OSCAR 2021, “DRUK” (“UN ALTRO GIRO”): UN BRINDISI (DI TROPPO) INSIEME A THOMAS VINTERBERG

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di Mariantonietta Losanno 

È bizzarro pensare che un film possa omaggiare l’alcol. Thomas Vintenberg, più che la dipendenza, vuole celebrare la “sete di vita”, indicando una possibile strada da percorrere; l’errore sta nel pensare, però, che possa essere soddisfatta da un mostro come l’alcolismo. “Druk” parla di insoddisfazione e di come la maturità non sia sempre quello che sembra. L’idea di un’inebriante perversione – anche a costo dell’alienazione – può affascinare.  

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Quattro colleghi decidono di cominciare a bere regolarmente ogni giorno, per supplire alla mancanza di alcol che l’uomo si porta dietro dalla nascita, secondo la teoria dello psichiatra norvegese Finn Skårderud. Martin, professore di scuola superiore, si rende conto che i suoi studenti, i suoi coetanei e la sua famiglia lo trovano noioso e apatico, come se si fosse spento. Da giovane era appassionato, vivace, brillante. D’accordo con i suoi colleghi, allora, decide di mettere in pratica una strana teoria. L’esperimento, che ha anche un’aspirazione scientifica, comincia a dare subito i primi risultati: Martin torna ad essere un insegnante apprezzato. A quale prezzo però? Secondo Skårderud, esattamente un livello costante – circa lo 0,05% – di alcol nel corpo renderebbe più gioiosi e, di conseguenza, più ispirati e creativi. Certo, se immaginiamo quanto sia servito agli artisti per avere ispirazione possiamo dare anche credito a questa teoria. Ma in che modo si può riuscire a tenere sotto controllo quella che in breve tempo diventa una vera e propria dipendenza? Martin e i suoi colleghi credono di essere coraggiosi: la questione dell’ebbrezza perpetua sembra essere la soluzione ad ogni problema. Le cose, però, facilmente prendono un’altra piega. 

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Thomas Vinterberg inneggia all’alterazione di sé, realizzando una pellicola provocatoria ma per niente superficiale. Non vengono mai negate le conseguenze degli abusi; anzi, vengono mostrate sulla pelle dei quattro amici e colleghi che si sottopongono a questo esperimento (fin troppo) audace. Il regista prova a suggerire come vivere, assumendosi le proprie responsabilità, nel bene e nel male. Probabilmente un gruppo di studenti potrà trovare il proprio professore noioso, “vecchio” o poco stimolante, ma la versione “allegra” non sarà capace di fornire gli stessi strumenti di apprendimento. È una questione di scelta. Infatti, la parola chiave del film è proprio la libertà: di fallire, di rischiare, di mettersi in gioco, di vivere senza irrazionalità rifiutando le regole, rimettendo in discussione le cose senza obbedire passivamente. Vinterberg ci porta nella patria di Kierkegaard (la Danimarca), mostrandoci come una “semplice crisi di mezza età” possa avere risvolti così imprevedibili. Probabilmente, c’è un’ebbrezza eccessiva, a tratti disturbante, ma necessaria a rendere il film libero anche nella forma e nell’andamento. “Druk” ci mostra inizialmente la confusione e il senso di frastornamento dei quattro protagonisti, poi la completa dissoluzione. Non si vince con l’alcolismo. Non è possibile diventare “amici” e abbandonarlo quando poi abbiamo trovato il modo di tornare ad essere brillanti come prima. Il punto è capire qual è il vero fallimento. Si fallisce accettando la vecchiaia? Si fallisce reagendo alla vecchiaia? O, ancora, si reagisce provando ad apprezzare quello che la vecchiaia può dare? 

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Gli studenti di Martin i primi giorni dopo il suo “cambiamento” lo guardano attoniti, entusiasti, meravigliati. Ma quanto può durare tutto questo stupore? I quattro personaggi passano da una meditazione introspettiva del fallimento al bisogno irrefrenabile di provare ad essere una versione di sé che potrebbero o non potrebbero essere mai stati. Thomas Vinterberg e Mads Mikkelsen tornano a collaborare dopo otto anni da “Il sospetto” e riescono a colpire perfettamente nel segno. “Druk” – che ha ricevuto l’Oscar come miglior film straniero – è un’occasione per godere di cinema (ir)responsabilmente: è una storia che diverte ma provoca, capace di far ridere, piangere, disgustare ed esaltare. 

Arrivati alla fine, però, alla fatidica domanda “un altro giro?”, in che modo si risponderà?