice sbaglia ad interrompere e a suggerire ad Aral il termine “Intravisto” contaminandone il racconto.

Aral Gabriele: Intravisto… i lineamenti… del… del volto di mia madre… era una… la plastica era nera coprente, però quando veniva tirata dava una… una trasparenza arancione, arancione scuro… mi sono… sono rimasto paralizzato, quasi, non so quanto sono durati quegli istanti… mi sono ritratto ad un certo punto…. sono rimasto là ancora alcuni secondi, non so quanti e… e la prima reazione vera che ho avuto, cioè pro… istintiva, è avvertire dei conati di vomito… e sono… sono corso… sono corso in bagno, non so perché non sono andato al primo bagno, a quello rosa, sono andato al bagno blue, non so per quale motivo razionale, sono andato al bagno blue, di nuovo ho provato a vomitare nel gabinetto, praticamente, però, non lo so, forse non avevo mangiato nulla, non… non sono riuscito a vomitare… a questo punto…. sono… sono tornato, piangevo, urlavo, non lo sono… sono corso al telefono e ho chiamato diverse volte il 112 e il 113 e loro riattaccavano, perché, non lo so, forse non capivano, non sentivano, non vedevano una personaa… pensavano ad uno scherzo, non lo so, loro riattaccavano, diverse volte 3, 4, 5, 6 volte, tanto è vero che ad un certo punto io… ricordo… che… ho… mmmm… avevo il cellulare… e dal cellulare… ho chiamato mia sorella.

Il racconto di Aral Gabriele è l’ennesima tirata oratoria ricca di pause, ripetizioni, informazioni superflue, ma soprattutto il focus è su stesso: “sono rimasto paralizzato”, “la prima reazione vera che ho avuto, cioè pro… istintiva, è avvertire dei conati di vomito”, “di nuovo ho provato a vomitare nel gabinetto”, “forse non avevo mangiato nulla, non… non sono riuscito a vomitare” e “piangevo, urlavo”.

Il vomito è uno tra i sintomi somatici di una sindrome di adattamento ad uno stress acuto (General Adaptation Syndrome) evidenziabili sia nelle vittime sopravvissute ad un grave reato che negli autori dello stesso. Tale sindrome non è altro che una fisiologica reazione che segue ad un’esperienza critica. Il corpo umano reagisce ad uno stress acuto rilasciando una cascata ormonale. Se lo stress è prolungato il corpo non riesce a tornare alla normalità e continua a rilasciare ormoni che provocano un aumento della frequenza cardiaca, ansia, aumento della peristalsi gastrointestinale che può portare ad episodi di vomito o diarrea, inibizione della salivazione, midriasi, aumento della sudorazione e della frequenza urinaria, etc.

Quando Aral dice: “la plastica (…) quando veniva tirata”usa una forma passiva per nascondere la propria responsabilità in ordine ai fatti.

Aral Gabriele: Ero sotto shock, non riuscivo… a fare delle frasi sen… sensate, dicevo: “Guarda sono morti… s… babbo e mamma”, gli dicevo, mi ricordo, gli ripetevo tante volte: “Sono nella plastica” e lei non capiva, “Che vuol dire la plastica?”, e io gli dicevo “Sono nella plastica” e ad un certo punto dicevo mmm… le… io gli ho detto: “Sono solo, nessuno mi aiuta”, perché non mi d… rispondevano al telefono prima, quindi ho detto: “Sono solo, nessuno mi aiuta, nessuno mi può aiutare”.

Non è drammatico il racconto che Aral fa della telefonata alla sorella ma quasi comico: “gli dicevo, mi ricordo, gli ripetevo tante volte: Sono nella plastica, e lei non capiva, Che vuol dire la plastica?, e io gli dicevo: Sono nella plastica”. Aral Gabriele mostra di essere privo di empatia.

Aral Gabriele: “Un’altra cosa, secondo me inspiegabile… è… la… ricostruzione sul… su questo presunto soffocamento di mia madre e io dovrei essere riuscito a fare… questo, senza lasciare nessuna traccia, senza lasciare un capello, senza lasciare una goccia ehm senza una goccia, una lacrima, una goccia di pianto, senza lasciare una goccia di sudore, una goccia di saliva, impronte digitali, niente, sono stato un professionista, sono stato di una freddezza glaciale… io, nel fare questo a mia madre, ai miei genitori, alle persone che in assoluto più amavo ed amo… fra tutti e che… le persone da cui sicuramente ero amato di più, che mi avevano fatto solo del bene nella loro vita”.

Aral, nelle vesti dell’avvocato di se stesso, è patetico e proprio mentre prova a difendersi non solo ammette involontariamente di aver commesso il duplice omicidio ma fa trasparire anche un certo compiacimento. Lo stralcio “sono stato un professionista, sono stato di una freddezza glaciale… io, nel fare questo a mia madre, ai miei genitori” è una straordinaria ammissione tra le righe (Embedded Admission) fatta nel tentativo di ridicolizzare le accuse. 

E’ da considerarsi “ammissione tra le righe” solo quell’ammissione di responsabilità che compaia all’interno di una tirata oratoria durante la quale chi è accusato di un certo crimine parla liberamente. Quando un soggetto ripete a pappagallo le parole del suo interlocutore, non si può parlare di ammissione. A volte, come in questo caso, i colpevoli, poiché sono incapaci di negare in modo credibile, si illudono di poter manipolare i loro interlocutori ridicolizzando le accuse.

Da notare che, per due volte, riferendosi agli omicidi, Aral non ne prende le distanze con l’aggettivo “quello” ma mostra vicinanza attraverso l’uso di “questo”.

Giudice: “Brevissimamente, lei acquistò delle medicine, quando, quali e perché?

Il modo di parlare di Aral è insopportabile, per questo motivo il giudice lo invita ad essere breve. Il suo modo di parlare è insopportabile non solo perché Aral Gabriele manca di empatia ma anche perché, avendo commesso i reati dei quali è accusato, teme di tradirsi e pertanto prende tempo inserendo ripetizioni, informazioni inutili e pause nel suo lagnoso racconto dove solo a tratti pesca nella memoria.

Giudice: Quando?

Aral Gabriele: (ride) Brevissimamente…

Aral ride e ripete “Brevissimamente”, mostrando di essere consapevole del fatto che il giudice trova il suo modo di parlare insopportabile.

Giudice: Quando?

Il giudice tenta ancora di velocizzare la risposta di Aral.

Aral Gabriele: Allora, io… parliamo sempre di quei giorni naturalmente, io il mercoledì sera acquisto solo una boccettina di Minias.

Ogni parola superflua pronunciata da un sospettato è doppiamente importante per l’analista. Nonostante l’invito del giudice, Aral, nella fase iniziale della risposta, come al solito, allunga il brodo per prendere tempo e commette un errore quando aggiunge “parliamo sempre di quei giorni naturalmente”, il fatto che sottolinei “quei giorni” suggerisce alla Corte che almeno un’altra bottiglie di Minias se la poteva essere procurato in precedenza.

Aral Gabriele: Ho quindi portato a casa una bottiglia nuova di Minias e sicuramente lascio il Minias in cucina.

Il fatto che dica “una bottiglia nuova di Minias” implica che a casa ve ne fosse almeno una vecchia.

“lascio il Minias in cucina” è una frase al presente della quale Aral Gabriele non prende possesso e che ci rivela che ciò che sta dicendo non è vero perché non sa pescando nella memoria. Aral Gabriele non lasciò la bottiglia nuova di Minias in cucina.3 ANALISI DI ALCUNI STRALCI DI DICHIARAZIONI RILASCIATE DAL PARENTICIDA ARAL GABRIELE

Stralci dell’intervista rilasciata da Aral Gabriele alla giornalista Franca Leosini:

Aral Gabriele: Salgo e di nuovo vedo quasi la stessa scena, si può dire del… del pomeriggio precedente e lààà… làààà… sono stato preso dalla paura e allora, a questo punto, faccio la classica cosa che facevo: chiamo ad alta voce, non mi risponde nessuno finché poi arrivo aaa all’ultima stanza che è la stanza dei miei genitori eeee e a questo punto io faccio quel passo in più per entrare nella stanza e quindi… e trovo… trovo… trovo quei sacchi, sacchi neri di plastica… con le forme umane e io… erano due messe una accanto all’altra, a quel punto non ho no… (piange) io non lo so, mi sono buttato in ginocchio, non riuscivo a urlare, volevo urlare ma nun… nun… non mi sembrava neanche vero, io mi sono avvicinato semplicemente a… a uno dei due e ho visto i lineamenti di… del volto di mia madre e allora, ad un certo punto, non sono più riuscito a guardarli, io mi sono girato, nun… non riuscivo più a guardarli, nun… nun… non riuscivo a a credere che fossero i miei genitori là dentro e allora ho chiamato mia sorella, non mi ha risposto lei, mi ha risposto un’altra persona e io già questo… parlavo, urlavo, non riuscivo… mi sembrava che non ci fosse più neanche lei, mi sembrava tutto irreale e invece poi finalmente è venuta al telefono e lei non capiva quello che gli stessi dicendo, non capiva, non riusciva ad immaginare e io non riuscivo a spiegarle, dicevo: “C’è dei sacchi”, dicevo, ma lei non capiva di questi sacchi.

Come al solito il racconto di Aral non è scorrevole ma ricco di pause, di frasi ripetute, di dettagli inutili ed il focus è su se stesso.

Da notare che “Salgo”, “vedo”, “faccio”, “chiamo”, “faccio” e “trovo” sono tutti verbi al presente, Aral, parlando al presente di un evento passato non prende possesso di ciò che dice, pertanto il suo racconto non è credibile.  L’uso del presente ci indica che Aral sta falsificando. Come in precedenza, Aral usa il presente fino al momento in cui descrive lo stato dei corpi “erano due messe una accanto all’altra”.

“di nuovo vedo quasi la stessa scena”, non solo è al presente ma è inaspettato che qualcuno descriva la propria abitazione facendo ricorso al termine “scena”, la parola “scena” evoca una “scena del crimine”. 

Aral Gabriele: Non riuscivo neanche a guardare… perché… perché vedevo i miei genitoriii… morti, è come se fossero nella spazzatura, era una cosa assurda era… una cosa insostenibile, io nu… non lo so se un altro al posto mio avrebbe reagito in modo diverso, non lo so, io so solo che… che… che ho reagito in quel modo eee e ancora adesso quando ripenso a quello ehm è l’impressione non di una persona che potesse ancora aver bisogno d’aiuto, era l’impressione di un cadavere ecco solo quello… di un cadavere.

Aral ha raccontato di aver trovato i suoi genitori fasciati da sacchi dell’immondizia e il fatto che non li abbia soccorsi ha da subito insospettito gli inquirenti.

Con questa risposta Aral tenta di giustificarsi con la Leosini per i mancati soccorsi: “Non riuscivo neanche a guardare”, “era… una cosa insostenibile”, “non lo so se un altro al posto mio avrebbe reagito in modo diverso” e “io so solo che… che… che ho reagito in quel modo”. Aral ripete per due volte “reagito” rivelandoci che il termine è per lui sensitivo. Per Aral il fatto di non avuto l’intelligenza di “reagire” come avrebbe “reagito” un soggetto estraneo ai fatti, è un cruccio. Lo stesso cruccio tormenta Alberto Stasi, il quale, invece di simulare per intero il ritrovamento del cadavere della fidanzata da lui uccisa poche ore prima, raccontò il falso sostenendo di essere entrato in casa Poggi, di aver cercato Chiara e di aver trovato il suo cadavere sulle scale della cantina. Stasi avrebbe dovuto desiderare di sporcarsi le scarpe di sangue per risultare credibile ma, poiché nelle ore precedenti aveva cercato di eliminare ogni traccia dell’omicidio dai suoi indumenti e dalla sua bicicletta, non riuscì a resettarsi.

“Non riuscivo neanche a guardare… perché… perché vedevo i miei genitoriii… morti”, Aral sente la necessità di spiegare un perché invece di rispondere semplicemente alla domanda, lo fa per anticipare una eventuale contestazione in merito al fatto che non li abbia soccorsi.

Aral Gabriele: Quella seraaa mangiammo del minestrone eeem son venuto che praticamente era già a tavola eee e abbiamo mangiato… io ho mangiato abbastanza velocemente perché io in quei momenti ero molto stanco em… e non vedevo veramente l’ora di… di andare a dormire e io a questo punto volevo prendere le gocce, mi ricordo che andò, invece, mia madre a prendere le gocce e questo lo fece perché lei tentava sempre di, siccome ormai era quasi assuefatta, tentava sempre di farmene prendere il meno possibile perché non voleva che magari diventasse un’abitudine e voleva darmene dieci gocce, così io poi ho insistito, proprio perché stavo male e me ne sono fatte dare venti.

Ancora una volta Aral anticipa una eventuale domanda spiegando un perché “io ho mangiato abbastanza velocemente perché io in quei momenti ero molto stanco”.

Aral fa un minestrone con i tempi verbali e per questo motivo la sua risposta non è credibile. Il Gabriele comincia la sua tirata declamatoria usando il passato remoto “mangiammo” ma poi, invece di dire “arrivai”, sempre al passato remoto, usa il passato prossimo “son venuto”, “abbiamo mangiato”, “ho mangiato” e poi l’imperfetto “ero”, “vedevo”, “volevo” e poi di nuovo il passato remoto “andò” e “fece”, e poi di nuovo il passato prossimo “ho insistito”, e infine chiude con un passato prossimo passivo “me ne sono fatte dare venti”.

“non vedevo veramente l’ora di… di andare a dormire”, l’uso dell’avverbio “veramente” ci indica che per lui fosse sensitivo il fatto di “andare a dormire”.

“e io a questo punto volevo prendere le gocce”, Aral non dice “a quel punto” ma “a questo punto”, un segnale che sta pensando al presente e non rievocando fatti realmente accaduti.

Non è necessario inserire in un racconto la frase “mi ricordo”, è chiaro che un soggetto che dice il vero è in grado di rievocare solo ciò che ricorda. Il ricorso a “mi ricordo” può essere un indice del fatto che il soggetto ha falsificato in precedenza e che ora dice il vero, è questo il caso.

Dicendo “proprio perché stavo male”, Aral ancora una volta sente il bisogno di spiegare un perché invece di rispondere semplicemente alla domanda, lo fa per anticipare una eventuale contestazione in merito.

CONCLUSIONI

Aral Gabriele non ha mai negato in modo credibile di aver ucciso i suoi genitori, anzi ha ammesso di essere stato “un professionista di una freddezza glaciale”.

Aral Gabriele è un bugiardo patologico, ha tratti narcisistici, è privo di empatia, è incapace di provare rimorso e senso di colpa, è capace di macabra ironia, è un manipolatore ed è erroneamente convinto di essere più intelligente dei suoi interlocutori.

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ursula franco 1 ANALISI DI ALCUNI STRALCI DI DICHIARAZIONI RILASCIATE DAL PARENTICIDA ARAL GABRIELE* Medico chirurgo e criminologo, allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis (tecnica di analisi di interviste ed interrogatori), si occupa soprattutto di morti accidentali e suicidi scambiati per omicidi e di errori giudiziari