– di Ciro Scognamiglio – 
Nel 2003 il regista statunitense Tim Burton riuscì a stupire nuovamente i suoi fan dopo i giá acclamati Sleepy Hollow(1999) ed Edward Mani di Forbici(1990) con il film Big Fish – Le storie di una vita
incredibile. Tim Burton prende ispirazione dall’omonimo romanzo del 98 di Daniel Wallace ma riesce a rendere unica la pellicola grazie agli elementi tipici del suo stile quasi neogotico saggiamente posizionati e sfruttati nel corso dell’opera, riuscendo a creare un film magico che appare come un coloratissimo sogno.
Ci viene raccontata la storia di un figlio cinico e disilluso che cerca di distinguere la realtà dalla finzione nella vita di suo padre, ormai in fin di vita a causa di un cancro, celebre per essere un narratore di storie esagerate. Il tema della riconciliazione tra un padre morente e suo figlio, ha avuto un significato speciale per Burton, poiché suo padre era morto nel 2000 dopo anni di interruzione dei rapporti (sempre legata a questa vicenda autobiografica sarà poi l’aggiunta della storia del padre di Willy Wonka nel remake de La Fabbrica di Cioccolato del 2005).
Riconciliazione è probabilmente la parola che meglio descrive questa spettacolare opera: Tutto il film è infatti incentrato sulla riconciliazione fra Will Bloom, giornalista cinico, freddo e analitico con suo padre Edward Bloom (interpretato da giovane da un ottimo Ewan McGregor), cantastorie che ha fatto della sua solarità e della sua creatività l’epicentro della sua vita. La riconciliazione non avviene solo fra due persone, ma fra due mondi: il mondo dei puri fatti reali e razionali di Will e il mondo dell’immaginazione e della creatività di Edward. Tale distinzione è meravigliosamente espressa anche dal magistrale uso registico delle tavole cromatiche: tutte le scene dove il protagonista è Edward sono dominate da colori chiari e luminosi, quasi fiabeschi, anche nelle scene più tragiche come la celebre scena della vasca da bagno o il commovente finale; viceversa le scene di William sono piene di grigi di neri e di monocromatismi, questo finché Will non capirà a pieno il significato delle
storie del padre riconciliandosi finalmente con esso, momento in cui anche la sua vita diviene finalmente più colorata.
Se infatti Will aveva reputato per gran parte della sua vita suo padre come un semplice menzognere tramite la rilettura dei suoi racconti e delle sue storie capisce che le sue non erano menzogne ma fini abbellimenti della realtà: Edward sa infatti che la vita è fondamentalmente triste e cerca di addolcire questa tristezza colorando la realtà tramite artefici fantastici. Ecco quindi che il Gigante è solo un uomo molto alto, il Licantropo un uomo assai peloso e le inquietanti Gemelle siamesi delle semplici gemelle omozigote.
Tale uso dell’immaginazione non deve essere però frainteso (come fà inizialmente William) come una fuga dalla realtà, perché come diceva Tolkien solo chi ama la realtà può usare l’immaginazione, ma bensì come modo di affrontare la vita, anche nei momenti tragici, per riuscire a vivere con il cuore più leggero.



















