“DOPO IL MIO DOCUMENTO DI CONDANNA DELLE LEGGI RAZZIALI, IN AN FUI VITTIMA DI UNA CAMPAGNA ANTISEMITA, È MANCATA SOLO L’ELIMINAZIONE FISICA”

FIUGGI – “Non bisogna fare sconti alla destra di Giorgia Meloni sulla condanna dell’antisemitismo, essendo la premier italiana proveniente dalle file del MSI e di Alleanza nazionale; tanto più che il suo nuovo partito nostalgico (Fratelli d’Italia) è pienamente rimasto nel tunnel del neofascismo”. Lo sottolinea in un comunicato stampa il giornalista Enzo Palmesano, che dopo il congresso di Fiuggi fu “oggetto di una campagna antisemita portata fino alle estreme conseguenze, è mancata solo l’eliminazione fisica”.
La nota di Palmesano così prosegue: “Molto istruttiva la mia esperienza. Come è noto, porta la mia firma il documento di condanna dell’antisemitismo e delle leggi razziali approvato 30 anni fa al congresso di An a Fiuggi, il 27 gennaio 1995. Quel documento diede credibilità (anche internazionale) alla svolta; scomparvero ufficialmente gli antisemiti dal partito erede del fascismo e della Repubblica di Salò, ma da allora in An gli anti-Palmesano diventarono un esercito. Fino alla mia più completa emarginazione, con gravi conseguenze sul piano politico e professionale e con grande dolore anche sul piano personale. Mi volevano morto. E politicamente parlando l’“ebreo Palmesano” è stato ammazzato.
All’epoca, nel momento in cui era stata annunciata la presunta svolta di Fiuggi, che avrebbe sancito la fine del Msi-Dn e il transito di tutti noi in An, da tempo andavo affrontando una riflessione sulla necessità di uscire dal tunnel del neofascismo. E quindi speravo che nelle Tesi congressuali preparate dal pensatoio post-missino vi fosse un riferimento alla condanna dell’antisemitismo, cosa che incredibilmente non c’era. Per la verità le ponderose Tesi congressuali erano ambiziose, contenevano tutto e il contrario di tutto, affastellavano ogni ben di Dio politico e culturale, citando anche pensatori che non appartenevano alla nostra tradizione politica, cosa che naturalmente aveva eco sulla stampa. A me, invece, la sostanza delle Tesi congressuali sembrava deludente, non c’era la svolta tanto sbandierata. E una domenica pomeriggio di metà dicembre 1994, libero dal lavoro di capo del servizio politico del quotidiano del Msi-Dn prima e di An poi “Secolo d’Italia”, scrissi le undici righe del documento che sarebbe passato alla storia del partito come “emendamento Palmesano”. Ecco il testo del mio emendamento alle Tesi congressuali:
“Condanna esplicita, definitiva e senza appello, Alleanza nazionale formula verso ogni forma di antisemitismo e di antiebraismo, anche qualora siano camuffati con la patina propagandistica dell’anti-sionismo e della polemica anti-israeliana. Sia altresì bandito ogni pregiudizio che è l’anticamera dell’intolleranza antisemita e che è stato il terreno di coltura, attraverso i secoli, dei pogrom e della Shoah. Alleanza nazionale si riconosce in pieno nella Dichiarazione del Concilio Vaticano II ‘Nostra Aetate’ e nelle prese di posizione di Giovanni Paolo II nei confronti degli ebrei, nostri ‘fratelli maggiori’. La vergogna incommensurabile delle leggi razziali brucerà per sempre nella nostra coscienza di Uomini e di italiani”.
La mia proposta piombò come una bomba nella vigilia del congresso, ma la parola d’ordine nel partito era quella di fare finta di nulla. Fino a che, una volta apparsa la notizia sui giornali, nella sede di via della Scrofa cominciarono ad arrivare telefonate dall’estero, da Paesi europei, dagli Stati Uniti, da Israele, da ambienti politici e diplomatici, dalle ambasciate, per chiedere conferma della incredibile notizia e per ottenere il testo integrale del documento di condanna dell’antisemitismo. Il partito dovette meravigliarsi non poco per tanta attenzione riservata all’“emendamento Palmesano” perché nel “fascismo immaginario” post-missino l’antisemitismo fascista non era mai esistito, era tutta colpa della Germania. Al congresso di Fiuggi il partito per realpolitik diede il via libera all’approvazione dell’“emendamento Palmesano”. Non c’era stato bisogno di attendere un “Papa straniero” per affrontare nel Msi-Dn e in An il nodo centrale, quello del fascismo e delle leggi razziali antisemite. Il documento era stato proposto da chi, come me, era missino fin dal 1972 (allora quattordicenne), capo del servizio politico del quotidiano del partito. Sul “Manifesto”, Andrea Colombo sottolineò l’importanza del fatto che il documento fosse nato dal corpo vivo del partito. Ma ben presto dovetti rendermi conto che avevo firmato il mio suicidio politico e professionale. Quando, infatti, appena dopo il congresso, furono pubblicate le tesi congressuali emendate, con il titolo “Pensiamo l’Italia, il domani c’è già – Valori, idee e progetti per l’Alleanza nazionale”, il mio documento, sebbene approvato, era stato tagliuzzato. Mancavano le ultime due righe: “La vergogna incommensurabile delle leggi razziali brucerà per sempre nella nostra coscienza di Uomini e di italiani”. Era troppo, nella destra italiana, sostenere appunto che “la vergogna incommensurabile delle leggi razziali brucerà per sempre nella nostra coscienza di Uomini e di italiani”.
Il “caso Palmesano” (quel linciaggio) è davvero molto istruttivo: nelle file della destra italiana se parli di antisemitismo sei morto; se fai finta di nulla diventi deputato, senatore, ministro o fai carriera nel giornalismo. Questa è la inquietante eredità che si porta dietro Giorgio Meloni”.