“NOWHERE SPECIAL”: LA MISURA DEL DOLORE PER UN BAMBINO

0

di Mariantonietta Losanno 

Si può avere la consapevolezza di conoscere – e comprendere – il dolore quando si è bambini?  C’è chi ritiene che, proprio per la sensibilità che contraddistingue l’età infantile, un lutto vissuto ed elaborato quando si hanno pochi anni di vita possa essere un trauma più profondo. Rispetto a cosa? Ad una fascia di età più adulta e, quindi, ad una maturità e una conoscenza di sé tali da rendere più sopportabili (?) i confini del Dolore. Entrambe le cose possono essere vere e possono essere false. Può essere, cioè, proprio la consapevolezza la causa di una sofferenza più “definita” e, dunque, più invasiva; e può essere, allo stesso modo, l’incapacità di analizzare – e analizzarsi – ad aiutare il processo di elaborazione del lutto. Uberto Pasolini indaga le dinamiche del dolore per soffermarsi poi, ampliando il discorso, sulle famiglie “imperfette”. Su genitori che si domandano cosa sia meglio per ì proprio figli, che provano a sviluppare una lungimiranza tale da permettere loro di prevedere quali saranno le conseguenze delle loro scelte; su donne che pensano di aver “fallito” perché non sono potute diventare madri, altre che, invece, proprio da questo “fallimento” hanno compreso di “essere al mondo per aiutare gli altri”. 

%name “NOWHERE SPECIAL”: LA MISURA DEL DOLORE PER UN BAMBINO

La riflessione del regista parte dalla morte. Un padre (John) scopre di avere pochi mesi di vita e, non avendo nessun parente, decide di impegnarli per cercare una famiglia affidataria che possa “sostituirlo”. Come si svolgono, però, questi “provini”? Come si può immaginare che tipo di amore una persona possa dare solo osservandola per qualche ora? John scruta le opzioni “disponibili” e selezionate per l’adozione e nel frattempo passa del tempo con Michael, costruendo dei ricordi. Da queste memorie, però, vorrebbe “separare” il dolore. Vorrebbe, cioè, che suo figlio non pensasse alla morte, che non venisse traumatizzato al punto di pensare che chiunque gli si avvicini possa abbandonarlo. Poi si chiede se è davvero sicuro di conoscere suo figlio, se è in grado di decidere per lui; che “diritto” ha di proteggerlo e di chiedere alla famiglia adottiva di non raccontare nulla su di lui? “Risparmiare” un dolore significa anche risparmiarne le conseguenze? Non esistono “ricette” perfette, strade più “giuste” da seguire: si combatte la rassegnazione. John deve imparare a morire e Michael a vivere. 

%name “NOWHERE SPECIAL”: LA MISURA DEL DOLORE PER UN BAMBINO

Uberto Pasolini conduce questa indagine sul lutto cedendo, in certi casi, a una spettacolarizzazione del dolore. Non si tratta, però, di “pornografia del dolore”: il regista non sente, cioè, piacere di fronte al dolore, né fascino. Non gode nel inserire particolari intimi, immagini o dichiarazioni invasive. Lo spettacolarizza, ma non ne crea un oggetto di adorazione. Insiste sulla sofferenza cedendo – in parte – alla compassione e ricordando pellicole come “Famiglia all’improvviso – Istruzioni non incluse” (remake del film messicano “Istructions Non Included”) di Hugo Gélin, o “Padri e figlie” di Gabriele Muccino. Due esempi diversi – la prima opera è una commedia “dolcissima”, la seconda un “film per il grande pubblico” – di approccio al dolore ma funzionali nel rendere evidente una verità di fondo: non sempre si trovano modi “nuovi” per raccontare queste storie. Si possono smussare i tratti più “spigolosi”, lavorare sull’empatia senza caricare eccessivamente sulla commozione “forzata”, ma probabilmente, quelli scelti dagli sceneggiatori, sono gli “approcci” migliori a disposizione. Pasolini non tocca la materia per “metterla in poesia”, come ha fatto Céline Sciamma in “Petite Maman”. Si sofferma, però, sull’”eredità identitaria” che si lascia ad un figlio. Insiste sul lavoro, sui concetti di umiltà e sacrificio che un bambino sviluppa, sulle idee che si concretizzeranno in futuro quando non si avrà la possibilità di “guidarle”. Pasolini si rifà a Ken Loach e ai fratelli Dardenne senza riuscire, però, ad “elevare” la materia ad un livello poetico differente. 

%name “NOWHERE SPECIAL”: LA MISURA DEL DOLORE PER UN BAMBINO

L’importanza di “Nowhere Special” sta tutta nella capacità di suggerire riflessioni sul dolore da una prospettiva “infantile”. Pasolini cerca la profondità – come in “Still Life” e “Machan – La vera storia di una falsa squadra”, le sue due opere precedenti – raccontando di genitori che provano ad imparare dai figli a vivere la vita e a idee di fallimento di cui ci si dovrebbe liberare. 

Pasolini non “ricatta” il suo pubblico, costruendo un’opera che, scrollandosi da alibi intellettuali, permette anche di emozionarsi. “Nowhere Special” si muove tra l’immediatamente prima e l’immediatamente dopo, lasciando spazio – anche e soprattutto – all’aspetto sociale, come in “Full Monty”, di cui è stato produttore. Ci si sofferma sulla morte, ma anche su quello che “resta da vivere” e sulla qualità di quel tempo. Il rapporto tra John e Michael ricorda quello di Dustin Hoffman e suo figlio in “Kramer contro Kramer”, anche se l’indugiare sul dolore – e la scatola dei ricordi – ci riportano a “18 regali” di Francesco Amato. 

Pasolini si mostra senza filtri, chiarendo da subito la sua identità. Racconta il dolore provando a fornire un’alternativa alla completa distruzione: si può lavorare affinché le persone – e i ricordi – vivano dentro di sé. Non in astratto, ma in concreto. “Nowhere special”, nonostante la retorica, non è un film a cui si può voler male.