“PIECES OF A WOMAN”: TUTTO IL PESO DI UNA VITA

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di Mariantonietta Losanno

Presentato in concorso alla 77esima edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, dal 7 gennaio è disponibile sulla piattaforma Netflix la prima opera in lingua inglese del regista ungherese Kornél Mundruczó, scritta dalla collega e moglie Kata Wéber, che attraverso la sceneggiatura rintraccia e fa riaffiorare un evento biografico di un’esperienza vissuta personalmente. Martin Scorsese è il direttore esecutivo: “È una cosa rara per me vedere un film che mi coglie del tutto di sorpresa e con Pieces of a Woman è accaduto”, ha commentato. “Più che una storia è un’esperienza che dal punto di vista emotivo tocca le corde più intime delle persone e ti travolge in modo sempre più forte con lo scorrere del film. Mundruczó ha una maestria con la macchina da presa in grado di far immergere nei dettagli più profondi della storia lo spettatore per cui risulta impossibile non farsi coinvolgere in pieno dalla vicenda” 

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“Pieces of a Woman” osa raccontare la visceralità del dolore: è un film che rompe gli schemi “tradizionali” della raffigurazione del dolore umano, eliminando qualsiasi tipo di filtro estetico. In questa pellicola viene raccontata la storia di Martha (Vanessa Kirby, che per la sua incredibile interpretazione ha vinto la Coppa Volpi) e Sean (Shia LaBeouf), una coppia in attesa della loro primogenita, che vive in funzione di questo cambiamento: hanno acquistato una monovolume, hanno allestito la stanza che accoglierà la nascitura, hanno incorniciato le foto dell’ecografia. Questa nuova vita sancirà una volta e per sempre la genitorialità di questa giovane coppia che ha fortemente voluto un parto nella tranquillità delle mure domestiche, tra la sicurezza e il tepore dei propri spazi conosciuti. Qualcosa va storto, l’ostetrica che doveva assisterli, viene sostituita all’ultimo momento e la vita che sta per sbocciare riesce a transitare sulla terra (e fra le braccia della madre) solo per pochi minuti: la nascita si tramuterà brevemente in una tragedia di un lutto assordante. 

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Kornél Mundruczó sceglie di osservare il lutto senza la volontà di “risolverlo”, ma solo ritraendo le diverse reazioni di fronte ad un dolore indicibile. Martha si comporta con freddezza, la sua sofferenza si trasforma brevemente in una rabbia così intensa che le impedisce di stabilire qualsiasi rapporto umano, sia con il compagno, che con la famiglia o con i colleghi. Sean vorrebbe sfogarsi e al tempo stesso avere giustizia, volendo necessariamente trovare un colpevole (che, in questo caso, è l’ostetrica che verrà portata anche in tribunale). Il film affronta il peso della vita senza scorciatoie o semplificazioni. Non ci sono giudizi, né insistenze o spiegazioni: “Pieces of a Woman” racconta come sia possibile sopravvivere di fronte ad una tragedia, senza tradire se stessi né danneggiare chi è vicino. Cosa fare del dolore? Che forma dargli, che significato? “Cercavo un ruolo che mi spaventasse, un personaggio di cui avere, per certi versi, paura – rivela Vanessa Kirby durante la conferenza stampa del film – e nel personaggio di Martha l’ho trovato. É stato impegnativo e allo stesso tempo stimolante. Io non sono una madre ma avevo il dovere di mostrare la maternità nel modo più vero possibile e per poterlo fare ho dovuto accedere a delle corte delicate della mia sensibilità. Volevo rappresentare al meglio l’essenza della perdita e spero di averlo fatto”. La sofferenza rappresentata nel film, inevitabilmente, spaventa; di conseguenza, anche la reazione della madre turba lo spettatore, impaurito e sopraffatto da un dolore che nessuno avrebbe la capacità di “gestire”. La sceneggiatrice non risparmia affatto dettagli “sconvenienti” del corpo della donna (le improvvise perdite di latte che macchiano i vestiti, il senso gonfio e dolorante, la forte nausea), riconsegnando alle spettatrici madri (e non solo) una verità spesso nascosta e sottratta agli occhi di chi, la maternità, piace raffigurarla come momento culminante e divinizzato della vita di una donna. E in fondo, nella vita reale il dolore si presenta così: non viene abbellito né reso meno intollerabile. Questo non vuol dire che – nel film, ma anche nella realtà – il dolore debba avere la meglio. A vincere è la capacità di sopravvivere, di accettare la sofferenza senza pretendere mai di poterle attribuire una spiegazione esaustiva, senza cercare ossessivamente un colpevole (perché, purtroppo, in molti casi non c’è, e qualora ci fosse non rappresenta la soluzione del problema), senza prendersela con se stessi per essere ancora vivi e con gli altri per sfogare la propria rabbia. È questo che il film racconta, facendo del dolore il protagonista assoluto, ma riuscendo anche a staccarsi da un’idea di negatività assoluta. È uno spaccato di vita reale, che nonostante faccia paura, emoziona proprio per l’aderenza alla realtà con cui viene rappresentato. 

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Nella pellicola c’è anche altro: la crisi coniugale, infatti, presto vira in una resa dei conti tra Martha e sua madre che rimette in gioco tutto il loro rapporto (e il passato della madre) con accenti imprevedibili e complicazioni di contorno. L’opera, inoltre, è intrisa di simbologie e significati da analizzare. “Pieces of a Woman” è l’anatomia di un lutto, un film che affronta un tema raramente approfondito al cinema: è un’esperienza emotivamente invasiva ed intesa, resa ancora più potente dal piano sequenza di quasi mezz’ora con cui il regista film la scena del parto. Questa devastante autenticità è probabilmente eccessiva e sfiancante, ma necessaria: fa a pezzi il pubblico, ma poi lo ricompone. “È possibile sopravvivere dopo che si è persa la persona che più si amava? A cosa ci si aggrappa quando sembra che non ci siano più appigli? Mia moglie ed io volevamo condividere con il pubblico una delle nostre esperienze più personali attraverso la storia di un figlio non nato, nella convinzione che l’arte possa essere la miglior cura per il dolore. Saremo gli stessi di prima dopo una tragedia? Riusciremo a trovare qualcuno che ci accompagni nella caduta libera del dolore? Il mondo appare capovolto, un luogo in cui non riusciamo più a orientarci. Con Pieces of a Woman volevamo realizzare una storia autentica su una tragedia e su come imparare a convivere con quel dolore. Una perdita sfugge alla nostra comprensione o al nostro controllo, ma porta con sé la capacità di rinascere”, ha commentato Kornél Mundruczó.