“LE PUPILLE”: LE (MICRO)STORIE DI ALICE ROHRWACHER “FUORI DAL TEMPO” 

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di Mariantonietta Losanno

“Devi immaginare un mondo e poi confrontarlo con quello esterno”, dice la Rohrwacher. Il suo è un cinema prima di tutto “coerente”, in cui si presentano gli stessi elementi caratteristici declinati in contesti (neanche troppo) diversi. C’è la poesia, l’immaginazione, la tenerezza; il recupero dei ricordi, la magia dei minimi gesti, la ricerca di un senso “più alto” di quello normalmente visibile. Un Cinema che predilige i “mondi fantastici” che, però, in realtà, sono contesti comuni, ordinari, persino dimenticati. Dopo il suo ultimo corto “Quattro strade”, ambientato durante l’emergenza Covid-19, in cui è riuscita a restituire una parte di “quello che ci è stato tolto”, celebrando quel bisogno di rintracciare poesia nel vivere quotidiano e quella necessità di stupirsi ancora, e dopo il documentario “Futura”, realizzato insieme a Pietro Marcello e Francesco Munzi, ne “Le pupille” – prodotto da Alfonso Cuarón – racconta una fiaba natalizia, che, ancora una volta, fa luce sull’innocenza e la bontà d’animo.

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“Un film maldestramente, liberamente ispirato ad una lettera. Che la scrittrice Elsa Morante inviò al suo amico Goffredo Fofi”: Alice Rohrwacher ha raccontato di aver avuto subito nella sua mente l’immagine di una torta rossa su un tavolo e tante pupille attorno che la guardavano affascinate. “Quell’immagine era emersa nella mia memoria da una storiella che avevo letto molti anni prima: si trovava in una lettera che la scrittrice Elsa Morante inviò al suo amico Goffredo Fofi per augurargli buon Natale. La splendida lettera raccontava le sorti di una zuppa inglese capitata in un collegio religioso durante le festività, tanto tempo prima”, ha spiegato la regista. Ed è così che è stato realizzato questo (piccolo) racconto di Natale – disponibile su Disney+ – presentato in premiere mondiale allo scorso Festival di Cannes. “Pupille, composte. Allineatevi.”: questa è il primo rimprovero che viene rivolto alle bambine – le pupille, come da derivazione latina – di un collegio, cercando di invitarle ad essere obbedienti. Ma le pupille, in quanto tali, non possono stare ferme a lungo. Anche quando tutto si irrigidisce, loro continuano a muoversi all’interno dell’iride: “Le bambine obbedienti non possono muoversi, ma le loro pupille possono ballare la danza scatenata della libertà”. Ecco che, in un semplice avvertimento, nei primi secondi di apertura del corto – che sfiora i quaranta minuti – si riconosce (perché quella della Rohrwacher è, come abbiamo detto, una filmografia “riconoscibile”) lo sguardo poetico che spinge verso quell’“anarchia gentile” già ricercata in altre sue opere precedenti. 

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“Le pupille” è un film sui desideri puri, sulla necessità di sentirsi liberi che si scontra con la devozione. È un’opera che si concede momenti di irresistibile dolcezza, come quello in cui le bambine iniziano a cantare e a ballare “Baciami piccina”, fino a quando, poi, la suora irrompe fermandole per poi pulire con il sapone le loro lingue “impossessate dal demonio”, che hanno osato pronunciare parole sconce. Quel motivetto, però, resta impresso particolarmente a una di loro, Serafina, considerata la più “cattiva”, la stessa che, trovandosi di fronte alla torta rossa (portata da un’impellicciata Valeria Bruni Tedeschi) decide di non privarsene solo per fare un fioretto a Gesù e dimostrare di essere “brava”. Nella scena finale, poi, ci si chiede quale possa essere la “morale”, e la risposta è che potrebbe essere qualsiasi o nessuna. È tangibile la necessità della Rohrwacher di inseguire un’idea di anarchia che non sia, però, necessariamente negativa. Una forma di ribellione “consentita”, persino giusta. Un bisogno di esaudire i propri desideri, quelli che non portano conseguenze disastrose e che danno una forma diversa al concetto di “trasgressione”.