“AMANDA”: STARE IN MEZZO AL NIENTE, MA STARCI BENE 

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di Mariantonietta Losanno

Esiste un posto – anche solo ideale – in cui due amici o amiche si incontrano. Una sorta di “base”, un luogo scelto senza essere stato selezionato rispetto ad altri, ma che rappresenta (simbolicamente) l’amicizia. Amanda frequenta la cineteca, si guarda intorno, cerca di incrociare uno sguardo di complicità; ne incontra uno: si scrutano per un po’, per poi incontrarsi alla fine del film, presumibilmente per stare insieme. Ma non hanno nessun posto in cui seguirsi. Non si conoscono, non hanno mai consolidato abitudini, stabilito spazi “comuni”. Non condividono nulla. 

L’esordio alla regia di Carolina Cavalli (anche sceneggiatrice in questo caso) non è solo una storia di amicizia. “[…] soprattutto di ricerca del proprio posto nel mondo. È una storia d’amicizia un po’ ideale come l’amico immaginario che ci creiamo da bambini per dar sollievo all’inevitabile sensazione di solitudine che si prova anche da piccoli. È un antidoto che fa parte di noi e crescendo, per me, cercare l’amica ideale è come cercare il proprio posto nel mondo. Forse non c’è, ma è bello continuare a cercarla. Ed è quello che fa Amanda”, ha raccontato definendo, in qualche modo, i contorni della sua storia e della sua protagonista. 

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Benedetta Porcaroli interpreta Amanda, una ragazza con una famiglia piena zeppa di cliché e perbenismi che semplicemente la ignora e ignora quello che le accade, rifugiandosi in ipocrisie e superficialità. Lei, invece, desidera così fortemente un’amica proprio per rinnegare l’“eredità” di quella famiglia, provando a costruire qualcosa di reale e tangibile. Avendo, poi, venticinque anni, trovare un’amica significa (anche) iniziare a definire la sua personalità, conoscersi, capirsi. Che è, d’altronde, quello che si fa quando si instaura un’amicizia. Ci si scambiano idee, si condividono passioni; oppure se ne costruiscono ex novo, cogliendo gli stimoli che il rapporto fornisce.

L’esigenza di Amanda è imparare a conoscere se stessa, dal principio, così come si fa quando si incontra per la prima volta una persona. Coglie, allora, al volo le poche occasioni che le si presentano per incontrare un amico; incontra un ragazzo e spera possa diventare il suo fidanzato (si comporta come se lo fosse, non avendo idea di come si consolidino relazioni sentimentali), rivede – su consiglio di sua madre – una sua vecchia amica di quando era bambina che ora, però, trascorre il suo tempo interamente in casa; si affeziona ad un cavallo, entrando illegalmente in una proprietà privata e facendosi costantemente riprendere dai proprietari. È amica di sua nipote, ma la sua famiglia la ritiene una cosa strana, lontana dai loro cliché. In tutti questi approcci è evidente il bisogno di imparare a capire come prendersi cura di se stessa e degli altri. Amanda conosce la solitudine e sente di poter fare qualcosa per chi è solo come lei, ha solo bisogno di comprendere quali mezzi adoperare per farlo. Ne trova uno, ad esempio, facendosi assumere in un negozio di elettrodomestici (instaura un legame anche con gli oggetti, per sopperire) e promettendo sconti – in un ufficio fittizio – per le persone che vivono sole. Quella sensazione di rientrare a casa e non trovare qualcuno che l’aspetti la conosce bene, e vuole risparmiarla agli altri. E conosce anche quello che si prova quando sembra non accadano cose belle, perché non si ha nessuno a cui raccontarle.

EB9A632E 5108 4E1C 97EA 5678BED57E13 300x161 “AMANDA”: STARE IN MEZZO AL NIENTE, MA STARCI BENE 

L’opera prima di Carolina Cavalli (inserita, all’interno della Mostra Internazionale d’arte Cinematografica di Venezia nella sezione “Orizzonti Extra”) è volutamente sopra le righe, irriverente, in qualche modo persino anarchica. Non segue le regole canoniche della commedia che tanto conosciamo, non cerca il compiacimento del pubblico, è fiera del suo essere anche irritante perché nevrotica e piena di “irregolarità”. Sono proprio queste irregolarità, infatti, a renderla interessante e nuova, lontana da un genere anche se vicina a dei modelli di riferimento (quello di Sorrentino, ad esempio, anche omaggiato nella dedica finale); e concreta, avulsa da quegli atteggiamenti finti della famiglia borghese che mette in scena. 

Forse, alla fine, ci si può rendere conto che “stare in mezzo al niente” può essere persino piacevole.