SEMPRE CON IL PAPA

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 –   di Vincenzo D’Anna  –

Sono un superstite, un desueto esempio della catechesi, ossia di quelli che “furono istruiti a voce alta”, nel senso etimologico del termine (di origine greca). Si cominciava presto allora. Subito dopo la prima comunione (alla quale si arrivava dopo uno specifico corso definito popolarmente “dottrina”) allorquando si entrava a far parte della Gioventù Italiana di Azione Cattolica. Era quello un piccolo mondo antico nel quale si riceveva un’educazione sia civica che religiosa. Un mondo popolato da parroci e perpetue, sagrestani e attempate vecchiette (le “bizzoche” oppure “bizzocchere”). Al termine di quel percorso ci si ritrovava adolescenti e, come si usava dire in quegli anni, “educati e timorosi di Dio”. La strada della vita ci avrebbe portati, ancor giovani, verso l’impegno sociale e la testimonianza politica sviluppata ulteriormente con le letture di Rosmini, Toniolo, Sturzo, Murri, Milani e la storia del Movimento Cattolico. Un impegno che si incanalava nel solco della dottrina sociale della Chiesa, incartata nelle encicliche papali a partire dalla “Rerum Novarum” di Leone XIII, fino alla “Pacem in Terris” di Giovanni XXIII e la “Populorum Progressio” di Paolo VI. In questa chiave di idealità maturata, iniziava la militanza politica con cognizione di causa e coerenza di comportamento. Il popolarismo di don Sturzo, che sapeva fare sintesi tra i valori laici delle libertà e dei diritti civili e l’ispirazione religiosa dell’agire in politica, rappresentò un preciso punto culturale nonché la fucina della futura classe dirigente dello scudocrociato. Una militanza avveduta e consapevole del fatto che risolvere solo i propri problemi era egoismo, mentre risolvere quelli di tutti era politica. Questa impostazione ideale ha consentito per decenni alle forze cattoliche di governare l’Italia sulla base di valori solidaristici, laici ed al tempo stesso etico-religiosi. Insomma: la via maestra dei cattolici impegnati in politica è sempre apparsa lastricata del credo e dall’insegnamento della fede, per quanto quell’azione fosse apparsa pur sempre priva di qualsivoglia interazione gerarchica con la Santa Sede. Alcide De Gasperi non a caso definì la Dc come un partito di cattolici e non dei cattolici; lo stesso Sturzo, nel 1919, allorquando rese noto l’appello ai “Liberi e Forti”, ribadì che un partito, essendo una parte, non poteva rappresentare un’emanazione della Chiesa, che invece, per sua natura, è ecumenica e guarda alla generalità dei fedeli. Sarebbe, però, mendace non evidenziare che nei momenti più critici della vita politica italiana le gerarchie ecclesiali si schierarono apertamente a sostegno dei portatori di idee che provenivano dal portato “culturale” della Chiesa. Lo fecero il 18 aprile del 1948 con Papa Pacelli (Pio XII) nel momento in cui le forze social comuniste provarono ad insidiare il primato della Dc (e dei partiti laici che la sostenevano) al governo. E lo fecero nel 1952 con il sostegno alle liste alternative a quelle del “blocco rosso” in lizza per la conquista del Comune di Roma. Un’azione che la stampa definì non a caso “Operazione Sturzo”. Era, quella, una difesa dei valori cattolici contro quelli atei, non un sostegno ad personam o ad un partito. Anche Jorge Bergoglio, il Papa argentino e gesuita, è spesso intervenuto indirettamente in fatti politici per difendere il dettato ed i valori del cristianesimo. Lo ha fatto però quasi sempre a sostengono delle politiche “socialiste” e pauperiste molto care alle forze politiche della sinistra, impregnato, com’è, più dello spirito missionario che di quello pontificio. Lo ha fatto in virtù della teoria della liberazione tipica della chiesa sud americana ove esistono ancora grandi differenze sociali tra i molto ricchi ed i molto poveri. Lo ha fatto deformando anche la lettura della dottrina sociale della Chiesa, mettendo in dubbio il valore della proprietà ed il frutto della ricchezza proveniente dall’onesto lavoro. Francesco ha derogato sul piano delle condotte e dei giudizi verso omosessualità ed aborto, spogliando di ogni aura di santità la figura papale per indulgere in gesti e comportamenti più popolari se non inusuali ed inopportuni per il Vicario di Cristo in Terra, ma graditi agli “atei devoti”. Tuttavia oggi il Pontefice è malato, in pericolo di vita e non c’è cattolico che non soffra e non preghi per lui. Anche chi come me ha spesso dissentito e biasimato la “disinvoltura” con la quale egli ha retto la cattedra di San Pietro. Ma noi veniamo da una formazione ed una scuola di vita il cui motto era e resta: “Sempre col Papa fino alla morte. Questa è la sorte di noi fedeli”.

*già parlamentare