“IL VIZIO DELLA SPERANZA”: LA LOTTA PER AFFERMARE IL DIRITTO ALL’UMANITÀ

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di Mariantonietta Losanno 

Pina Turco, attrice napoletana e moglie di Edoardo De Angelis, interpreta Maria, una giovane donna al servizio di un sistema camorristico che compra e rivende neonati in un contesto di assoluto degrado. Il compito di Maria è quello di badare alle prostitute e, qualora incinte, traghettarle -come se fosse Caronte- in una baraccopoli, farle partorire e costringerle ad affidare i nascituri al sistema criminale che li venderà a chi non può essere una “madre naturale”. Maria, però, rimane incinta: è possibile, per lei, una speranza di vita nuova? 

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“I figli non sono chi li fa, ma anche di chi li vuole”, è quello che ripetono le aguzzine alle partorienti. Ed è quando Maria scopre di aspettare un bambino che decide di cominciare la sua personale ribellione contro il sistema di cui fa parte, aiutando a far scappare una prostituta al nono mese di gravidanza, così come dovrà fare lei stessa pur di poter tenere il bambino che porta in grembo. Edoardo De Angelis descrive un purgatorio di anime perse a Castel Volturno (i colori e l’ambientazione ricordano “Dogman”, di Matteo Garrone), una realtà in cui non c’è luce né speranza: la pellicola descrive una vera e propria lotta per affermare il diritto alla maternità. Il regista vuole mostrare e dimostrare quante storie ci sono ancora da raccontare e che meritano di essere conosciute; l’opera assume le sembianze di una “parabola” (in cui ci sono molti riferimenti alla religione) che nella nascita trova la possibilità di rigenerarsi e redimersi. Le musiche di Enzo Avitabile accompagnano gli stati d’animo e fanno da cornice ad una realtà degradata rappresentata, però, non soltanto come la terra degli ultimi ma come un luogo di possibile rinascita. Maria rappresenta a piena quest’idea di redenzione: seppure all’inizio non concepisca altro che il suo “lavoro” e agisca con risolutezza e incuranza del pericolo, la speranza (e la conseguente possibilità di sentirsi libere da quel sistema) la porta a credere di poter cambiare realmente la sua vita e se stessa.

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“Il vizio della speranza” è un film in “evoluzione”: in uno scenario in cui ogni bruttezza sembra essere data per scontata, pian piano si fa spazio una possibilità di cambiamento. È come se Maria si liberasse dalle sue colpe e riscoprisse così una nuova umanità, purificata da tutto quello che era stato in precedenza. Edoardo De Angelis descrive i suoi personaggi come degli schiavi, che devono sottostare al codice della criminalità (a cui aderiscono con imperturbabilità, come se fosse normale rispettarlo), in una realtà in cui la speranza sembra non avere diritti e possibilità. La fuga affannata e disperata di Maria è il fulcro dell’opera: ha sempre attraversato quel fiume triste ed inquinato compiendo il suo lavoro, eseguendo gli ordini senza provare nulla. È la sua ribellione la vera rinascita. Dalle macerie, dalla bruttezza e dall’abbandono, Edoardo De Angelis realizza un’opera intrisa di poesia (è il suo “vizio” nel cinema), partendo da un personaggio per calarlo in una geografia -fisica e umana- dominata dal degrado. Anche una legge immutabile che asservisce chiunque vi aderisca può mostrare una “luce” (la pellicola è quasi interamente al buio): “Il vizio della speranza” dimostra come si possa continuare ad essere degli esseri umani. Lo spettatore assiste al cambiamento del corpo di Maria -un corpo che ha sempre cercato di ignorare- a cui consegue il rifiuto di sopportare quella routine di sottomissione: da soggetto che sfrutta diventa oggetto di sfruttamento. Eppure, in tutto questo, si avverte un senso di libertà e di fiducia. De Angelis gioca con luci e colori creando un’atmosfera disturbante ma realistica, assecondando il ritmo della narrazione a quello della musica. 

Maria interpretata da Pina Turco qui con il suo inseparabile cane © Paolo Ciriello 300x200 “IL VIZIO DELLA SPERANZA”: LA LOTTA PER AFFERMARE IL DIRITTO ALLUMANITÀ

Con un tono mesto e senza bisogno di ricorrere a colpi di scena, il regista attraverso il personaggio di Maria -che è al tempo stesso vittima e carnefice- rappresenta la possibilità (anche in un luogo “post-apocalittico” infestato dall’orrore in cui non ci sono diritti) di riacquistare dignità, femminilità, umanità. De Angelis porta a galla l’anima del suo personaggio, che evolvendo impara a guardare le cose da una prospettiva diversa. Quel crimine mascherato e venduto come gesto di amore nei confronti di chi non può avere figli viene improvvisamente rifiutato dal bisogno di cercare una forma di moralità. 

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