DA RATISBONA A TEHERAN

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   –   di Vincenzo D’Anna*   –                                                 

Sono folte le schiere degli atei devoti, di coloro i quali, cioè, pur non credenti, plaudono al Pontefice. Un moto di simpatia che si trasforma in momentaneo sostegno allorquando il successore di Pietro fa concessioni dottrinarie o pastorali e più in generale allinea la posizione della Chiesa al pensiero laico della società e della politica. Anche il più feroce degli anti clericali si spertica, in tal caso, per elogiare le tesi papaline, per altri versi ed in altri frangenti, confutate come manifestazioni di ingerenza dei cattolici e di una fede, ai loro occhi, priva di senso. Come spesso avviene la tattica opportunistica che talune forze politiche mettono in atto per sostenere le proprie ragioni ed i propri obiettivi, si adegua alla convenienza del frangente e dell’argomento di turno. Quando Bergoglio si spreme in favore di una Chiesa che pare debba consumare il proprio mandato ecumenico nella cura dei poveri, scagliandosi contro la logica del mercato di concorrenza, il plauso dei non credenti si fa sentire forte. Quando, viceversa, dal Vaticano si odono tesi in sintonia con la storia secolare della Chiesa e dei suoi principii, ecco che le dichiarazioni si trasformano ostentatamente in espressioni contro la modernità e l’emancipazione del mondo: un fastidioso e retrivo “tafano” che ostacola il progresso laico e immanente dell’umanità. Un esempio pratico viene dalla contestazione che la dottrina cattolica rivolge alle pratiche abortive, oltre che all’eutanasia ed all’eugenetica. Insomma ogni qualvolta la Chiesa si muove nel solco dei propri secolari convincimenti, richiamando i fedeli all’osservanza dei dogmi e dei principi etici fondativi del magistero, tutto le si ritorce contro. Fu così quando Papa Ratzinger pronunciò il famoso di discorso a Ratisbona sulle differenze etiche e teologiche che sussistevano tra le fedi monoteiste, sul loro diverso portato storico, culturale ed etico, anche in rapporto alla funzione che la fede stessa è chiamata a svolgere nella società. Papa Benedetto avanzava, ancora una volta, la proposta, classica per la tradizione cattolica, di una “ragione aperta” intesa come necessaria condizione su cui intessere il dialogo tra fede e cultura contemporanea. In sintesi: la Chiesa doveva saper cogliere il segno dei tempi per non diventare un anacronistico corpo estraneo al progresso sociale, all’evoluzione della libertà e dei diritti (umani e civili) dei popoli. In breve, i cattolici erano chiamati a rispettare i principi fondativi dello Stato laico, ritenendo consustanziale ad esso il diritto di normare con le leggi tutti quegli aspetti che interessano le problematiche sociali senza lanciare anatemi o paventare comportamenti anti storici. Tuttavia, si sa, quando le leggi violano i principii del credo cristiano, la Chiesa rivendica il diritto di richiamare i credenti al rispetto della fede stessa. E’ vero, infatti, che nessuna norma può essere impedita dalla morale cristiana ma nessuna legge deve essere necessariamente praticata se questa è lesiva dei principii dei fedeli. In questa sostanziale differenza consiste il discrimine con le religioni che rinunciano alla “ragione aperta” e che diventano pertanto fideistiche al punto da sostituirsi allo Stato finendo con l’essere violente ed intransigenti. Negli ultimi giorni questa palpabile differenza viene dimostrata dalle repressioni e dagli assassinii praticati dello stato teocratico instauratosi a Teheran. Chi si è avventurato a voler uniformare e parificare fedi e confessioni per mero nichilismo, riceve con l’esempio iraniano, la palmare dimostrazione che la sua è una strada errata. Quando, infatti, la fede si fa cieca ed assoluta, estranea ai diritti ed alle libertà garantiti dallo stato laico, diffonde intransigenza e violenza. Se in Persia si impiccano dei giovani manifestanti per il reato di “inimicizia con Dio” si viola non solo la legge morale che sostiene lo stato libertario e civile, ma si espunge, dalla fede stessa, il principio di umanità, di tolleranza e di solidarietà che pure la supportano. E lo si fa, cosa gravissima, nel nome di Dio!! Un qualcosa di irragionevole ed illogico perché costringere con la violenza gli uomini a credere nell’Onnipotente è sbagliato dal momento che Allah, anche secondo l’Islam, non si compiace certo del sangue dei fedeli. Oggi il Papa di Ratisbona è diventato emerito per rinuncia e su questi temi la Chiesa retta da Francesco, tace limitandosi agli appelli per la pace, illudendo gli atei che ogni religione sia più o meno uguale all’altra. Così non è ed i fatti lo dimostrano dopo il terrorismo assassino della jihad islamica e le violenze inumane degli stati teocratici.

*già parlamentare

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