GIACOMINO, LO SCIENZIATO CHE VIDE L’INFINITO E IL NULLA

0
PEPPE ROCK GIACOMINO, LO SCIENZIATO CHE VIDE LINFINITO E IL NULLA
   
–   di PepPe Røck SupPa   –     
Accadeva prima che la cultura umanistica si separasse dalla cultura scientifica (ma gia c’erano i primi cenni), le due culture si parlavano e si nutrivano a vicenda, ma è anche vero che sto per parlarvi di Giacomo Leopardi, Giacomino mio, un genio infinito proprio come il suo Infinito, e con lui non c’è mai da stupirsi, e non era esattamente un letterato normale come tutti gli altri letterati.
Insomma, il suo “Compendio di storia naturale” accanto ad un altro suo saggio giovanile “Saggio di chimica e storia naturale”, del 1812, un giovane Giacomino dimostra tutto l’interesse per la Scienza, indispensabile per capire l’universo. Regno animale, regno vegetale, regno minerale, Giacomino divora di tutto, vuole sapere tutto e si chiede pure se farà mai qualcosa di grande nella vita, e paragonandosi a un orso in gabbia così scrive: Farò mai niente di grande? “Né anche adesso che mi vo sbattendo per questa gabbia come un orso?” (la gabbia era casa sua).
i  id8918 t1578453377 GIACOMINO, LO SCIENZIATO CHE VIDE LINFINITO E IL NULLAStudia le formiche e le api e ne apprezza molto l’organizzazione sociale, ovviamente superiore a quella umana, la quale  “manca di unità”. Osservando come la società “non e già propria del sol uomo” , le formiche la fanno per “trasportare pesi” , “le api hanno un loro governo”. Ma già si intravede tutta la visione Leopardiana dell’esistenza, perché un giardino è bello visto da lontano ma osservato nel piccolo è una lotta per la sopravvivenza, di “offese e difese”. Non esiste armonia che non nasconda sofferenza biologica, la spietatezza della natura.
Gli studi scientifici lo portano ad approfondire altri argomenti, perfino la chimica e l’arte culinaria (e il senso dell’umorismo, sentite qui), come testimoniano due lettere inviate a quel palloso padre Monaldo e al fratello Pierfrancesco nel 1827 e nel 1828 riguardo una ricetta per delle schiacciate di Pasqua e le sue ricerche sullo zucchero: “lo ne manderei una per posta a Paolina (perché é roba che ci entra il zucchero), ma bisogna mangiarle calde, e io non posso mandare per la posta anche il forno”.
Giacomino appare anticipatore perfino delle attuali neuroscienze rispetto a molte credenze filosofiche dell’epoca, nel valutare il pensiero in funzione della materia, e prodotto dalla materia. Il 18 settembre del 1827 scrive infatti: “Che la materia pensi, è un fatto. Un fatto perché noi sentiamo corporalmente il pensiero: ciascuno di noi sente che il pensiero è nel suo braccio, nella sua gamba: sente che egli pensa con una parte materiale di sé, cioè col suo cervello”.
Si sentiva talmente neuroscienziato (a sua insaputa) da interessarsi perfino ai minicervelli degli insetti, ragni, vespe, calabroni, mosche, zanzare, grillotalpe, perfino ai mirmicoleoni, che altro non sarebbero che i formicaleoni.
Del resto, Giacomino così annota nei “Detti memorabili di Filippo Ottonieri”: “Osservando insieme con alcuni altri certe api occupate nelle loro faccende, disse: beate voi se non intendete la vostra infelicità”.
Stessa cosa vale per gli esseri umani: per Giacomino erano beati gli antichi, perché erano piú ignoranti e potevano essere felici. E pensare che Giacomino muore nel 1837, ben prima della teoria dell’evoluzione di papà Darwin, che avrebbe frantumato definitivamente l’equilibrio tra scienziati e umanisti, cosa a cui non erano riusciti neppure Copernico, Galileo e Newton.
Non per altro il principale avversario di Darwin fu il reverendo Williarm Paley, esponente della “teologia naturale” (per quello che significa poi).
Il Pianeta Terra, ai tempi di Giacomino, aveva ancora qualche solo migliaio di anni, secondo la narrazione biblica, e i fossili erano reputati resti del Diluvio Universale. Ma non possiamo incolpare Giacomino di non saperlo. Da li a poco meno di un secolo quel miglialo di anni sarebbero diventati miliardi, e noi, come avrebbe scritto poi Mark Twain, rispetto alla storia della vita sulla Terra paragonata alla Torre Eiffel, solo
la vernice che ne ricopre la punta, cioè il niente. Un quasi nulla.
Con Charles Darwin si apre un baratro da cui gli umanisti si terranno sempre ben lontani e che porterà come sappiamo (non tutti) alle conferme dei fossili, del DNA, della biologia molecolare (per non parlare delle scoperte astronomiche e poi atomiche e subatomiche), e a togliere all’uomo (e all’universo) qualsiasi finalità metafisica.
Ma in fin dei conti, per Giacomino, sarebbe cambiato pochissimo, perché resta ancora valido, attuale, anzi ancor di più, il suo tutto è nulla, solido nulla. Altro che pessimista nichilista!