di Mariantonietta Losanno
Il fenomeno “Barbenheimer” (fusione – tanto per restare in tema – forzata tra i due titoli del momento) suggerisce (o persino impone) una riflessione sull’approccio del pubblico in sala. Sembra (quasi) di essere in teatro, intenti ad osservare il modo dei diversi spettatori di occupare – ed interrogare – lo spazio e il tempo entro cui si sviluppa lo spettacolo. Forse è più comprensibile per Barbie (per quanto riguarda l’età dei presenti, ad esempio) e un po’ meno per Oppenheimer, ma in entrambi i casi i risultati sono più che stupefacenti. Le sale sono piene, e non per forza di “gente” abituata al consumo di storie in modo inconsapevole, ma di pubblico che è “presente” e partecipa. In alcuni casi anche fin troppo (c’è chi dimentica di non essere sul proprio divano di casa), sfortunatamente. La nuova “bomba” di Christopher Nolan offre, poi, l’occasione perfetta per soffermarsi sul ruolo dei (tanti) fruitori. Siamo lì, piccoli piccoli, di fronte ad un evento dalle dimensioni inaffrontabili. Siamo all’interno di un mondo (che è, a sua volta, dentro il nostro mondo) che non tutti possono accettare e seguiamo – affascinati, accecati, terrorizzati – il procedimento passo per passo.
Nolan rilegge la Storia e il (suo) Cinema, e si rapporta ad oggi. Si interroga, cioè, sulle potenzialità della scienza (come ha già fatto in passato), sul ruolo della politica, sulle conseguenze delle devastazioni (identitarie e sociali), sui limiti del Potere e – sì, necessariamente – anche della conoscenza umana. Nolan ha a cuore ognuno di questi aspetti. Ha la doppia nazionalità (sua madre è americana e lui è cresciuto tra la Gran Bretagna e Chicago), quindi la Storia (questa, soprattutto) ha la sua indubbia importanza. È capace, poi, di dimostrare (in modo folgorante, in questo caso) le capacità del Cinema di analizzare tanto gli eventi che hanno cambiato il mondo quanto le complessità di una mente geniale ma fallibile. È curioso, perché sperimenta; è coraggioso, perché (si) sfida; è intelligente, perché conosce le logiche commerciali del mercato hollywoodiano, ma non vi si adegua mai – né, tantomeno, soccombe – in modo passivo. Quel pessimismo pseudo-scientifico intriso nella frase «Se qualcosa può andare storto, lo farà», per Nolan assume una nuova accezione, né negativa né positiva. Semplicemente nuova. Se qualcosa può accadere, accadrà. Ed è bene che accada. Ed è bene, soprattutto, che ci sia qualcuno ad assistervi e qualcun altro a prendere appunti (filmati).
In Oppenheimer (distribuito nelle sale dal 23 agosto) succede un po’ di tutto, e questo tutto si rivela un po’ alla volta. Certo, bisogna disporsi nella condizione necessaria a cogliere (almeno) la gran parte di questo insieme. Il film dura tantissimo (ma perché Barry Lyndon, C’era una volta in America o Il cacciatore? E le sette ore e trenta di Satantango di Béla Tarr?), bisogna prenderne atto: è un film da tre(m)ore. Tra gli altri dispositivi di cui dotarsi (tra cui c’è da abbandonare, senz’altro, lo smartphone) ci sono una dose equilibrata di pazienza e fascino. Ci sono domande senza risposte e altre che si possono ri-proporre, quando la risposta non aggrada o non è esauriente. La sola teoria non basta, Oppenheimer lo ripete in continuazione. Lui ci mette anche la pratica, è necessario che anche il pubblico faccia lo stesso. Il genio, infatti, non è sempre garanzia di saggezza. La politica e la fisica si muovono sullo stesso piano, rincorrendosi a vicenda. Dove una fallisce, l’altra viene in soccorso. Oppenheimer viene presentato in tutto e per tutto, nella sua grandezza e nella sua fragilità. È uomo, eroe, distruttore, assassino. E ancora, è uomo instabile, integro, istrionico; è eroe e antieroe, distruttore cosciente e inconsapevole. E assassino e basta. Ascoltiamo i suoi respiri, assistiamo ai suoi deliri, accettiamo le sue prese di coscienza. Abbracciamo la rivoluzione nella fisica, seguendo Picasso, Stravinskij, Freud, Marx. Ma di cosa parla – in concreto – la pellicola? Non è certamente un film sulla bomba, o le bombe. È un progetto ampio, capace di anticipare i tempi (chissà come se ne parlerà tra qualche anno) che consente di capire – parallelamente – la scienza e le persone. L’Essere e il Nulla, toccando (anche) l’opera di Sartre. Nolan gioca con la struttura temporale (ci sono tre livelli narrativi: non ce lo aspettavamo affatto!) e (si) racconta in un’opera che ha manie di grandezze – come i suoi personaggi – ma che dimostra di non avere il bisogno di “rumori” assordanti. Lo scoppio c’è, ma non deve essere necessariamente così invasivo. È sufficiente il respiro (affannato, inquieto, ansioso) del “profeta” che sarà ricordato per sempre. Da quel respiro evince l’orgoglio e la preoccupazione («Sento di avere il sangue sulle mie mani», dice Oppenheimer a Truman, che gli offre un fazzoletto per “pulirlo”, o alza bandiera bianca?), e la consapevolezza di aver dato vita ad una creatura che ha l’aura di un’apparizione divina.
È la Storia a giudicare. A mostrare come il Potere (bruciante) possa offuscare la mente e gli occhi che, accecati, sembrano non discernere più le cose, i corpi, gli spazi vuoti. Dietro il mondo quantistico c’è il mondo reale: ne sa qualcosa il matematico geniale di π – Il teorema del delirio, di Darren Aronofsky. Sì, il delirio c’è, nonostante – tecnicamente – sia tutto un gran successo. Oppenheimer (uomo) ha – forse – convinto tutti di essere più complesso di quello che è realmente stato. In fondo, siamo tutte anime semplici.
Nolan ha stravolto di nuovo l’ordine (non solo temporale) delle cose, probabilmente per sempre. Così come ha fatto – in modo radicalmente opposto – Greta Gerwig con Barbie. Non è necessario considerare i due film come rivali, basta intenderli come rivoluzionari. Perché è quello che sono, al di là delle specifiche motivazioni. “Barbenheimer”, oggi, ha Potere e deve utilizzarlo bene, senz’altro. Ma le due pellicole nascono proprio con l’intento di comprendere cosa accade a chi ne possiede troppo, a chi ne abusa, a chi lo (rin)nega. Fa tutto parte del gioco: lasciamo che trionfi. Non condanniamo. È una vittoria per il Cinema.