DAVID DI DONATELLO, “MARX PUÒ ASPETTARE”: BELLOCCHIO SI CONCEDE UN TEMPO PER CONFRONTARSI CON IL DOLORE

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di Mariantonietta Losanno 

Tutto quello che ha segnato una Fine in “Leonora addio”, segna un Inizio in “Marx può aspettare”. O meglio, può esserci una crasi tra i due concetti temporali, soprattutto quando si tratta di (ri)elaborazione di un lutto. Perché, altrimenti, come altro si potrebbe concepire che qualcosa cominci dopo che è tutto “finito”? Paolo Taviani in “Leonora addio” ha restituito un’eredità (quella di Pirandello, autore “inquietante” e problematico di perenne attualità) e una presenza, quella del fratello Vittorio, durata una vita intera e concretizzata in diciannove film. Ha fatto coesistere passato e presente entrando a fondo nella Storia come nelle vicende personali per cercare la Verità; ha dedicato un’opera al fratello, facendolo “viaggiare” insieme alle ceneri di Pirandello. Quella di Bellocchio è, invece, un’esigenza di ricostruire, prima di poter stabilire una “fine”; “Marx può aspettare” è una pellicola “irrisolta” – come la vicenda di cui parla – in cui si avverte la necessità di darsi delle spiegazioni prima ancora di potersi aggrappare al ricordo. Il confronto tra i due film, però, viene immediato – nonostante la diversa cifra stilistica – perché in entrambe, ai drammi familiari se ne innestano altri storici e politici. 

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Quello che viene ricordato vive: Bellocchio ricostruisce il dolore affrontando le responsabilità, le conseguenze, le percezioni, le sconfitte. In quello che si presenta come un album di famiglia, il regista si confessa attraverso il Cinema e rivolge a se stesso e alla sua famiglia uno sguardo feroce ed indulgente, a causa del suicidio del fratello gemello Camillo, avvenuto il 28 dicembre 1968. Intervista ed interroga i suoi familiari per entrare nel dolore, per darsi spiegazioni, per redimersi. Perché, sostanzialmente, quella di Bellocchio è una dichiarazione di fallimento per non essere riuscito ad intervenire per tempo, in modo da impedire che la disperazione distruggesse tutto. La condizione di Camillo viene paragonata a quella di una persona che soffre di asma, che adotta un atteggiamento di “soffocamento” e sofferenza. Il suo dolore è stato invisibile per la sua famiglia, ma asfissiante per lui. La pellicola non sente la necessità di approdare a soluzioni definitive; insiste, invece, sul mettere in discussione le idee, e chiede allo spettatore di essere partecipe, di dimostrare di voler crescere e capire. Di essere testimone di una vicenda familiare che inevitabilmente coinvolge tutti, della visione del mondo di Bellocchio e del cinema stesso. 

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La pellicola non cede mai al facile sentimentalismo, pone l’attenzione sui dubbi, su  tutti i “forse”. “Forse” Camillo si sarebbe potuto salvare, “forse” è stato un incidente e non una premeditazione, “forse” quella sofferenza poteva essere ascoltata ed accolta. Il cinema di Bellocchio medica per sanare le ferite, approfondisce – con rigore documentarista – il dolore e si confronta con se stesso e con il suo Cinema. Ed è proprio nel suo Cinema (“I pugni in tasca”, “L’ora di religione”,”Gli occhi, la bocca”) che cerca comprensione; è attraverso il suo Cinema che prova a spiegare – e a spiegarsi – come significhi morire e, insieme, continuare a vivere. Davanti alla macchina da presa Bellocchio tenta di razionalizzare un dolore personale rendendolo universale; così come fece in “Fai bei sogni”, trattando la materia autobiografica di Massimo Gramellini. Dal confronto con il dolore viene fuori – inevitabilmente – altro dolore e altra disperazione; ma anche (solo in parte) presa di coscienza di come la Fine e l’Inizio siano due concetti sovrapponibili. “Marx può aspettare” è la risposta che Camillo diede a Marco, che lo esortava a trovare una ragione di vita nella lotta politica; ma, appunto, (anche) Marx può aspettare, perché prima di “salvare” chiunque altro bisogna salvare se stessi. 

Nonostante la rabbia e l’inquietudine, Bellocchio si concede una possibilità di redenzione; si dà un tempo “infinito” per poter sopravvivere (anche) attraverso il Cinema, per lenire il senso di colpa che deriva dal “non aver saputo amare abbastanza”. “Marx può aspettare” non si difende dal dolore, provando ad affrontarlo con partecipazione e al tempo stesso con lucidità. Bellocchio cerca spiegazioni, non assoluzioni; prova a “liberarsi”, esponendo le proprie responsabilità, mai per discolparsi. Per riconciliarsi con la propria famiglia, in nome della “salvezza” di quello che non può essere salvato.