“A BEAUTIFUL DAY”: UNA RIVISITAZIONE DELLA VIOLENZA E DELLA SOLITUDINE DI “TAXI DRIVER”

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         –       di Mariantonietta Losanno      –                       3657747 scaled “A BEAUTIFUL DAY”: UNA RIVISITAZIONE DELLA VIOLENZA E DELLA SOLITUDINE DI “TAXI DRIVER”Joe (Joaquin Phoenix) è un veterano di guerra che vive nella sua casa di infanzia e si prende cura della madre. Si guadagna da vivere liberando delle giovani ragazze dalla schiavitù sessuale, è disposto, infatti, persino a sacrificarsi pur di salvare delle vite innocenti. Un giorno viene contattato da un noto politico newyorkese, convinto che sua figlia Nina sia stata rapita e costretta alla prostituzione; Joe accetta il lavoro, ma scopre che dietro il rapimento c’è un meccanismo di corruzione e potere molto più grande di lui.

unnamed 4 “A BEAUTIFUL DAY”: UNA RIVISITAZIONE DELLA VIOLENZA E DELLA SOLITUDINE DI “TAXI DRIVER”Lynne Ramsay (“Morvern Callar”, “…e ora parliamo di Kevin”), dirige una pellicola drammaticamente violenta, che si insinua sotto la pelle; le inquadrature lunghe, i silenzi e la musica concorrono a creare un’atmosfera cupa ed angosciante, come se si stesse provando un’inesorabile e dolorosa agonia. Il senso di oppressione è tangibile (sin dalle prime immagini, in cui il protagonista cerca di riuscire a respirare all’interno di una busta di plastica) e la brutalità degli eventi è forse (fin troppo) esasperata. Joe ha vissuto le brutture del mondo, che lo hanno distrutto, e non può far altro che reagire con l’unica arma che conosce: la violenza. Il suo aspetto somiglia a quello di uno zombie, ma nonostante il suo passato doloroso (che conosciamo attraverso dei flashback), c’è ancora qualcosa a tenerlo in vita e a renderlo umano: innanzitutto, il legame con la madre, nei confronti della quale dimostra di avere pazienza ed affetto; e il senso di protezione nei confronti di giovani ragazze violate della loro innocenza. Il suo bisogno di proteggere e salvare queste vite viene vissuto anche come una sorta di riscatto nei confronti di se stesso e del proprio passato: Joe vorrebbe fare pace con i propri demoni interiori, annullando la sofferenza scaturita dai soprusi familiari e dagli abusi militari ai quali ha assistito. È quel ricordo di ingiustizie e sopraffazioni che Joe vorrebbe provare ad allontanare dedicandosi a salvare delle vite: si presenta, dunque, come una sorta di “antieroe solitario”.%name “A BEAUTIFUL DAY”: UNA RIVISITAZIONE DELLA VIOLENZA E DELLA SOLITUDINE DI “TAXI DRIVER”

Lo spettatore avverte la stessa necessità del protagonista, ossia quella di liberarsi da un’asfissiante oppressione per poter finalmente vivere liberi da qualsiasi condizionamento. Nonostante però, il riferimento a “Taxi Driver” sia evidente (e anche -per certi aspetti- a “Léon” di Luc Besson), la storia di “A Beautiful Day” è scarna e poco incisiva. Joe rappresenta il ruolo di giustiziere spogliato da ogni elemento accessorio, ma il suo personaggio dovrebbe sapere parlare persino nei silenzi, così come aveva saputo fare il Travis Brickle di Martin Scorsese. “Taxi Driver” è la rappresentazione della più pura solitudine e della frustrazione che poi diventerà follia; la pellicola di Ramsay fatica, invece, ad elevarsi e fallisce nel tentativo di imporsi come cinema poetico, minimalista e sublime. Si presenta poi eccessiva la componente disturbante: le scene splatter sono eccessivamente presenti e, soprattutto, prolungate.IMG 20170926 193734 1 scaled “A BEAUTIFUL DAY”: UNA RIVISITAZIONE DELLA VIOLENZA E DELLA SOLITUDINE DI “TAXI DRIVER”