ESTATE DI CLASSICI – “RE PER UNA NOTTE”: L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI (PER NOME) 

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di Mariantonietta Losanno 

%name ESTATE DI CLASSICI   “RE PER UNA NOTTE”: L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI (PER NOME) Giustizia o sopruso? Il successo, gli autografi, le macchine dei “divi” prese d’assalto, i nomi “importanti” che tutti conoscono. Le ammiratrici audaci e determinate che si intrufolano ovunque pur di tentare un approccio. Ma a quale costo? A quali condizioni? Tutto dipende da quanto forte è la motivazione ed essenziale lo scopo. 

«Il mio nome non vi importa molto, ma importa molto a me», dice Rupert Pupkin. È abituato a presentarsi e a ripetere (più volte) il suo nome. Si esercita da tempo, ansioso che arrivi la sua occasione. Ha trentaquattro anni e un’insopprimibile vocazione per la comicità. E ha un modello: Jerry Langford. Modello e chiave di accesso al mondo di “quelli che contano”. Quelli di cui, appunto, non ci si dimentica il nome. Pupkin lo ha “puntato”, e da quel momento non l’ha più mollato. Gli si avvicina, chiedendogli apertamente di farlo partecipare al suo show con un monologo appositamente preparato per l’occasione. Langford, per non contrariarlo, lo invita a registrare un nastro e a mandarglielo in ufficio, in modo da poter verificare la sua bravura ed – eventualmente – procurargli un’audizione. È proprio l’eventualità a non essere concepita come tale, ma trasformata (o meglio alterata da una sorta di allucinazione) in realtà. Rupert si vede già al fianco di Ernie Kovacs, Mel Brooks, Woody Allen. È convinto di essere già famoso (molto) prima di diventarlo. E la convinzione ha la meglio su tutto; diventa, infatti, ufficialmente “Re per una notte”, con il suo show personale e una sua autobiografia stampata e diffusa in tutta l’America. Ottiene il successo che voleva, e che (forse) meritava. Diventa l’uomo che tutti conoscono, che tutti aspettano, di cui tutti conoscono il nome. Ora è lui a condurre la sua vita. Raggiunge l’obiettivo: viene consacrato Re dei comici. 

%name ESTATE DI CLASSICI   “RE PER UNA NOTTE”: L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI (PER NOME) Scorsese sta a De Niro come De Niro sta a Rupert. Se da un lato, infatti, si può dire che il regista abbia trovato il suo alter ego nella persona con cui ha collaborato per ben nove film, è vero anche che Rupert per De Niro sia una sorta di “estensione di sé”. La sua ossessione per la comicità ha la stessa intensità di quella che l’attore ha sviluppato per il Cinema. Pupkin è stato De Niro e De Niro è stato Pupkin. Hanno provato entrambi la fame di celebrità e successo, la voglia insopprimibile di emergere dalla mediocrità dell’anonimato e di diventare “qualcuno” in un ambiente in cui nessuno lo è. Questa ricerca affannosa ed esclusiva (assoluta) della notorietà (e del riconoscimento di tale notorietà) può assumere connotazioni patologiche e trasformare in mitomani emarginati dal contesto sociale e familiare, con cui si può comunicare solo mediante una radicale sostituzione del reale con l’immaginario. Pupkin, infatti, si identifica solo con il medium televisivo, il resto non esiste. Lo stesso Langford, d’altra parte, è vittima di un sistema alienato che l’ha ridotto ad una spersonalizzazione estrema e ad una solitudine da recluso, tristemente consapevole del destino riservato ai vari Pupkin che, nel momento in cui raggiungono il proprio scopo, diventano altrettanti Langford. 

Scorsese privilegia la meditazione e l’introspezione più che in ogni altro suo film precedente; pertanto, un soggetto da commedia assume le dimensioni inquietanti di una parabola sulla sostanziale tragicità dell’arte comica e sulla natura fascinatoria dello spettacolo come dissimulazione della realtà. Purtroppo, Re per una notte, si rivela il più grande insuccesso commerciale della carriera del regista, tanto da costringerlo al silenzio per più di due anni. L’occasione per riscattarsi – un po’ come Pupkin – arriva con Fuori orario, un piccolo film indipendente a basso costo acquistato dalla Warner.