SAN NICOLA LA STRADA: STORIE DI “CUNTRANOMME”

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   –   di Davide Fusco   –                                                             

‘U Chionzo, Ciccemeniello, ‘A Zi Vittoria, Fetone. Un tempo i sannicolesi chiamavano i propri compaesani con questi ed altri cuntranomme (soprannomi). La città era un villaggio con numerosi casi d’omonimia. I D’Andrea, i Leone e i Feola proliferavano. Per cui tutti erano identificati con un soprannome personale o ereditato dalla famiglia d’appartenenza. Chi l’ereditava non sempre era contento. Spesso, infatti,u cuntranomme segnalava il difetto d’un lontano avo. A volte era fisico (Nasone, ‘U Zannuto); altre del carattere (Arigna, ‘U Spaccone); in qualche caso segnalava una scarsa igiene (‘A Muccosa). Altre volte u cuntranomme non riguardava difetti ma la pratica di antichi mestieri (‘U Funaro, ‘U Tagliamonte, ‘U Mannese); altri, infine, sono avvolti nel misterioso fascino dell’inspiegabilità (Mignimagne, Pilli Pall). Ciascuno ha alle spalle una storia degna d’esser raccolta  e posta in quell’immortale scrigno che  è la scrittura. È ciò che intende fare questa rubrica. Il trenta d’ogni mese uscirà col racconto d’un cuntranomme della San Nicola che fu. Aiutaci a raccoglierli contattandoci a d.fusco92@libero.it

Sarachiello

%name SAN NICOLA LA STRADA: STORIE DI “CUNTRANOMME”È u contronomme che identifica i Motta.  A originarlo fu un episodio capitato al fu Domenico Motta (28/02/1910 – 27/11/1959). Era un tipo minuto ma incredibilmente forzuto.  Sembrava non aver mai bisogno di riposare: dal lunedì al venerdì era manovale, il sabato e la domenica bracciante in paese. Una fredda giornata d’inverno partì da San Nicola con la sua bicicletta. Viaggiò assieme ai colleghi fino a Salerno. Ad attenderli c’era il solito cantiere, ma in città trovarono il gelo assoluto. Il freddo era talmente intenso che i manovali chiesero al capocantiere di non lavorare. Domenico si rivolse ai colleghi e disse:”ma ce l’avete il sangue nelle vene? Volete vedere che mi spoglio e  mi butto in mare?” Il capocantiere, sorpreso disse a Domenico che se avesse messo in atto quanto appena affermato, se pur effettivamente non c’erano le condizioni per lavorare, gli avrebbe ugualmente pagato la giornata. Domenico non esitò: tolse camicia e pantaloni e si gettò in mare. Risalì, s’asciugò, si vestì e montò nuovamente in bicicletta. I colleghi non credevano ai loro occhi. Avevano appena visto un piccolo uomo sguazzare allegramente in un mare di ghiaccio proprio come avrebbe fatto un piccolo sarago (nu Sarachiello). Da quel giorno Sarachiello fu   il soprannome che il paese appioppò a lui e a tutti i suoi discendenti.

Barraccone

Identifica la famiglia Russo. I sannicolesi l’affibbiarono al fu Gaetano sul finire dell’ottocento. All’epoca il cuore della città batteva per una festa che si teneva il lunedì di Pentecoste. Quel giorno, dal 1871, era consacrato alla corsa dei cavalli alla rotonda. L’appuntamento era particolarmente sentito. Le cronache del tempo raccontano una San Nicola in festa a cui, con cavalli, calessi e carrozze, accorrevano appassionati da tutta la Campania. Le gare cominciavano alle 10:00 del mattino e terminavano verso il tramonto. Locali e forestieri non abbandonavano mai il campo di gara. Per rifocillarsi ricorrevano ad uno dei tanti ambulanti presenti. Ciascuno vendeva la merce in una rudimentale struttura in legno che il volgo chiamava “barracc”. La più grande era quella del signor Gaetano. I compaesani, per differenziarla dalle altre, collocarono l’accrescitivo one accanto al sostantivo barracc. Qualcuno, un giorno, scherzosamente l’utilizzò per rivolgersi al suo proprietario. Oggi quello scherzo viaggia a passi spediti verso un secolo e mezzo di vita. Gli anziani paesani, vedendone passare un pronipote, sussurrano ancora: “chill apparten a barraccon). Minuti echi d’un antico passato.

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