SE IL PENTITO DIVENTA EROE

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danna SE IL PENTITO DIVENTA EROE   

  –   di Vincenzo D’Anna*   –                                                 

Chi conosce la mia storia politica sa che sono un garantista. Nella veste di parlamentare sono intervenuto più volte sullo strapotere di taluni pubblici ministeri che, essendosi “schierati”, si sono a volte resi organici agli interessi di una determinate parte politica. Fuor di metafora: per anni le sinistre hanno alimentato la macchina del fango, corroborando quella metodologia che va sotto il nome di “circuito mediatico giudiziario” attraverso il quale gli avversari vengono eliminati dalla scena e dalla competizione elettorale. Il deprecabile sistema trae fondamento dall’organica assonanza (politica ed ideologica) tra certi magistrati e talune forze e movimenti che spesso ne hanno agevolato le carriere o la designazione in posti di vertice nei vari palazzi di giustizia. Quel che sembrava già evidente si è rivelato completamente con il caso Palamara- Lotti a cui hanno già da tempo messo la sordina perché, dopo l’iniziale clamore, guarda caso è caduto nel dimenticatoio. Un sistema di spartizione sistematica dei posti che più contavano per amici e simpatizzanti del Pd, a prescindere dai meriti e dai curricula degli aspiranti. La pubblica opinione ha finalmente potuto accertare che l’uso strumentale della giustizia per finalità politiche non è mai stata un’astratta illazione degli imputati o dei partiti falcidiati dai loro provvedimenti ad orologeria. In un paese ove tutto ciò che è stato intercettato è finito sui giornali – anche se i fatti non erano attinenti al reato ipotizzato – stiamo ancora aspettando che siano rese note le ulteriori intercettazioni a carico di tutte quelle toghe che hanno ricoperto oppure ancora ricoprono incarichi di vertice. Nel  Belpaese si usano sempre due pesi e due misure e quella che riguarda il giudizio  su taluni comportamenti dei giudici appare molto scarsa. Nella culla del diritto, buona parte dei “colpi” prestabiliti, a carico di coloro i quali dovevano essere soppressi per pregiudizio politico o per convinzione ideologica, sono stati realizzati con l’uso di due strumenti di produzione “artigianale” della classe togata: il reato di concorso esterno in associazione e la legge sui pentiti. In entrambe le fattispecie il meccanismo è tale da invertire il principio dell’onere della prova che passa dall’accusatore all’indagato. Quest’ultimo, in buona sostanza, è chiamato a fornire un prova negativa, ovvero a confutare le accuse che gli vengono mosse da quanti – i pentiti – lo chiamano in causa. Pentiti, si badi bene, le cui dichiarazioni spesso vengono rese de relato, anche senza preventivi riscontri fattuali, nonostante pure provengano da persone che, fino a prova contraria, sono pur sempre malvivwnti pluri condannati e che, guarda caso, entrano nella disponibilità non di un giudice terzo bensì della pubblica accusa!! Quest’ultima decide i benefici da accordare a questi “collaboratori”, in termini di sconto di pena, dissequestro dei beni, agevolazioni economiche alle famiglie. Per chi ha ormai poco oppure niente da perdere, le offerte del pm di turno rappresentano una manna che cade dal cielo e non mancano quindi gli incentivi a dare sostegno a talune ipotesi di colpa, ancorché non provate. Tanto basta per “mascariare” chiunque a mezzo stampa elevando le tesi accusatorie a verità sacramentate. Scompaionom così, nel tritacarne del combinato disposto pentiti- giornali l’onorabilità, la professionalità, gli interessi e gli affetti familiari dell’indagato. Ma sopratutto si raggiunge il vero e recondito scopo di cancellarne il buon nome ed il seguito politico. Inutile dire che un Parlamento di pavidi e di cinici atterriti dai pubblici ministeri oppure allettati dalla prospettiva di eliminare avversari, non ha mai voluto o saputo tipizzare quel reato, ovvero stabilire in quali circostanze questo si potesse invocare. Una mano tesa grande quanto una casa per i pubblici ministeri a caccia di fama e notorietà, liberi di arrestare chiunque. Non richiamo, per brevità di spazio, gli innumerevoli casi in cui a distanza di anni i processi hanno poi cancellato quei presupposti di reato e scagionato in pieno i malcapitati. Ahinoi, per quanto assopita, la macchina infernale è sempre pronta per la spettacolarizzazione degli arresti, con tanto di conferenze stampa degli inquirenti. La provincia di Caserta ha pagato un alto contributo a questo modo di amministrare la giustizia e quasi tutti i politici di successo, sopratutto quelli militanti nel centrodestra, sono stato “bruciati”. Il tempo ed i processi hanno già scagionato molti di essi e si spera accada altrettanto per tutti quanti gli altri. E veniamo ai giorni nostri. E’ recentissimo il caso dell’arresto del vice presidente della Provincia di “Terra di Lavoro” tirato in ballo da un imprenditore, a sua volta, già finito in manette e condannato per camorra e che oggi, guarda caso, ha scelto di indossare i panni del pentito. Tuttavia costui ha riferito non cose utili alla legge oppure alla collettività, bensì utili a se stesso, a copertura di condotte illecite personali già accertate e censurate, a suo tempo, in sede legale, nello stesso contesto operativo. Insomma: per ogni accusa egli ha ricavato un alleggerimento della propria posizione, nella vicenda che, scoperchiando tutto il pregresso calderone del malaffare e delle collusioni politiche, riguarda l’appalto-concorso e la gestione del Cimitero di Santa Maria a Vico. Molte le cose che potrebbero venire alla luce. Sarà bene dunque che stampa e magistratura ci ficchino il naso dentro questo “pregresso” più che affidarlo all’oblio. Quel malaffare fu denunciato in Consiglio Comunale da chi scrive e molte irregolarità ed abusi vennero alla luce. Eppure, allora, nulla successe di clamoroso!! Che si faccia dunque giustizia, ma non superficiale e parziale, affinché gli onesti e non certo chi si pente per comodità ed interesse, trovino ascolto e ristoro.

*già parlamentare

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