“LE VARIABILI DIPENDENTI”: L’ARITMETICA EMOTIVA NEL CORTO DI LORENZO TARDELLA 

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di Mariantonietta Losanno 

In statistica, le variabili sono dette dipendenti a seconda della relazione esistente tra  loro ed altre variabili. Questo concetto, immediatamente, ci riporta ad un altro, quello dei numeri primi, divisibili solo per 1 e per se stessi, analizzato ne La solitudine dei numeri primiL’idea di Lorenzo Tardella (classe 1992, diplomato in regia presso il Centro Sperimentale di Cinematografia) sembra muovere, infatti, dagli stessi presupposti di Saverio Costanzo – e prima ancora di Paolo Giordano – e, cioè, dall’attenzione verso l’aritmetica emotiva, funzionale allo sviluppo di un racconto intimista. Nell’opera (vincitrice della 68° edizione dei David di Donatello nella categoria Miglior cortometraggio) del regista umbro, ci sono due ragazzi giovanissimi, Pietro e Tommaso, che si scambiano un bacio su un palchetto di un teatro. Lo stesso pomeriggio, poi, si incontrano per capire cosa sia successo, camuffando – in parte – l’imbarazzo e ricorrendo al gioco. Nel film di Costanzo, invece, l’attrazione è differente; sono sempre due i protagonisti – Alba Rohrwacher e Luca Marinelli – ma, in questo caso, profondamente irrisolti, congelati in un presente immobile e prigionieri del loro dolore. Si attraggono (e diventano dipendenti) perché condividono un’angoscia comune, non per il desiderio di scoprirsi. Una cosa, però, li accomuna ed è il fatto di essersi riconosciuti ancora prima di parlarsi. 

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“Abbiamo ricevuto un’accoglienza clamorosa. In particolare il pubblico ha applaudito gli interpreti dei due protagonisti (Simone Evangelista e Mattia Rega) e ha gradito il modo in cui li osservo da vicino, quasi come al microscopio. Il corto, più che dell’amore, parla della paura e dell’intimità, del guardare l’altro che ti sta davanti e capire se vuole le tue stesse cose, se ti rispecchi in lui. Questa è la grande difficoltà nelle relazioni, a qualunque età”, ha raccontato Tardella del suo film presentato al Festival di Berlino, dove era l’unico cortometraggio italiano in concorso. Il regista insegue gli sguardi dei due adolescenti, ancora inconsapevoli dei loro sentimenti ma coraggiosi a tal punto da volerli scoprire. E il fatto che il loro primo contatto avvenga in un teatro – mentre risuonano le note di Vivaldi – non è un caso: luogo, infatti, che ospita sia l’allestimento di uno spettacolo, che l’insieme degli spettatori presenti in sala. Che consente un’intimità e un approfondimento di sé in altri contesti impensabili. Che consente di isolarsi pur stando accanto ad altre persone. Che protegge con il buio della sala. Pietro e Tommaso vengono praticamente ignorati dai compagni che sono con loro sul palchetto, come se non volessero “interrompere” quello scambio emotivo, ma anche come se non si curassero di quello che accade di fianco a loro, intenti a pensare, guardare ed immaginare altro. 

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Il regista sceglie due opposti per indagare il concetto di attrazione. Pietro è più timido e introverso, Tommaso è estroverso e curioso, sembra porsi più domande. All’apparenza agli antipodi. Eppure, sono due incognite in pieno sviluppo legate da un’attrazione che non possono – più che non riescono – a comprendere. Come “gestirla”? Fare finta di nulla, distraendosi con il gioco, o provando a sentire cosa succede quando ci si ritrova di nuovo vicini? Cosa potrebbe accadere, però, se si dovesse scoprire che l’altro non sente la stessa partecipazione che sentiamo? Come proteggersi se ci si vuole esporre? Il gioco un po’ aiuta, allora, a smorzare la tensione; serve, cioè, a riportare l’attenzione verso qualcosa che conoscono, e che, quindi, tranquillizza entrambi. Ed è sempre il gioco il modo per trovare il coraggio per proporre di rivedersi. “Mi prometti che ci provi a fare le missioni?”, chiede uno all’altro, riferendosi ad una partita ipotetica da giocare insieme, sempre se l’altro vuole provare qualcosa che non ha ancora mai provato. 

Forse l’altro non sarà mai pronto, ma si sentirà incoraggiato ad esserlo. Oppure, si potrebbe anche non essere mai pronti e continuare a provarci lo stesso, slancio dopo slancio, con la consapevolezza che non sempre ci si può riconoscere nello stesso sguardo. O nello stesso cuore.