CAIVANO, PER NON DIMENTICARE…

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   –   di Francesca Nardi   –       

Che grande Paese il nostro!, la rapidità con cui, a macchia d’olio ci si immerge nell’imprescindibile, sbattendoci il petto glabro, non appena il nostro primitivo senso di conservazione ci avverte che dobbiamo esserci a tutti i costi, è pari soltanto alla velocità con cui, ognuno, dopo l’ultimo doveroso selfie, ritorna ai propri affari quotidiani. Chissà se la premier Giorgia Meloni aveva ed ha, sia pure una pallida idea, di cosa sia stato e sia il territorio che, in perfetta buona fede, si propone di bonificare…o se qualcuno dei suoi baldi assistenti locali, si sia preoccupato o meno di renderla edotta circa i meccanismi sottili e perversi, che muovono e si attivano a difesa dell’inimmaginabile, offrendo al visitatore di buon cuore, soltanto lo straziante rituale di un cronico abbandono…Caivano ed il Parco Verde…c’è qualcosa di macabro quasi, in questo rituale che si snoda nelle vie polverose, nei cartelli di protesta, il cui vero motivo ispiratore non è la pietas, non è ahinoi, ciò che vorremmo che fosse e che sapete bene che non può essere…perché è soltanto rabbia quella che urla e minaccia, forse giustificata e forse no, per il taglio al reddito di cittadinanza…E come siamo inorriditi ieri, quasi dieci anni fa, al Parco Verde, dinanzi a quella sagoma disegnata sull’asfalto, così oggi, ci disgusta persino il suono delle news approssimative che, per dare un segnale di riconoscimento a tutti, sul luogo in questione e sulla comunità che lo caratterizza, fanno riferimento, peraltro in maniera che definire “sciatta ed imprecisa” è un pietoso eufemismo, alla piccola Fortuna Loffredo, morta il 24 giugno del 2014, per essere precipitata dall’ottavo piano di un palazzo. L’orrore della fine è intriso nel sangue innocente, che gronda ancora oggi, dal dramma nascosto di quella breve esistenza e scorrerà inarrestabile nelle nostre anime silenti, fino a quando, quella verità ancora oggi nascosta, nelle pieghe del silenzio consapevole, non emergerà infine, in tutta la sua maledetta chiarezza. L’operazione interforze che stamani, ha coreograficamente adagiato sul Parco Verde, un mantello di legalità, accompagnata dai vessilliferi del Governo che lanciano comunicati a destra e a manca, come omaggi floreali al passaggio della novità, perdonateci, ma non può scalfire la nostra attenzione, né tantomeno commuoverci più di tanto. Dopo anni ed anni di indolente, comodissima indifferenza…nella mente di ognuno di noi, c’è spazio soltanto per disporsi ad un’attesa neanche troppo fiduciosa… Chi, come l’avvocato Paolino Bonavita, infaticabile ricercatore di quella verità impronunciabile e difensore solitario del presunto assassino di Fortuna, quel Titò condannato forse da un calcolo virtuale, prima ancora che dalla logica delle indagini, oggi, dinanzi ai ricordi slabbrati di chi parla ed enuncia, dopo aver navigato solo per diporto lungo le coste delle indagini, ricorda e scuote la testa…Non ha dimenticato l’avvocato Bonavita, no…non ha dimenticato e come avrebbe potuto?, i ricordi sono vivi e roventi, come ferite mai rimarginate…e sfilano piano…poi, interrompendosi, l’avvocato Bonavita si alza piano dalla sedia dietro alla scrivania e dirigendosi verso la finestra, guarda oltre i vetri, verso un orizzonte sfocato che appartiene soltanto a lui e, forse pensando ancora una volta, alle parole terribili di chi si era  lasciato scivolare, forse volutamente, lontano dalle pieghe dolenti e dai risvolti putridi di una verità che non è mai quella che si vorrebbe, quasi parlando tra sé, in bilico tra la delusione che ti devasta e ti percuote e lo spirito ribelle mai sopito, pronuncia parole di fuoco che non finiranno mai di ardere e che nessun uragano riuscirà mai a spegnere: “ Il Parco Verde…era un luogo frequentato da pezzi deviati dello Stato…”