– di Ursula Franco* –
Alberto Stasi è stato condannato a 16 anni di carcere per l’omicidio di Chiara Poggi, 26 anni, uccisa a Garlasco il 13 agosto 2007.
Nel giugno 2020, l’avvocato Laura Panciroli, difensore di Alberto Stasi, ha depositato una articolata richiesta di revisione della sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Milano del 17/12/2014 che ha condannato a 16 anni di reclusione Alberto Stasi.
Nell’Ottobre 2020, i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Brescia hanno rigettato l’istanza della difesa “In definitiva, i nuovi elementi dedotti non erano idonei a dimostrare, ove eventualmente accertati, che il condannato dovesse essere prosciolto. In chiusura, la Corte richiamava i motivi di ricorso che la Cassazione aveva valutato, evidenziando che numerosi elementi indiziari non erano stati toccati dalla richiesta di revisione e che le prove nuove tali non erano, ovvero erano inammissibili e manifestamente infondate quanto alla loro valenza ai fini della revisione.”
“La richiesta della difesa era asseritamente fondata su prove nuove e dirimenti nonché su due accertamenti tecnici. In particolare:
– con riferimento alla presenza sul dispenser del sapone utilizzato dall’aggressore di Chiara Poggi per lavarsi le mani dopo il delitto, sul quale erano state rinvenute solo due impronte dell’anulare destro di Alberto Stasi, la consulenza tecnica a firma del dr. Oscar Ghizzoni dimostrava che, sul dispenser, erano presenti numerose impronte papillari, delle quali solo due erano attribuibili allo Stasi, e che il dispenser non era stato lavato dall ‘aggressore, come invece la sentenza aveva ritenuto, con l’ulteriore conseguenza che la presenza delle impronte non aveva valore indiziante, atteso che Stasi frequentava giornalmente l’abitazione della Poggi; la presenza di “alcune microcrosticine” riferita in una nota tecnica del RIS dimostrava ulteriormente che il dispenser non era stato lavato dall’aggressore mentre una fotografia dei Carabinieri di Pavia evidenziava la
presenza di quattro formazioni pilifere sul lavandino, smentendo che l ‘aggressore lo avesse lavato per eliminare ogni traccia. In definitiva, mancando la prova che il lavandino e il dispenser fossero stati lavati dall’aggressore dopo il delitto prima di lasciare l’abitazione, non era possibile escludere che lo stesso si fosse rimesso sulla strada di casa in bicicletta senza passare dal bagno.
– un’altra prova nuova era costituita dalle riprese video e dalle sperimentazioni svolte nel corso di una trasmissione televisiva, andata in onda il 16/12/2019: si dimostrava che, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza di condanna, la teste M. T. era in grado di vedere le persiane della cucina poste al piano terreno dell’abitazione di Via Pascoli;
– il consulente tecnico della stessa trasmissione, ing. Roberto Porta, inoltre, aveva determinato con esattezza il momento in cui la testimone T. sarebbe passata, la mattina dell’omicidio, davanti alla casa della famiglia Poggi, calcolando, inoltre, il tempo necessario a Stasi per rientrare nella propria abitazione ed accendere il computer. Tali dati dimostravano che, poiché nel momento del passaggio della teste T. davanti all’abitazione dei Poggi la portafinestra della finestra era ancora chiusa, per poi essere successivamente aperta da Chiara Poggi, che quindi in quel momento era ancora viva, la bicicletta che si trovava davanti all’abitazione non poteva essere di Stasi che, alle 9’35, si trovava nella propria camera e aveva acceso il computer (…) Le sentenze di merito avevano ritenuto che l’omicidio fosse stato commesso tra le 9’12 e le 9’35, rispettivamente orario in cui era stato disattivato l’allarme di casa Poggi e momento in cui Stasi aveva acceso il suo computer; avevano ritenuto che in quell’arco temporale (per il quale Stasi non aveva un alibi) fosse possibile per l’imputato commettere il delitto e tornare alla propria abitazione con la bicicletta.
Secondo il ricorrente, se la teste T. era transitata davanti a casa Poggi tra le 9’27 e le 9’28 (circostanza oggetto della quinta prova) e se avesse potuto osservare la portafinestra della cucina dal cancello dell’abitazione (che, nella parte bassa, non era chiusa) (oggetto della quarta prova), sarebbe stato impossibile addebitare l’omicidio a Stasi: infatti, a quell’ora, la portafinestra della cucina era ancora chiusa e, quindi, la Poggi era ancora viva (è pacifico che fosse stata lei ad aprirla); quindi l’omicidio era stato commesso successivamente a quell’orario; di conseguenza, era impossibile, tenuto conto del tempo necessario a Stasi per
ritornare alla sua abitazione e di quello indispensabile per giungere alla sua camera ed accendere il computer, che a commetterlo fosse stato Stasi, con l’ulteriore conseguenza che la bicicletta che le testimoni avevano visto appoggiata fuori dall’abitazione dei Poggi non poteva essere quella dell’imputato. ( Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 1 Num. 13057 Anno 2021, Data Udienza 19/03/2021).”
Nel Marzo 2021, i giudici della Corte Suprema di Cassazione hanno rigettato il ricorso presentato dalla difesa.
Secondo la difesa quindi, uno degli elementi nuovi in grado di escludere la responsabilità di Alberto Stasi sarebbe stata la testimonianza di M. T., una vicina di casa dei Poggi. Ed allora esaminiamone lo stralcio più significativo tenendo a mente che “Fattori personali ed elementi esterni agiscono su ciascuna delle tre fasi del processo testimoniale, acquisizione, ritenzione e recupero, distorcendolo. Tali distorsioni tendono ad allontanare il contenuto testimoniale dalla realtà dei fatti. Alcuni testimoni, pensando di essere d’aiuto alle indagini, tendono a colmare le proprie lacune, a riordinare i ricordi, a compiacere l’intervistatore. Spesso sono coloro che li interrogano ad aiutarli a mentire. Chi interroga infatti dovrebbe limitarsi, quantomeno inizialmente, a fare domande aperte e soprattutto a non introdurre termini nuovi”:
D: Ed era aperto il cancelletto?
Non sappiamo se chi interroga abbia chiesto “Che cosa ha visto?” ed abbia parlato del “cancelletto” solo dopo che questo termine era stato introdotto dalla teste.
Perché chi interroga parla di un cancelletto “aperto”? E’ stato lui ad introdurre il termine “aperto”? Se così è ha commesso un errore perché ha lasciato filtrare le proprie aspettative.
R: Spalancato.
Invece di rispondere “Sì” o “Sì, aperto”, la teste ha utilizzato un termine capace di rinforzare quello usato da chi la stava interrogando, il termine d’effetto “Spalancato”.
D: Spalancato… chiusa la porta?
Perché chi interroga parla di una porta “chiusa”? Perché invece non ha chiesto “E poi che cosa ha visto?”
R: Chiusa.
D: Chiuse le finestre, anche?
Perché chi interroga parla di finestre “chiuse”? Perché invece non ha chiesto “E poi che cosa ha visto?”
R: Sì, sì.
La teste mostra di avere bisogno di convincere, ripete infatti “Sì” per due volte.
D: Chiuse tutte le finestre!?
Chi interroga cerca semplicemente conferme ai propri convincimenti. E’ lui a suggerire la risposta.
R: Chiuso, come tutti i giorni precedenti.
Si noti che la teste accoglie il suggerimento e poi aggiunge non “come i giorni precedenti” ma un improbabile “come tutti i giorni precedenti”. I termine “tutti” è frutto di una contaminazione, è stato infatti introdotto da chi interrogava.
CONCLUSIONI
La testimonianza di M. T. è contaminata ed è pertanto di nessun valore e da cestinare.
Chi ha interrogato M. T. non ha mostrato interesse per ciò che la teste aveva visto, ha invece semplicemente cercato conferme alle proprie aspettative.
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* Medico Chirurgo, Criminologo, Statement Analyst. E’ allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis (tecnica di analisi di interviste ed interrogatori), si occupa soprattutto di morti accidentali e suicidi scambiati per omicidi e di errori giudiziari. Fa parte del Forensic Team della COLD CASE FOUNDATION, una Fondazione Americana che si occupa di casi irrisolti, Executive Director: FBI Profiler Gregory M. Cooper.