“QUATTRO A TRE”

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        –       di Francesco Aliperti Bigliardo *     –               

LA GIURIA John Morgan 1861 QUATTRO A TRE
LA GIURIA_John Morgan (1861)

“…colpevole!”

Non ascoltai null’altro della sentenza. La formula d’altronde è sempre la stessa, che si dichiari la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato, quel che fa la differenza, che decide le sorti di un individuo è l’aggettivo finale. Considerazioni, analisi, valutazioni, testimonianze, concentrate in una parola. Unica e definita, senza ambiguità, priva di incertezze od astrazioni, scevra da dubbi. Così, anche quella volta, la voce del giudice, vuotata di ogni emozione, rese noto il verdetto emesso dalla giuria, alla sparuta rappresentanza di cittadini convenuta nell’aula del tribunale “…colpevole!”

Eppure, quelle dei giurati non erano le facce di persone animate da certezze. L’inderogabilità del giudizio, mal si adattava al tremore delle loro mani simili a seppie surgelate ed il sudore che bagnava le loro fronti aggrottate, reclamava a viva voce la presenza di un “forse“, già: “…forse colpevole”. Erano occorse molte giornate di concitate consultazioni, prima che si giungesse a quella formulazione finale. Ore ed ore di accesi dibattimenti, tentennamenti, ipotesi rigorose e successive inconfutabili e dettagliate disamine, nei ragionamenti dei giurati avevano trasformato quel processo in qualcosa di strettamente personale, finendo con il caricare quell’ aggettivo di una quantità di significati tale che, da solo, proprio non riusciva a reggerne il peso. D’altronde, come aveva più volte fatto notare agli altri giurati il signor Huberth, “…nessuno è colpevole da solo di ciò che ha fatto, bisogna sempre riconoscere all’ imputato di aver agito in concorso!”.

“Andiamo proprio bene, nessuno è colpevole…” aveva pensato nell’occasione, la signora Edda che poi si lascio scappare d’impeto “…intanto qui, caro il mio professorone, c’è un morto che pretende giustizia!”

I giurati, così come richiesto dalla legge, erano giunti in quell’aula, senza conoscere la natura del reato contestato all’imputato, convocati da una lettera, che, per i suoi contenuti eccessivamente specialistici, finì col caricare tutti i presenti di una tensione insostenibile, per far fronte alla quale più volte il limite fissato dalla dialog civile fu violato. Si trovavano di colpo proiettati in una dimensione in cui non esiste più la protezione dell’anonimato e ci si trova a vivere con angoscia la vita della ribalta. “Salve signori, il mio nome è Henry, sono un falegname!” Disciplinatamente via via si presentarono anche gli altri giurati. Per tutta la mattinata, non si dissero molto altro e restarono in questo forzato isolamento per tutta la prima settimana, seguendo con attenzione tutti gli interventi degli avvocati e l’esposizione degli avvenimenti che, di volta in volta, si alternavano al lavoro di istruttoria. Il dottor Falkner, già al secondo giorno, si presentò in aula con una pila di fogli saldamente tenuti da un mollettone per carta, sulla quale cominciò a prendere nota di tutto quello che riteneva opportuno per guidare, selezionare e dettagliare il suo giudizio finale in merito ai fatti esposti. La prima seduta comune, rese evidente che non sarebbe stata impresa di poco conto, far confluire in un solo omogeneo verdetto le impressioni individualmente raccolte in seguito alle evidenze ed alle testimonianze ascoltate durante le prime giornate del processo. Far confluire il tutto in un unico ed insindacabile aggettivo, tenuto soprattutto conto delle oggettive difficoltà del caso, doveva rivelarsi di fatto impresa impossibile da realizzare.. “…non mi fido di quel testimone lì…il suo racconto era così sfilacciato! Andiamo, la realtà è così precisa e sequenziale, quelli esposti erano solo confusi ricordi” affermò con mentita rabbia il dottore, mentre la sempre più visibile insofferenza gli confondeva in maniera determinate, gli appunti. “La vita è in buona parte fatta di ricordi confusi, ingigantiti, deformati dagli anni, ma è questo che ci aiuta a sopportarli, non si può trascorrere tutto il tempo ad annotare come fà lei!” Falkner preferì non replicare a questa insolente affermazione, ma ebbe comunque cura, lontano da occhi indiscreti, di riportare sul blocco la sua opinione “Il falegname è uno stupido!”

Il dottore aveva segnato sul suo promemoria, anche cose che con il processo nulla avevano a che spartire. Notizie relative alla posizione dell’aula, al colore delle sedie, alla generosa scollatura della signora Loan, all’ingarbugliato modo di ragionare del signor Huberth. “La realtà va catturata e catalogata, affinché mai il mondo ci colga di sorpresa” questo era l’insegnamento che regolava le azioni della sua vita, un mondo complesso ed intricato che poteva essere scomposto e reso elementare, se si aveva cura di appuntare con perizia, anche i particolari più insignificanti.

Il suo aspetto fisico era impeccabile, la sua figura si sviluppava tra il bagliore delle scarpe lucide, e la folta chioma, piegata ai voleri di una profumatissima brillantina alla lavanda. La sua era la cattiveria di chi è intransigente dapprima con se stesso. “Non è agevole prendere coscienza dei fatti per bocca dei testimoni, ma questo non vuol dire che non possiamo fidarci delle loro parole, in fondo anche noi, come loro, non facciamo altro che interpretare la realtà. Piuttosto dobbiamo prestare attenzione agli avvocati ed alla seduzione del loro eloquio…”

“Sono d’accordo con lei, signor Hubart” disse la signora Olga, più per entrare nel merito della discussione, che perché avesse veramente compreso il senso di quelle parole. “Mi chiamo Huberth, signora” precisò il signor Osvaldo, Il signor Osvaldo Huberth era un      senza mascherare un bonario sorriso, e poi aggiunse “. ..le nostre conclusioni non dovranno subire le influenze di nessuno e dovranno necessariamente tener conto del tessuto sociale entro le quali, si sono sviluppate le vicende in esame” Edda Penn era una donna pratica e risoluta, contraria ad ogni forma di discussione a carattere filosofico. L’espressione “tessuto sociale” non aveva alcun significato per lei, i suoi pensieri erano netti, concreti, e per questo si sentì in dovere di chiarire quale fosse la sua opinione in merito al comportamento da adottare “Qui si parla troppo ed a sproposito, si tirano fuori paroloni che non ci porteranno ad un bel niente! La verità è che c’è di mezzo un morto, e che spetta a noi punire il colpevole!” Si trattenne dall’aggiungere che se quel tale di cui nemmeno ricordava il nome era finito sul banco degli imputati, una ragione di ci doveva pur essere. Nonostante il suo bonario soprassedere però, la sua constatazione non mancò di rendersi evidente ai suoi un po’ annoiati interlocutori. Fu proprio nell’attesa che Edda dicesse ciò che tutti avevano inteso che la signora Amelia, avvertì l’esigenza di intervenire. Poi però anche lei preferì continuare a tacere. Un frettoloso e a suo giudizio provvidenziale esame delle sue ragioni, la indusse ad attendere che il momento fosse più propizio, meno concitato e soprattutto, meno affollato di ingombranti silenzi. “È inutile parlare a vanvera, se non si ha ancora un’opinione ben definita, che tenga conto delle considerazioni proprie ed altrui, senza che ciò induca in ipotesi strampalate ed incomprensibili agli altri interlocutori.” Amelia Loan era una donna attraente, lo splendore della sua pelle era tale da rendere sciocco il blu dei suoi occhi dallo sguardo intenso. La bocca nascondeva la perfezione di una dentatura senza indugi, e l’imponenza della figura conteneva a fatica l’enormità del suo seno bianco. Nel guardarla, sembrava che la natura si fosse divertita a donarle tutto il meglio di cui disponeva, avendo cura poi, di celare quelle grazie, con attributi via via più stupefacenti. Così non tutti ebbero modo di accorgersi della sua intelligenza da chiaroveggente. Lo stesso Huberth, così misurato quando si trattava di esprimere un giudizio definitivo, finì con l’interpretare il silenzio della bella Amelia, come un rimprovero nei suoi confronti, per l’eccessiva indulgenza palesata nei confronti dell’imputato. “Dunque lei signora Penn, sarebbe disposta a condannare subito il nostro imputato?” disse Osvaldo con il dito rivolto verso la signora, la quale cedendo alla sua mirata provocazione, prontamente replicò “lo non ho detto questo!” Osvaldo la incalzò allora più da vicino “Oh, certo, non ha detto le stesse parole, ma la sostanza è quella! C’è di mezzo un morto, urge nominare un colpevole, per archiviare in fretta questo caso. ..uno vale l’altro. ..” Come se fosse stata punta sull’occhio da un’ape, la signora Edda ben decisa a far valere le sue ragioni, una volta per tutte, balzò in piedi e tenendosi saldamente ancorata alla spalliera della sua sedia” fece valere le sue ragioni “Andiamo è così evidente che è lui il nostro uomo, fidatevi della mia sensibilità, basta poco per provare che è lui l’assassino che stiamo cercando, ora non ne siamo ancora certi. ..” un bagliore sinistro illuminò lo sguardo del signor Huberth, che bruscamente interruppe il farneticante commento della signora Edda “…proprio come pensavo!” “Come pensava, cosa? lo non le consento di giungere a giudizi affrettati circa le mie opinioni…lei non ne ha il diritto!” esclamò con tono concitato la signora Edda, ormai preda di una crisi di nervi.

” Le sembrerà strano signora…” disse allora il signor Huberth “. ..ma le stesse cose che lei rimprovera a me le rimprovera a noi tutti il nostro imputato. ..chi siamo noi per emettere giudizi?” e così concludendo, poggiò il palmo della mano sulle spalle della signora, invitandola, con cortesia, a guadagnare il suo posto vicino all’enorme tavolo in noce massello, intorno al quale si sviluppava la camera di consiglio. “Credo di non aver capito nulla, mi sento così confusa!” Olga Cervantes, espresse con tanto candore il suo stato d’animo, che il signor Osvaldo non potè fare a meno di scusarsi per l’accaduto, mentre Henry con il solito piglio da giocherellone, si propose di fare chiarezza sui primi risultati del dibattimento.

“Cara signora Olga, la sola cosa certa finora, è che faremo Natale qui dentro!” La battuta consentì all’ambiente di tornare sereno e ad Olga di rendere noto a tutti i motivi di una assenza che, almeno sulle prime, era passata inosservata “La signora Iorio è andata via. Sapete ha tre bambini e con il Natale che si approssima. ..beh se ne è andata in giro a fare spese!” Inutile dire che la cosa non piacque al dottor Falkner che si premurò di palesare il suo disappunto all’insaziabile blocco “Sempre peggio!” Il freddo intanto si faceva più pungente, ed Henry si interessò di accendere i riscaldamenti, mentre Amelia, facendo mostra del suo naturale buon senso, consigliò di abbandonare l’aula ” Sono le otto signori, e fuori di qui è Natale anche per noi!”

Capitolo II

Passò il Natale, i primi fiori abbellivano, già da tempo, le estremità degli alberi da frutta e quel processo proprio non ne voleva sapere, di giungere ad un epilogo. I sette giurati, decisero così, all’unanimità, di procedere a votazioni a scrutinio segreto, ogni volta che si chiudeva un’importante fase dell’interminabile cammino processuale. Le posizioni dei giurati in merito ai fatti, erano più che evidenti a tutti. Chiunque dei presenti infatti, avrebbe saputo indovinare il giudizio degli altri, non trascurando di indicare, le motivazioni che si agitavano al fondo delle loro opinioni. Era noto a tutti che, a far pendere l’ago della bilancia da un lato o dall’altro, sarebbe stato alla fine, il giudizio della signora Iorio. Ecco perché di volta in volta, ed alternatamente, i capigruppo delle due scuole di pensiero, che intanto si erano creati, cercavano, in sede di discussione delle testimonianze, di manovrare con argomentazioni più o meno valide, il parere di Camilla. Questa però, insensibile alle lusinghe del signor Huberth e completamente sorda ai rimproveri del dottor Falkner, continuò a formulare i suoi giudizi, seguendo una legge che, per il suo rigore scientifico e per l’intransigenza con la quale si adattava a tutte le situazioni, non è ardito definire matematica. Le valutazioni espresse in camera di consiglio, dagli altri giurati, la incuriosivano, ma di certo, non ne influenzavano il giudizio. Questa variabilità di espressione non era però, come si può credere, conseguenza di una sua fragilità di pensiero, né poteva essere fatta risalire ad una sua cronica mancanza di giudizio critico; tutt’altro. Camilla era tra i presenti, l’unica che non partecipava a quel processo, come se si trattasse di una gara. Non aveva idee da difendere, né battaglie da condurre. Posta nella imbarazzante condizione di chi deve farsi un’idea dei fatti, per poi palesare una opinione dalle conseguenze così devastanti per uno sconosciuto e, più in generale, per tutta la società, aveva scelto di spogliarsi di tutte le congetture e di tutti gli assunti, che sempre ci accompagnano nella vita di tutti i giorni. Senza passato e senza futuro, si era lasciata trascinare dal presente che, ogni giorno, si espletava nell’aula processuale. La sua necessità di sentirsi imparziale, la condusse persino ad evitare di stringere rapporti di amicizia con gli altri giurati e ad abbandonare la sala di consiglio, con un impercettibile, quanto provvidenziale anticipo. “Quattro a tre”, fu il risultato che emerse anche dall’ultima votazione, ed il sorriso che stirò le labbra del dottor Falkner, fece capire a tutti che l’imputato era stato ritenuto colpevole, anche se con un forte e compatto parere contrario. “Abbiamo vinto!” disse con soddisfazione Falkner, rivolgendo uno sguardo d’intesa alla signora Penn ed alla sempre più svagata Olga. Pochi istanti dopo, il signor Huberth abbandonò l’aula, presto seguito da Camilla. Restarono ai loro posti Amelia, stremata dai molti giorni passati con quegli sconosciuti a parlare delle vicende di uno sconosciuto, ed Henry, sul volto del quale si leggeva, per la prima volta, la stessa amarezza che ne oscurò il volto, quando il giudice lesse all’aula, il contenuto di quel sofferto verdetto. Tutto quello che avvenne dopo, in qualche modo vi è già noto. Ben sapete infatti, dei mille ripensamenti cui andarono incontro i giurati, del sudore delle loro fronti e del tremore delle loro mani, al cospetto di quell’imputato e della gente assiepata nei banchi dell’aula processuale. Certo è terribile pensare che se si fosse votato una volta di più, se ci fosse stato più tempo a disposizione per capirsi, se si avesse avuto la pazienza di ascoltare prima ancora che l’esigenza di parlare, le sorti di quello sconosciuto, del quale ancora ricordo il nome, sarebbero state di gran lunga diverse. Ma ormai è tutto così lontano e di questa vicenda, non resta molto altro da raccontare, se non che, non ho più rivisto nessuno dei miei colleghi, e che certamente questi, a gruppi di tre, ancora si incontrano di tanto in tanto.

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NOTE SULL’AUTORE

*Francesco Aliperti Bigliardo (FAB) napoletano, classe 1967, scrittore per passione e metalmeccanico presso lo stabilimento Avio Aero (ex Alfa Romeo Avio) di Pomigliano D’Arco per necessità “perché non si vive di sole parole…” afferma.

Ha pubblicato nel 2009 per Edizioni Mayhem “La grande combustione” una commedia in due atti di ispirazione ambientalista andata in scena al teatro Gloria di Pomigliano d’Arco nel dicembre del 2014.

Altre pubblicazioni minori sono contenute nell’antologia “Assurdotempo e l’esatta logica” di Edizione Corsare e nella raccolta del 2012 per nuovi autori campani di Caracò Editore “Terra mia”.

Prossima uscita a settembre 2020 “Lo strano caso di Domenico Cuomo e del casale 116430623 10221596840862703 6136263620435959378 o QUATTRO A TRESgambizzo”

Breve sinossi

Domenico Cuomo, meglio conosciuto come padre Robin, è un parroco della periferia partenopea che, come il leggendario arciere a cui si ispira, ha deciso di votare la propria esistenza alla protezione dei più deboli. Molto amato dalla comunità parrocchiale, è invece assai temuto dai suoi superiori e dalle istituzioni, che vedono in lui un elemento scomodo. Ma padre Robin va dritto per la sua strada, perché ha un obiettivo ben preciso: recuperare il casale Sgambizzo, antica residenza nobiliare abbandonata, e farne un centro di formazione per quei giovani che vivono tra disagio e criminalità. Quando i permessi tardano ad arrivare, a padre Robin non resta che affrontare di petto la questione.