REFERENDUM, QUESTO SCONOSCIUTO

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di Vincenzo D’Anna*

Siamo sommersi da una vera e propria orgia di sondaggi. Non c’è trasmissione televisiva che non ne faccia uso per sostenere, oppure confutare, il gradimento sulle opinioni correnti. Tuttavia, si nota un diffuso disinteresse per i sei quesiti referendari sulla giustizia presentati, pochi giorni fa, in Cassazione, da Lega e Radicali. Tutto, infatti, resta circoscritto in qualche secondo di cronaca televisiva e poche chiose a margine delle pagine di politica sui principali giornali. Per il momento ne fanno una propria “bandiera” gli eredi di Marco Pannella, guidati da Maurizio Turco, e Matteo Salvini leader incontrastato del Carroccio. Gli stili di quanti sostengono l’impresa referendaria, sono, al momento, piuttosto diversi: discreti i Radicali che si muovono con la spocchia di coloro che la materia l’hanno inventata; rumorosi i Leghisti che ne fanno un punto decisivo della nuova strategia unitaria proposta al centrodestra. Entrambi però nulla hanno fatto, finora, per spiegare i contenuti dei quesiti da sottoporre al popolo italiano, qualora la Suprema Corte dovesse ritenerli ammissibili dal punto di vista costituzionale. Se si svolgesse un sondaggio sul grado d’interesse degli italiani verso l’istituto della consultazione referendaria, forse potremmo misurare quanto grande, in termini percentuali, sia veramente l’attenzione verso la riforma della giustizia che il referendum si propone di realizzare. Parliamoci chiaro: per molti anni certa politica ha declinato una vocazione giustizialista, facendo dei processi mass mediatici e della gogna preventiva un sistema di lotta, uno strumento di eliminazione degli avversari politici, spesso assurti al ruolo di nemici mortali. L’epoca berlusconiana ha dato la stura a comportamenti che hanno travalicato ogni limite, anche quello della decenza e del buon senso. L’uso della magistratura politicizzata è puntualmente servito per condizionare l’esito del voto. Per lunghi anni, moralismo e scandalismo hanno rappresentato il filo conduttore dello scontro tra centrodestra e centrosinistra, con quest’ultimo schieramento sovente consegnatosi, anima e corpo, all’uso dei collegamenti organici e politici con talune correnti della magistratura. Un ruolo decisivo, in questo campo, è stato svolto anche dall’azione, in combinato disposto, tra taluni giornali (quali quelli nati sull’onda moralistica) e trasmissioni televisive trasformate in gogna salottiera per delegittimare uomini politici e governi scomodi. In Parlamento, poi, in taluni periodi si parlava più di processi che di legislazione, più di scandali che di opere pubbliche. Ad ogni assoluzione – intervenuta dopo svariati anni – dei politici inquisiti ed esposti al pubblico ludibrio, si alzava, sì, l’onda dell’indignazione ma poi, puntualmente, si ricascava nell’usuale manfrina politico giudiziaria. Per dirla con Manzoni, all’indomani si tornava più don Rodrigo che mai!! L’acme di questo fenomeno fu raggiunto con i governi del Cavaliere e con una recrudescenza postuma nel governo Renzi per poi assopirsi e sparire al giorno d’oggi, in seguito agli scandali Palamara e Csm. Questi ultimi hanno disvelato quello che in molti settori politici e professionali (leggi avvocatura) si era sempre sospettato e denunciato, ovvero l’esistenza di un rapporto organico tra settori politicizzati della magistratura e partiti politici di sinistra, versante dal quale sono partite quasi tutte le campagne scandalistiche. Aver poi appurato che non si trattava solo di collegamenti politici ma di un costante esercizio di potere e di condizionamento per le scelte apicali da compiere nelle principali procure italiane, ha suscitato un vero scandalo, ben oltre l’indignazione. I record di vendite nelle librerie del libro rivelazione dell’ex pm Palamara sugli andazzi (non credo tutti) consumati per controllare i vertici della magistratura, ha diffuso capillarmente la conoscenza del fenomeno, creando le premesse referendarie. Il pericolo è che Salvini impieghi il referendum più per uso propagandistico esterno e per collante interno, utilizzando la “vocazione” berlusconiana a riabilitarsi politicamente e giudiziariamente, che per realizzare una riforma essenziale ed indispensabile. Dei sei quesiti i primi due riguardano la riforma del Csm ed un altro la responsabilità civile dei magistrati. Altri due la separazione delle carriere tra pubblici ministeri e magistrati giudicanti. Ed ancora due il limite di carcerazione preventiva e l’abolizione della incandidabilità così come previsto nella legge Severino. In ultimo spicca il quesito di coinvolgere tutti gli operatori di giustizia, avvocati compresi, nel giudizio di merito da attribuire ad un magistrato. Questi ultimi due quesiti sembrano essere, in verità, una forzatura inutile e divisiva, un’ingiusta rivalsa nei confronti dei “togati”. La politica dovrebbe evitare vendette ed esagerazioni, ne guadagnerebbe sia la giustizia che la moralità dei propositi.

*già parlamentare