COVID, IL PARADOSSO DI ZENONE

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   –   di Vincenzo D’Anna*   –                                                                

Una delle più belle ed eloquenti definizioni della politica è stata scritta da Hannah Arendt nel libro dall’iconico titolo “Politica”. Quest’ultima, a differenza della filosofia, che dedica le massime all’archetipo dell’Uomo, pensato uguale ed immutabile, si rivolge alla diversità degli uomini e quindi agisce in un contesto molto più difficoltoso e variegato. La Politica è l’arte del governo degli uomini attraverso istituzioni la cui composizione è determinata e selezionate per il tramite del voto popolare a suffragio universale. Arte che deve armonizzare e tener conto della diversità dell’essere umano, percepito nella sua dimensione di grandezza oppure di miseria. Uomini diversi per volontà, attitudini, facoltà, vizi e virtù. Tutte componenti di un corpo sociale che l’arte politica deve ricondurre ad un’unita di comportamenti al solo fine di garantire la civile e pacifica convivenza. Capita così che coloro che sono stati scelti per governare siano chiamati, con frequenza giornaliera, ad assumere decisioni che per taluni possono apparire poco condivisibili se non addirittura dannose. Tuttavia la democrazia, lungi dall’essere considerata la tirannia della maggioranza, deve procedere nell’agire quotidiano, assumendo decisioni anche impopolari purché improntate alla massima opportunità ed al bene comune inteso come tutela degli interessi generali. In materia sanitaria, laddove è in gioco la vita stessa degli individui, le scelte possono anche diventare divisive se non drammatiche innanzi alle diverse opinioni ed al principio di libertà e di autonomia che investe la sacralità del proprio corpo (e la sua salvaguardia). La stessa Costituzione italiana richiama il principio che nessuna pratica medica possa essere imposta ai liberi cittadini nel rispetto del principio dell’inviolabilità del proprio organismo. Una prerogativa che, in taluni circostanze, confligge con il più generale principio di tutela degli interessi diffusi della popolazione. È questo il caso delle vaccinazioni tuttora in corso, contro un’epidemia che mette a repentaglio la salute di molti se non si instaura, anche con la coercizione, l’obbligo a curarsi e proteggersi di pochi. È su questa base che chi governa assume la decisione di rendere obbligatoria l’immunizzazione del corpo sociale mediate una profilassi diffusa in grado di evitare il diffondersi del morbo che l’affligge. Tuttavia le due libertà devono poter convivere evitando che l’una possa inficiare l’altra, che il diritto, cioè, la libertà di praticare cure, diventi esso stesso mezzo di pericolo per coloro che intendono proteggersi dalla pandemia. Quindi il punto esimente delle direttive è quello di valutare se coloro che non si vaccinano mettono a repentaglio la salute di coloro che sono vaccinati o che ancora devono vaccinarsi. In sintesi: se la soppressione dell’una libertà, quella dell’inviolabilità del corpo dei cittadini, possa essere ritenuta cosa giusta ed opportuna per la tutela della più generale libertà dei cittadini a proteggersi dalla malattia. Passando dal punto di vista giuridico costituzionale a quello puramente scientifico, se i non vaccinati impediscano il raggiungimento dell’immunità di gregge che dovrebbe garantire la scomparsa oppure l’attenuarsi della pandemia virale da Covid. Tenuto conto che l’immunità di gregge da vaccino è un’estrapolazione concettuale, un algoritmo matematico, applicato alla vera immunità di gregge, quella osservata nei gruppi di persone che si sono immunizzate contraendo la malattia vera e propria, la questione è ancora tutta da verificare. La vicenda si complica ulteriormente, perdendo ancor più i connotati della certezza scientifica, allorquando intervengono le diverse varianti mutagene del virus, queste ultime notoriamente incentivate dalla vaccinazione di massa in periodo epidemico, ovvero dell’incremento del numero di mutazioni a causa dei vaccini praticati alla popolazione. Un evento, questo, largamente conosciuto in virologia, semplice conseguenza della capacità dei virus di proteggersi, mutando, dagli anticorpi stimolati dal vaccino. Una lotta senza quartiere quella tra virus ed organismo umano, che rende praticamente impossibile il raggiungimento di quella quota ipotizzata per l’immunità di gregge. Eppure di questo si parla sottovoce nel mentre continua la campagna che afferma il contrario e che impone l’obbligo di vaccinazione come contraltare ad una vita che altrimenti perde ogni prerogativa sociale. Perché mai non si voglia integrare la strategia vaccinale con altre pratiche mediche, come gli anticorpi monoclonali e gli anti-virali in via di sperimentazione finale, con l’estrapolazione dei soggetti deboli dal contesto generale ai quali destinare prevenzione e cure domiciliari, nessuno lo spiega. Insomma siamo prigionieri dei mutanti e come nel “paradosso di Zenone” piè veloce Achille non raggiungerà mai la tartaruga che si sarà spostata sempre di una quantità infinitesimale al sopraggiungere dell’inseguitore.

già parlamentare