IL SANGUE DEGLI INNOCENTI

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  –   di Vincenzo D’Anna*   –                                       

Correva l’anno 1956. L’Europa “spartita” a Yalta da Stalin, Churchill e Roosevelt, (quest’ultimo morirà poco dopo e sarà sostituito da Truman), prevedeva che l’URSS ed il partito comunista sovietico regnassero sui paesi dell’Est europa. In sintesi su quelle nazioni che erano state “liberate” dall’Armata Rossa nel corso dell’ultima parte del secondo conflitto mondiale. Ad occidente, invece, sarebbe toccata agli anglo americani (ed alle truppe integrative di vari paesi, che pure avevano contribuito a determinare i favorevoli esiti della guerra) varare costituzioni democratiche e regimi impostati sulla libertà. Dunque, ad oriente si imponeva una tirannia, quella comunista, che veniva a sostituirne un’altra di segno opposto (nazista), trasformando progressivamente Stati come Ungheria, Cecoslovacchia, Bulgaria e Polonia in veri e propri satelliti di Mosca con governi dominati da esponenti del partito comunista egemone “protetti” dal Pcus, blindati da ogni influenza occidentale e da ogni tentativo di ripristinare quei modelli democratici che governavano prima dell’invasione e dell’occupazione tedesca. La stessa Berlino fu successivamente tagliata in due da un muro che divise la parte Est da quella Ovest con quest’ultima che riceveva sostentamento ed aiuti (militari e civili) tramite un corridoio aereo rifornito dagli alleati statunitensi. Si realizzava in tal modo la “cortina di ferro” come ebbe a definirla Winston Churchill in un suo celebre discorso. Non tutti i paesi sottoposti alla supremazia russa accettarono supinamente lo stato delle cose, a cominciare da Budapest che diete vita alla rivoluzione ungherese del 1956. Si trattò di proteste poi sfociate in una vera e propria sollevazione armata, di spirito antisovietico. La rivolta fu inizialmente avversata dalla nomenclatura comunista che governava con l’aiuto della polizia segreta. Poi fu duramente repressa dall’intervento armato delle truppe sovietiche. Nei circa due mesi di scontri persero la vita tremila insorti, buona parte dei quali giovani studenti ed operai. Molti tra loro subirono processi sommari e non pochi finirono impiccati ai lampioni della capitale. Lo stesso primo ministro Imre Nagy, che aveva tentato di seguire una via socialista autonoma e non comunista, morì in circostanze misteriose, precipitando da una finestra. Vastissima fu l’eco nel mondo occidentale di quella breve primavera di libertà. La brutalità dell’intervento russo mise allo scoperto i sistemi di un regime tirannico ed omicida che da Mosca dominava i paesi satelliti, anche con il ricorso a crimini che verranno, poi, successivamente denunciati (alla morte di Stalin) dal nuovo segretario generale del PCUS Nikita Krusciov al congresso del partito nel 1958 dando vita alla cosiddetta “destalinizzazione”. I fatti di Ungheria furono raccontati dai giornalisti stranieri che, come Indro Montanelli per il Corriera della Sera, seguivano i moti rivoluzionari. Lo stesso partito comunista italiano che pure appoggiò l’invasione, con a capo Palmiro Togliatti, ebbe un travaglio interno ed alcuni politici ed intellettuali come Giolitti, Silone e Di Vittorio, ne abbandonarono la militanza. Ora, a guardare le agenzie di stampa di questi giorni, ci si accorge di quanta rassomiglianza ci sia tra i fatti di Budapest del ‘56 e quelli odierni di Teheran e di come i regimi totalitari utilizzino gli stessi sistemi di monito e repressione. Decine di giovani iraniani vengono, infatti, sommariamente processati ed eliminati sulla pubblica via, in virtù di pseudo condanne che vengono emesse senza avvocati difensori per i sospettati e senza alcun appello nei successivi gradi di giudizio. Gli ayatollah si muovono con fede mistica ed uccidono senza scrupoli con la stessa cieca violenza di chi crede indefettibilmente. Lo stesso accadeva ai marxisti il cui credo nell’edificazione di una società perfetta e di uguali non ammetteva fallimenti. Fideisti i Persiani con la loro teocrazia. Storicisti i marxisti con la presunzione di creare la società perfetta e felice. Nessuno dei due coltiva il beneficio del dubbio. Nelle società liberali, infatti, il primo diritto riconosciuto ai cittadini è quello all’errore e solo quando questo diviene lesivo per la società allora assume la veste di reato perseguibile. La pena eventualmente irrogata all’errante tende a recuperarlo ed a reinserirlo nel consesso sociale. Viceversa nei regimi illiberali l’errore è assoluto ed irredimibile e la pena non può che essere quella del taglione. Tuttavia per i fatti di Ungheria l’Europa liberale insorse e si indignò, ora tace rendendo il sangue degli innocenti un inutile sacrificio.

*già parlamentare

1 commento

  1. Ricordo perfettamente quel periodo e soprattutto ricordo i commenti di mio padre, reduce di Russia, che conosceva bene le storture del regime sovietico e che aveva valutato i pericoli di una dittatura del proletariato.
    Purtroppo oggi, anche se con sigle diverse, i pericoli per la democrazia, la libertà e la sopravvivenza della nostra millenaria civiltà, ci sono ancora!

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