EDUCAZIONE RELIGIOSA E DISABILITA’

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La pedagogia speciale sta seguendo una nuova direzione che coinvolge la didattica e l’insegnamento della religione cattolica che si concretizza verso la valorizzazione di chi racconta la disabilità perché la vive. Il paragone con il limite (fisico e non) che una persona può essere chiamata a vivere come protagonista (un minore) e/o come testimone (un genitore) può favorire la scoperta cognitiva: ad esempio chi vive una disabilità ha bisogno di conoscere la propria condizione: tale conoscenza, già esperienziale – vissuta sulla propria pelle – deve trasformarsi in conquista cognitiva per sé e per gli altri, ossia deve esserci la possibilità di elaborare, superare e interiorizzare il limite attraverso un’argomentazione che permetta di collocare il dolore in un contesto storico personale e sociale, permetta di trasformare quella che potrebbe essere fondamentalmente una prova di limite fisico e psichico, in una struttura simbolica e di riflessione sulla dimensione esistenziale. Si tratta di percorsi conoscitivi che per evidenziarsi comunicabili e inarrestabili devono avvenire in situazioni condizionate simbolicamente (aule scolastiche, universitarie, classi di catechismo) nelle quali vi è aumento di cognizione e di meta-cognizione e che si reggano su motivazioni importanti. In tal senso, risultano didatticamente rilevanti le situazioni “narrative”, che riguardano tutti gli alunni: raccontare ai compagni di sé o della propria disabilità, infatti, permette una con-crescita, una co-evoluzione dell’apprendimento, nelle quale sono presenti, almeno, due dimensioni fondamentali: una legata all’apprendimento e una legata alla socializzazione. In questo modo, anche quando parliamo di disabilità dobbiamo sempre riferirci a queste due coordinate che devono procedere di pari passo: raccontare la disabilità (o anche il raccontar-si dell’alunno con disabilità) nel gruppo-classe, durante l’ora di religione, può servire a collocare la dimensione della disabilità all’interno della riflessione sulla vita e sul senso del vivere; la narrazione del limite – dire/raccontare un’esistenza non proprio facile, da parte di chi prova sulla propria pelle, una situazione di disabilità o vincoli di sofferenza che costituisce un’esperienza poliedrica e completa, può indicarci i percorsi da avviare per fronteggiare situazioni inaspettate e per l’inclusione sociale.

Ogni esperienza dovrebbe essere straordinariamente più ampia rispetto alla parzialità dello sguardo dello studioso, dell’educatore, dell’insegnante che, pur competente, manca del “vissuto” della disabilità. L’importanza del narrare il dolore e la sofferenza può essere collegata alla condivisione o all’impatto emozionale ma deve assolutamente – secondo il modello complesso della disabilità che considera le dimensioni dell’apprendimento e della socializzazione – procedere verso una conquista di carattere cognitivo (e non rimanere solamente un vissuto emotivo), che esplicita il fatto di stare dentro ad un campo di significati condivisi. Ciò comprende, ad esempio, l’aver fatto anche delle cose, insieme ai propri compagni, molto semplici, quotidiane e continuative (mangiare, giocare, ridere ecc.), utilizzando, nel gruppo dei pari, quel declino che supera i contenuti e i confini esclusivamente raziocinanti.

L’insegnante di religione e/o il catechista possono favorire l’accoglimento degli elementi di novità dell’apprendimento e del cambiamento che sempre comporta dolore e piacere: il dolore riguarda il privarsi dello stato di sicurezza precedente, come certezza del conosciuto per andare verso stati di incertezza, nei confronti dei quali tendiamo a difenderci, opponendoci al cambiamento e, inconsciamente, all’apprendimento; il piacere riguarda, invece, la padronanza di strumenti nuovi che consentono una lettura maggiormente integrata della realtà, ma che comporta impegno, sofferenza, fatica.

Il nodo centrale della didattica deve rimanere il rapporto tra docente e allievo e, in tal senso, si può affermare che la responsabilità del rapporto con l’altro è la dimensione fondante della didattica. Ovviamente si fa riferimento qui di una certa responsabilità, che non è distaccata dal contesto nel quale si è impegnati; la miglior idea di responsabilità è quella che si declina rispetto a qualcosa o qualcuno, cioè rispetto ad un contesto, fatto di situazioni, ambiente, persone, ma soprattutto di “appartenenze” (in questo concetto, ci sono elementi di possibile dinamicità e di co-evoluzione, perché l’appartenenza necessita di essere aggiornata, confermata, ri-confermata). Nella didattica vi è, quindi, una responsabilità che riguarda se stessi non disgiungibile da quella che riguarda la comunità nella quale ognuno di noi è professionalmente impegnato: il ruolo dell’insegnante e del catechista è ineguagliabile e carico di responsabilità poiché egli usa anche se stesso quale strumento principale (anche se non esclusivo) del suo lavoro. La moderna evoluzione della didattica speciale mette a disposizione degli insegnanti una serie di approcci metodologici e di strategie di facilitazione diretti dell’apprendimento (strategie cognitivo- comportamentali, modeling, strategie metacognitive, utilizzo di particolari sussidi tecnologici ecc.) ed altre più orientate al contesto (come quella di attivare la risorsa compagni), anche se una netta differenziazione tra soggetti coinvolti nei processi di apprendimento e contesto è impossibile. In questo articolo si vuole mettere in luce come l’interesse prevalente dell’insegnamento della religione venga sollecitata dalle situazioni di disabilità e come l’insegnamento spirituale possa contribuire ad un’inclusione sociale dei bambini e dei ragazzi con disabilità. L’argomento porta ad interrogarsi rispetto ad atteggiamenti e a comportamenti di ciascuno e rende evidente come gli interventi non possano essere riferiti solo alle persone disabili, ma a tutta la comunità che apprende, nella quale si opera creando alleanze a partire dalle famiglie dei ragazzi (disabili e non), passando per la rete parentale, il vicinato, la comunità, fino a costruire ampie reti con il territorio. L’educazione religiosa è chiamata, negli ambiti laddove è prevista – compresi quelli parrocchiali, diocesani e sociali – a promuovere anche negli alunni disabili la comprensione di una dimensione trascendente: se è vero che l’educazione della persona è una sfida che presuppone l’educabilità di tutti, quando è rivolta a persone con disabilità diviene sfida ancor più interessante, trasformandosi in opportunità di ripensare il rapporto educativo e le strategie didattiche. Per offrire un concetto – soprattutto a bambini con ritardo mentale – è indispensabile semplificarlo. Rendere semplice una nozione dipenderà dalla capacità dell’educatore di liberarla dagli abbellimenti verbali, dalle sottigliezze, dai ragionamenti accessori che la fanno sembrare inaccessibile. È possibile semplificare un concetto complesso fino a renderlo facilmente comprensibile? Sì, certamente; e questo rappresenta anche l’obiettivo di una didattica che ha cura di tutte/i coloro che apprendono. Infatti, una delle sfide più ardue per chi insegna è quella di “semplificare”, non intesa come diminuzione, riduzione, o banalizzazione delle nozioni da trasmettere, ma come diligenza e responsabilità quotidiane nello smontare, ricostruire, dare nuova forma, reinventare ciò che si concettualizza per renderlo più comprensibile. Ad esempio, per provare a spiegare chi è Dio, si può limitare a insegnare che è un Padre, il Padre di tutti noi. Questo potrebbe sembrare insufficiente, semplicistico, incompleto o addirittura inadeguato; ma va considerato un piccolo passo, un piccolo “seme”, che ogni insegnamento dovrebbe proporsi di piantare. Nulla vieta a questo seme (o insegnamento) di svilupparsi o di essere arricchito ed elaborato col tempo, ma ora ciò che ci interessa è che venga trasmesso, testimoniato e che rimanga chiaro anche un solo concetto: Dio è Padre; insegnare dovrebbe essere molto più simile a regalare semplici semi, piuttosto che a trapiantare grandi alberi.

6 Commenti

  1. L’argomento porta ad interrogarsi rispetto ad atteggiamenti e a comportamenti di ciascuno e rende evidente come gli interventi non possano essere riferiti solo alle persone disabili, ma a tutta la comunità che apprende, nella quale si opera creando alleanze a partire dalle famiglie dei ragazzi (disabili e non), passando per la rete parentale, il vicinato, la comunità, fino a costruire ampie reti con il territorio. Parola ordine Dottoressa mia è fare rete: magari questo concetto lo capissero tutti. Purtroppo ognuno coltiva il proprio orticello ai danni degli altri e poco importa che siano disabili o normali

  2. Questo articolo mi ha fatto tanto riflettere soprattutto quando letto delle frasi riguardanti l’inclusione e la fede che dovrebbe andare di pari passo ma non sempre così cara dottoressa perché la disabilità è veramente di chi la vive come dice lei. Però credere in un Dio superiore è importante perché ci aiuta a sopportare meglio la nostra croce in questo caso la disabilità di mia nipote.
    Grazie per questo nuovo articolo che ci porta a riflettere sull’importanza della fede perché la religione non sia solo una moda

  3. Gli insegnanti di religione, più degli altri insegnanti, possono smuovere gli animi dei giovani. Le discussioni frequenti in classe di argomenti delicati porterebbe, infatti, i ragazzi a essere molto più sensibili. Nelle scuole, sfortunatamente, però, sono pochi gli insegnanti che staccano gli occhi dai libri e guardano in faccia i propri alunni. Se tutti lo facessero, noterebbero il classico bulletto, che magari ha anche i voti alti, che guarda il compagno sulla sedia a rotelle e ride. A una grande mente, preferisco un gran cuore. Spero tanto che il mondo un giorno sarà abitato solo da persone sensibili. Grazie, Dottoressa, di quest’articolo così GRANDE.

  4. “…insegnare dovrebbe essere molto più simile a regalare semplici semi, piuttosto che a trapiantare grandi alberi.”
    Quanto è vera questa affermazione…

  5. Complimenti per questo articolo Mariarosaria. Dio è Padre vero, e lui Padre dovrebbe insegnare a piantare piccoli semi, come insegnare ai giovani autistici cos’è la religione Cristiana e chi è lui Padre onnipotente.
    Grazie ancora e buon fine settimana

  6. Ovviamente la religiosità e la fede devono essere punti fondamentali per la crescita e l’inclusione del.diversamente abile …

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