– di Francesca Nardi –
Non c’è nulla di più miserevole della compassione di facciata, dell’atteggiamento contrito e solidale che sfoggiamo ogni qualvolta, per dovere o bieca convenienza, partecipiamo ai convegni sulla Disabilità, sulle Malattie rare, alle sfilate di protesta o alle fiaccolate “definitive”, quelle che accompagnano il dolore impotente e tristemente testimoniano l’esistenza di quel “forse” di cui non si è tenuto conto. Parliamo di Disabilità, di quei bambini per i quali la possibilità di godere di una infanzia e poi di una adolescenza, che fossero… quella summa di colori e musica e ridenti mormorii, seminascosti nella conchiglia delle manine sporche di matita, che raccolgono con la tua, la marachella complice del compagno di banco…è solo qualcosa che si chiama timidamente “speranza” e sincopa i passi del tempo che scorre in automatico, spesso senza registrare alcun apporto che venga davvero, dal cuore…Ebbene… la nostra attenzione nei confronti di quei figli degli altri che forse, non potranno mai essere come i nostri…non ha valore alcuno perché, de facto, non esiste, perché non è consequenziale…Finché le mamme di quei bambini, disperate, avranno necessità di scendere nelle piazze o pernottare dinanzi alle Istituzioni, alle Prefetture, alle Regioni in attesa di risposte, significherà che il nostro sciamare nei cortei e la nostra presenza nei convegni sarà stata soltanto una presenza provvisoria, il passaggio di un manipolo di menefreghisti i quali, finita la giornata, sarebbero tornati alle loro case, già dimentichi delle ore trascorse sottobraccio ai perdenti, che avranno contribuito con la loro vaghezza a restare tali, inconsapevolmente, scuotendo la testa e chiudendo quella giornata diversa con un conclusivo: povera gente. Stop! Ebbene, ai piedi del muro indistruttibile dell’indifferenza, i bambini portatori di disabilità si affollano e poi si accasciano vinti. Cosa fanno le Istituzioni?, cosa fanno i Comuni, cosa fanno i politici, al di là dei discorsi “strappacore” che spesso siamo costretti a subire ed a sorbirci in silenzio, frenati dalla nostra educazione targata secolo scorso, ma intimamente istigati da qualcosa che è difficile contenere e che vorrebbe tradursi in un cesto di mele marce, per poterle rovesciare sulla testa del vanesio… augurandoci che quella tintura sempre troppo nera, per l’età che si vorrebbe camuffare, si sciolga infine al contatto con i succhi avariati della frutta. Vi racconteremo una storia tra poco, una storia di quelle alle quali, si concede una solidarietà provvisoria, e che invece dovrebbe cementarsi nell’aria, nei gesti, pietrificarsi come una statua votiva cui rivolgersi e che fosse di monito fino al momento in cui, imparassimo a far diventare il suo significato profondo parte di noi, operativa, duratura, imperitura, presente, costante. Solo allora, nessuna istituzione reticente o distratta o peggio in cattiva fede e nessun politico chiacchierone e spocchioso, potranno vantarsi di averla fatta franca. Hasta la vista!
Come sempre precisa e impeccabile dottssa Nardi!!!
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