SERVE ANCORA LA MEMORIA DELLA SHOAH?

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–   di Vincenzo D’Anna*    –         

Ricorre il giorno della memoria, di quel grande crimine contro l’umanità, chiamato Shoah (in ebraico: tempesta devastante) consumatosi dentro l’altra e più vasta tragedia che fu la seconda guerra mondiale. Spesso viene utilizzato il termine Olocausto per ricordare lo sterminio, da parte dei nazisti, di sei milioni di persone, perlopiù ebrei, ma anche rom, omosessuali, testimoni di Geova oppure persone di segno politico avverso agli hitleriani come comunisti, anarchici, liberali, democratici e finanche monarchici nell’ultimo periodo. Nei lager del Terzo Reich finirono anche persone invalide e portatrici di handicap fisici e mentali. Tuttavia il più alto e drammatico tributo fu quello pagato dalla razza ebraica, considerata, oltre che inferiore, anche espressione del più bieco capitalismo, sfruttatrice del popolo, usuraia e contraria alla società pianificata di stampo nazional socialista. Un tributo pesantissimo per quel popolo errante, unito dal credo religioso ma sparso per il mondo, e quasi sempre ghettizzato e perseguitato dal potere costituito. La storia insegna che, nel corso dei secoli, non vi fu capitale europea, eccezion fatta per Napoli, nella quale gli ebrei non furono rinchiusi entro quartieri a loro dedicati, i ghetti, oltre a veri e propri territori di identificazione ed emarginazione, quasi fossero portatori di un male sociale contagioso, espressione malvagia della ricchezza che essi accumulavano vendendo anche denaro e pietre preziose. A tal proposito è doveroso ricordare che tra i tanti meriti di Partenope e dell’inclusivo e generoso suo popolo, vi è il fatto che questa città fu raro esempio di tolleranza dal momento che non volle mai creare uno spazio isolato, dedicato agli ebrei. Fin dal Medio Evo contro i discendenti di Mosè fu alimentato un clima di odio e di discriminazione anche con leggende sul conto della loro malvagità come quella del cosiddetto “ebreo errante”. Nella tradizione cristiana l’ebreo errante era colui che, dopo aver incrociato Cristo mentre saliva al Calvario, lo aveva oltraggiato, colpendolo nella schiena per incitarlo a raggiungere senza indugi il luogo del supplizio; per punizione, egli sarebbe stato condannato all’erranza continua. Questa figura è stata rappresentata come un fantasma, un’anima malefica che vaga per il mondo. Si tratta di leggende e pregiudizi che la religione cristiana ha in qualche modo accresciuto tra i fedeli divulgando, tra questi, quale colpa di quella razza, il disconoscimento dell’avvento del figlio di Dio e la sua morte in croce. Un’idea tramandata nei secoli anche dall’azione della Chiesa che, sarà opportuno ricordare, soprattutto nel Medio Evo disponeva del monopolio della cultura attraverso l’opera dei monasteri e degli ordini che si occupavano della copiatura e divulgazione delle sacre scritture. Centri di acculturazione e scuole filosofiche (flosofia scolastica) che, in quel tempo, occultarono e resero inaccessibili alla lettura (posti all’indice come blasfemi ) testi della filosofia aristotelica, platonica e socratica ed ogni altro scritto che potesse creare confusione tra i fedeli e contrasto col dettato dei Vangeli. Quando arriverà la violenza della razza ariana ipotizzata superiore e dominatrice del mondo partorita dalla follia Hitleriana (Weltanschauung nazista) gli Ebrei erano già considerati diffusamente una razza da tenere alla larga e malvista per pregiudizio popolare. Senza questi precedenti storici e cultural-popolari non avrebbe mai potuto allignare la teoria nazista dello sterminio di massa né, come scrisse Anna Arendth, si sarebbe potuta realizzare la “banalità del male”. Intendendo che questa definizione altro non fosse che la descrizione del fatto che i tanti aguzzini e torturatori senza cuore, che cremarono nei forni e gasarono nel campi di concentramento milioni di uomini, donne, vecchi e bambini, altri non fossero che gente “banale”, che cioè prima di intossicarsi della violenza ideologica, era da considerarsi normale. Celebrare quello immane sterminio di questi tempi assume, peraltro, ulteriore significato, laddove l’anti semitismo riprende vigore sotto le sembianza dell’antisionismo, ossia della lotta allo Stato di Israele. Nel medio Oriente la guerra di Tel Aviv contro i terroristi di Hamas (e con la parte di popolo palestinese che li vota li tollera e li aiuta) e le frange musulmane integraliste che intendono cancellare gli ebrei faccia della terra, ci riporta all’attualità, come un monito, il ricordo che si celebra perché nessuno possa dimenticare, né possa ripeterlo. Credo che sia, appunto, questa odierna contingenza che rende la celebrazione dell’Olocausto ancora più attuale ed opportuna. Sopratutto per quelle folle, indottrinate ideologicamente, che in nome della libertà dei palestinesi e delle loro pretese territoriali, ancora indicano come espressione di un male storico e politico l’esistenza dello Stato con la Stella di Davide.

*già parlamentare

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