“V PER VENDETTA”: IL POTERE DELLE PAROLE IN UN FUTURO DISTOPICO

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    –      di Mariantonietta Losanno     –   

“Le parole non perderanno mai il loro potere, perché esse sono il mezzo per giungere al significato e, per coloro che vorranno ascoltare, all’affermazione della Verità”, recita una delle battute di “V per Vendetta”, rivisitazione futuristica di una società in cui vige la più assoluta delle dittature e dove un uomo -anzi, una maschera- incarna un’idea di libertà e giustizia. Tratto dalla graphic novel scritta da Alan Moore e disegnata da David Lloyd, “V per Vendetta” è stato adattato e prodotto da Larry e Andy Wachowski e diretto da James McTeigue. Quando la giovane Evey Hammond (Natalie Portman), infrangendo il coprifuoco, viene assalita dai cosiddetti “castigatori” (che invece di proteggerla e rimandarla a casa tentano di stuprarla), “V”, un terrorista pronto a far saltare il Parlamento -interpretato da un Hugo Weaving senza volto- interviene a salvarla. Every comincia lentamente a subire il fascino della filosofia rivoluzionaria di “V”, fino a diventare la sua più diretta depositaria.v for vendetta 300x197 “V PER VENDETTA”: IL POTERE DELLE PAROLE IN UN FUTURO DISTOPICO

Le idee sono a prove di proiettile: nonostante il regime totalitario che governa sfruttando la paura e la violenza, un vendicatore è pronto a far saltare in aria tutto, per restituire la libertà al popolo. Prima di essere un vendicatore, però, “V” è una vittima; la pellicola, dunque, muovendosi tra dramma e fantascienza, esprime una potente ed attualissima critica sociale e politica. Il personaggio di “V” è tanto potente quanto ciò che incarna: un’idea. L’idea è che il popolo, attraverso un gesto simbolico ma violento, possa (re)impadronirsi del proprio Paese, spodestando i Potenti. L’opera sembra rifarsi al romanzo di George Orwell “1984”, per le somiglianze nella visione antidistopica di una società in cui vigono la censura, il coprifuoco, i castigatori e il controllo totale delle notizie e dei media. “V per Vendetta” sconvolge i valori e gli ideali di rivoluzione: la vicenda, seppure narrata con toni fantascientifici spesso esasperati, è di grande impatto. Come è possibile ribaltare un regime totalitario e persecutorio che ha fatto leva solo e soltanto sulla strategia del terrore? La rottura di un regime, causata dalla ribellione del popolo, rischia di innescare un altro regime altrettanto controllato e assolutista. L’unica soluzione possibile è quella di fare tabula rasa per innestare un’ “anarchia illuminata”, in cui non esistono regimi ed è il popolo a governare se stesso (possibilmente nel modo migliore). È un’ipotesi auspicabile? Concettualmente sì. “Il potere non è un mezzo, ma un fine. Non si stabilisce una dittatura nell’intento di salvaguardare una rivoluzione; ma si fa una rivoluzione nell’intento di stabilire una dittatura. Il fine della persecuzione è la persecuzione. Il fine della tortura è la tortura. Il fine del potere è il potere”, ha detto Orwell. Proprio come “1984”, “V per Vendetta” è al tempo stesso scioccante e necessario, soprattutto per lo sguardo attuale verso le ipocrisie e le contraddizioni del nostro Paese.La pellicola, inoltre, è piena di simboli e significati nascosti che accentuano il tono tetro e angosciante; anche l’atmosfera cupa di Londra non è casuale, ma gioca sul contrasto di luci ed ombre che rappresentano l’animo umano.

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“V per Vendetta” è un film sulle idee. È una denuncia ai governi che usano la forza per annientare le idee ed è una celebrazione dell’ideale di una rivoluzione (da concepire in senso metaforico) che salvi quelle idee e le renda intangibili. “V” non è solo l’iniziale di Vendetta, ma incarna i principi di libertà, cambiamento, consapevolezza. Il progetto di far saltare in aria il simbolo del Potere va inteso come la possibilità per i cittadini di ridefinirsi da zero in assoluta libertà, non come l’intenzione di portare un esercito di ribelli verso l’anarchia. Come in tutti i totalitarismi, infatti, anche la dittatura di “V per Vendetta” è caratterizzata dalla messa al mondo della cultura e dall’emarginazione; è questo, dunque, che va salvaguardato. La cultura, le idee, l’informazione (sempre rifacendoci allo scenario immaginario e distopico di Orwell, “La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza”): sono questi i mezzi da utilizzare. “V per Vendetta” insegna a tutelare sempre il significato e il Potere delle parole, non importa chi sappia ascoltarle (come quelle di Valerie, che non importa a chi siano rivolte o se siano vere, importa che una Valerie avrebbe potuto vivere una vita come quella che lei ha descritto).    

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“Quel peso di male che grava sugli uomini del Dritto, quel peso che grava su tutti noi, su me, su te, quel furore antico che è in tutti noi, e che si sfoga in spari, in nemici uccisi, è lo stesso che fa sparare i fascisti, che li porta a uccidere con la stessa speranza di purificazione, di riscatto. Ma allora c’è la storia. C’è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, m’intendi? Tutto servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire un’umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi. L’altra è la parte dei gesti perduti, degli inutili furori, perduti e inutili anche se vincessero, perché non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell’odio, finché dopo altri venti o cento o mille anni si tornerebbe così, noi e loro, a combattere con lo stesso odio anonimo dietro agli occhi e pur sempre, forse senza saperlo, noi per redimercene, loro per restarne schiavi”, ha scritto Italo Calvino ne “Il sentiero dei nidi di ragno”. In “V per Vendetta” chiunque indossa una maschera: quella della vittima oppure del dittatore, quella del persecutore o del manipolatore, quella del potente e dello schiavo. È un’opera che si serve delle contraddizioni e dei simbolismi, che affronta la paura e l’indifferenza delle persone di fronte al Male: come insegna Hannah Arendt ne “La banalità del male”, […] “il male non è mai ‘radicale’, ma soltanto estremo, e non possiede né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso “sfida” il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua ‘banalità’. Solo il bene è profondo e può essere radicale”. “V per Vendetta” è una pellicola cupa ed allusiva che va analizzata e studiata in ogni suo aspetto.