REGIONALI IN CAMPANIA, I VOTI DELLA…MONACA DI MONZA

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  –   di Vincenzo D’Anna*   –                                                                                                      

Indro Montanelli, grande giornalista del secolo scorso, era solito deliziare i propri lettori con una rubrica chiamata “Controcorrente”, veri e propri lampi di genio, ironici e salaci, con i quali commentava fatti e personalità di quei tempi. Una delle più famose fu quella dedicata a quella parte della classe politica che tutto sacrificava al successo elettorale. Da par suo il cronista di Fucecchio concluse il suo “calembour” citando il personaggio manzoniano della Monaca di Monza “che aveva preso i voti ma non ne aveva fatto buon uso”. Quella espressione pare si attagli perfettamente ai protagonisti ed agli accadimenti che si consumano alla vigilia delle elezioni regionali in Campania. Sia sul versante del centrosinistra, con la formula del cosiddetto “campo largo”, sia su quello di centrodestra tutto si riduce, infatti, all’accaparramento dei voti per poter vincere ed in qualche misura (questo vale per i seguaci del governo Meloni) anche per poter perdere decorosamente. In fondo in questa fattispecie risulta dirimente la scelta del candidato alla carica di governatore, dopo la forzata uscita di scena, per vincolo di legge, di Vincenzo De Luca, dominus della scena politica campana nell’ultimo decennio. Un’uscita tempestosa e polemica quella dell’ex sindaco di Salerno che, dopo averne dette di ogni colore sui dirigenti nazionali del Pd e sulla eventualità di un cartello elettorale con i vituperati grillini, si è accordato su una forma di “do ut des” consistente nella designazione del figlio Piero, parlamentare dem, alla carica di segretario regionale del partito di Elly Schlein. C’è da giurare ci siano anche altre intese di potere e di gestione futura i cui contorni non sono ancora del tutto decifrabili. Ebbene, i cosiddetti “progressisti” pare abbiano finalmente trovata la quadra sul nome del pentastellato Roberto Fico, ex presidente della Camera, appoggiato da tutte le forze della sinistra. Un’intesa che verte sostanzialmente sull’accordo nazionale dei partiti di quella sponda i quali, manuale Cencelli alla mano, si sono spartiti le designazioni dei candidati presidenti nelle Regioni che andranno al voto (con la Campania, anche Puglia, Emilia Romagna, Toscana e Veneto). Un’operazione che ricalca, nei metodi e nella impostazione, la nota abitudine di predicare e riproporre il sublime, salvo poi praticare il mediocre. Per quanto vera e durevole possa risultare l’intesa raggiunta, per amministrare la seconda regione d’Italia, restano ancora delle incognite sui rapporti di forza che si determineranno in futuro in senso al Consiglio Regionale, con Vincenzo De Luca a fare da guastatore sugli altri partner del “campo largo” al quale pare aderiranno anche  Clemente Mastella e Matteo Renzi. Turbolenze certo non ne mancheranno in futuro, per la scarsa esperienza di Fico ad affrontare le annose ed irrisolte questioni, ad esempio, della sanità, dell’ambiente, dei rifiuti, dei traporti, della endemica disoccupazione, della gestione deficitaria e clientelare delle aziende e degli enti regionali. A tutto questo va aggiunto la difficoltà di comporre una giunta esecutiva, assegnare deleghe agli assessori, con tanti scaltri ed esperti contendenti in ballo.  Niente a che vedere con l’era De Luca nel corso della quale gli assessori erano comprimari scelti dallo “sceriffo”, mansueti ed anonimi personaggi, rigidamente sottoposti. Sull’altro versante, quello di centrodestra, potrebbe essere ancora peggio. A Roma, infatti, dopo l’uscita di scena di un politico dello spessore e delle capacità di Nicola Cosentino (oltre al formidabile traino elettorale di Berlusconi), la Campania pare conti poco o niente. Voci di dentro fanno addirittura trapelare che, paradossalmente, sarebbe meglio perderle le elezioni, evitando, in tal modo, futuri grattacapi giudiziari da sempre certi in caso di vittoria di quella controparte politica, per opera della solita magistratura sinistrorsa. Ora, se il mantra è questo, ben si comprendono l’abulia, la confusione ed i veti incrociati tra i “cacicchi” locali per limitarsi vicendevolmente nella crescita politica. Peggio ancora se chi dovesse candidarsi tra i “soliti noti” avesse a farlo per perdere dignitosamente le elezioni, onde riscuotere future gratificazioni in sede politica nazionale oppure di governo. Insomma, potremmo trovarci innanzi non ad una contesa elettorale ma ad una sorta di copione già scritto di una sceneggiata napoletana. Un vero e proprio gioco delle parti. Il tutto basato sulla certezza che in Campania gli elettori veri e consapevoli siano una minoranza rispetto ai potenti, ai clienti, ai piccoli e grandi trafficanti. Prendere i voti, dunque, ma non per farne un buon uso. Come Gertrude, la Monaca di Monza.

*già parlamentare

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