“WAKING LIFE”: COME “RINASCERE” REGALANDOSI UN VIAGGIO (DENTRO E FUORI DI SÉ)

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di Mariantonietta Losanno

Linklater trasforma e “ci” trasforma, guidandoci in un surreale viaggio d’esplorazione sulle teorie della coscienza e della realtà, suggerendo un dibattito sulla filosofia e la vita.

”Waking Life” è un’opera che ci consente di cambiare lo sguardo che abbiamo sul mondo e lo sguardo che abbiamo su di noi. Ci insegna a lasciare che le cose – e le emozioni – fluiscano, allenando la propria creatività, “accendendosi”; ma, soprattutto, sognando, come se avessimo una macchina del tempo sempre a disposizione, una magia che crea mondi sconosciuti, un’iniezione di fiducia, un atto di pura immaginazione. Perché “quella luce” va usata proprio per liberare i propri sogni, “usandoli” per vivere leggeri e pieni di prospettive sulla vita; per circondarsi di passioni, di intelligenza, di cultura, di lotte per capire chi siamo, di paure legittime, di inquietudini da sviscerare. 

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“Una vita che si risveglia”: girato in soli venticinque giorni, con una troupe ridottissima e usando video digitali su cui successivamente sono state disegnate linee stilizzzate e colori per ogni fotogramma, “Waking Life” racconta la storia di un ragazzo che, dopo un incidente stradale, inizia a vivere lungo un interminabile sogno, durante il quale incontra personaggi con cui dibatte su temi come la morte, la fede, il significato dell’esistenza. 

“La vita da svegli è un sogno sotto controllo”, ha detto il filosofo George Santayana. I sogni finiscono quando ci svegliamo? È possibile continuare a sognare persino da svegli e mantenere lucidità? La forza di “Waking Life” è la sua capacità di mettere tutto in discussione e di incoraggiare costantemente riflessioni, persino sulle questioni più spinose. Per ottenere cosa? Forse per mettere ordine? O l’uomo preferisce vivere nel caos? Innanzitutto, per dubitare e ragionare. Per “ballare” con la propria confusione e lasciarsi andare. Per vivere “quel momento”, cioè, per renderci coscienti della presenza di “momenti sacri” di cui nemmeno ci accorgiamo e che il cinema ha il Potere di rendere eterni. Linklater, ci concede poi, man mano che sviscera a fondo ogni questione, degli spazi di analisi in cui – “semplicemente” – si “ascolta il silenzio”. In cui, cioè, lo spettatore, prendendo ad esempio i personaggi del film, respira. Perché, come potremmo essere padroni di noi stessi, del nostro destino, della nostra strada, se non lo siamo del nostro respiro? In mezzo al “rumore della vita”, alle paure e alle certezze ci siamo Noi. Che mutiamo. Che ci muoviamo. Che, addirittura, confrontandoci gli uni con gli altri, abbiamo la facoltà di scambiarci telepaticamente le nostre esperienze.  

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Un’opera che mette in discussione tutto potrebbe, però, essere anche “accusata” di arroganza o supponenza. Si tratta, invece, di un discorso ampio – anzi interminabile – che invita ad un dibattito costruttivo e stimolante: i personaggi che, uno dietro l’altro, parlano e espongono le loro idee, lo fanno per “accendere” un mondo di idee. Per creare movimento. Si discute di filosofia (citando l’esistenzialismo di Sartre e di Kierkegaard), di biochimica, di religione (concentrandosi sui concetti di reincarnazione, morte – definita come fase onirica che esiste al di fuori della vita – libero arbitrio), arte, cinema (vengono esaminate le teorie di André Bazin, si rimanda a Truffaut e la teoria secondo la quale da una buona sceneggiatura non scaturisce necessariamente un buon film, per cui non bisogna farsene “schiavizzare” e, Linkalter cita se stesso e la sua trilogia “Prima dell’alba”), il genio letterario di Thomas Mann e di Dostoevskij. E, ancora, si discute di libertà e di limiti; di responsabilità e scelta, di impulsi contraddittori e stati di coscienza alterati, di paradossi e consapevolezze. Ci si domanda, poi, quale sia la caratteristica umana più universale: la paura o la pigrizia? Si può soffrire per due “mali”: per una carenza di vita o per un’abbondanza di vita. Perché esiste una vita “compresa” e una vita “vissuta”; se fossimo capaci di “dire sì ad un istante”, di raggiungere al massimo il nostro potenziale, forse non arriveremmo a pensare alla vita che avremmo voluto vivere e al lavoro che avremmo voluto fare. Non vivremmo di rimpianti, ma di occasioni; perché l’alienazione – se analizzata – può essere eccitante e stimolante. 

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Non si tratta, quindi, di “vivere in un sogno”, ma di vivere utilizzando “gli stessi sensi” come se ci trovassimo in un sogno, ma nella realtà. Dovremmo imparare a ricordare e a dimenticare (“è il ricordo che genera la dimenticanza, non è la dimenticanza che può cancellare il ricordo”, ha scritto Recalcati), a vivere un tempo per diventare consci, per dare forma e coerenza al mistero, e un altro di coscienza onirica. Quelle infinite possibilità che si possono incontrare nei sogni vanno indagate per “elevarci”, comprenderci; gran parte di quello che percepiamo è intangibile, è possibile, allora, che proprio attraverso il sogno possiamo trovare la capacità di percepire a fondo le cose. 

L’aspetto disturbante di “Waking Life”, caratteristico di questo tipo di animazione – la stessa di “Loving Vincent” – si adatta all’atmosfera onirica e concorre a creare una sensazione di spaesamento in cui, mentre la lucidità vacilla, al tempo stesso è al massimo delle sue potenzialità. Un’atmosfera completamente diversa da quella che caratterizza “Inception”, in cui il sogno funge da protagonista: Linklater preferisce soffermarsi sull’idea di un “sognatore lucido”, capace di esplorare i propri sogni e di parlare al proprio subconscio. Un sognatore alienato ma consapevole.