– di Vincenzo D’Anna* –
La velocità con la quale avanza la cosiddetta “società digitale”, quella fatta da uomini che si avvalgono (e dipendono) sempre più della tecnologia e dell’uso frenetico dei nuovi mezzi di comunicazione, è irrefrenabile. Travolge e riscrive, trasversalmente, abitudini e consuetudini di vita; modifica radicalmente la scala dei valori condivisi, posti a presidio dell’ordinata e civile convivenza (almeno di quella che ci è stata consegnata dalle generazioni precedenti). La morale, figlia dei tempi, si adegua in uno con la legislazione, ovvero l’etica pubblica, e con essa la linea di confine tra il bene ed il male, tra il lecito e l’illecito. Tutto in funzione del soccorso sempre più pervasivo che il progresso tecnologico (e quello merceologico) apporta, colmando lacune cognitive e culturali in un mondo in cui i saperi diventano sempre più rarefatti ed ininfluenti. L’uomo diventa così inavvertitamente una propaggine delle macchine, un vassallo della loro potenzialità, assuefatto com’è a servirsene senza più limiti e criteri. Attenzione: quello portato avanti non è un artificio logico e filosofico, usato contro la modernità per nostalgia del passato, un retrivo pensiero di coloro che sono avanti con l’età ed a disagio innanzi alle repentine e continue rivoluzioni sociali. Tutt’altro!! È la riflessione di chi guarda a questa permanente modifica dello stato delle cose, alla transizione veloce ed incombente che grava sulla vita degli individui e sul vecchio umanesimo, senza farsi influenzare dalle ricadute strabilianti che la modernità pone a nostro vantaggio quotidiano. Insomma: guarda un poco più lontano dalla punta del naso degli sciocchi e degli irriflessivi e dal mito della “pancia piena prima di tutto” che coltivano mediocri ed incolti. Chi guarda ed osserva nota che le manie di grandezza degli uomini travalicano le loro possibilità reali e fattuali, amplificate ed assistite dalle potenzialità dei “robot”. Più ignorante e dipendente diventa l’uomo più esso coltiva un ego ipertrofico che senza alcun argine di conoscenza e sapienza deborda nel convincimento che questi abbia ormai la sorte del mondo nelle proprie mani, trasformandosi in una specie di surrogato del Dio e di madre natura. La vita e la morte stessa finiscono per rientrare nelle decisioni di chi intende ergersi a creatore della vita, manipolatore del creato, possessore di una libertà senza responsabilità, esegeta della storia che non conosce. A tutto questo sta per aggiungersi l’uomo bionico, frutto di ciò che è creato su ispirazione di strutture e meccanismi biologici. Ecco allora gli embrioni selezionati e manipolati agli inizi della vita, fino alla loro soppressione perché sì, pur essendo uomini in potenza ed a tutti gli effetti, sono magari ritenuti scarti di lavorazione, inidonei al principio di bellezza ed ai canoni della salute perfetta e duratura, quindi possono anche essere eliminati. In questi anni, in nome di un principio etico di facciata, quello di curare malattie rare e mortali, sono insorte la genetica predittiva e le cure personalizzate e siamo riusciti a tagliare e cucire, come il lembo di una stoffa, il DNA umano. Abbiamo messo a punto forbici molecolari in grado di eliminare e sostituire interi pezzi del codice genetico: un meccanismo che somiglia maledettamente alle potenzialità che l’uomo acquisì al tempo della scissione dell’atomo e della produzione di quella forza straordinaria che ne conseguì. Ancora una volta la scienza pone quesiti all’umanità come quelli che si posero gli scienziati che, a Los Alamos, sperimentarono la prima bomba atomica. Usare quell’energia per soccorrere i bisogni della umanità oppure per distruggere le sorti della umanità stessa. Così oggi siamo in grado di correggere i difetti della natura creatrice, quando questa esorbita la normalità, oppure di creare un essere umano fatto per sopraffare o dominare tutti gli altri per avergli infuso capacità fisiche e mentali mai viste prima d’ora. Insomma l’ideale del superuomo come frutto di un artefatto genetico. Un gruppo di ricercatori della University of New South Wales di Sidney, in Australia, ha messo a punto un robot che stampa cellule vive direttamente nel corpo umano. Il prototipo può essere inserito come un endoscopio per fornire direttamente biomateriali sulla superficie di organi e tessuti. Una potentissima arma in mano sia a chi cura sia a chi vuol opprimere gli individui, a mezzo di altri loro simili appositamente confezionati per farlo. Quel che sembrava fantascienza qualche decennio fa, nel 2023 è diventata mera attualità scientifica ed etica. Se il mondo si conforma sull’ignoranza degli individui ed il sostegno a questi deriva dalla sapienza delle macchine, questi stessi uomini bionici sapranno determinare un discrimine compatibile con un nuovo umanesimo.? Uni che non travalichi i sentimenti di giustizia, solidarietà, civile convivenza e operosità benevola per tutti gli esseri viventi? Andiamo purtroppo veloci per dipanare questi interrogativi, sprovvisti, come siamo, di sentimenti e di conoscenza!!