REGIONALI IN CAMPANIA, FIGLI DI UN DIO MINORE

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d anna disegno piccolo 150x150 REGIONALI IN CAMPANIA, FIGLI DI UN DIO MINORE   –    di Vincenzo D’Anna –                                 

La Campania ha dato i natali a tanta gente illustre. Quanti però ne sono a conoscenza? Quanti, ad esempio, sanno che non solo il dottore della Chiesa Tommaso d’Aquino ma anche il celebre poeta satirico romano Giovenale, era di origine casertana? Ebbene sì, lo dico con orgoglio campanilistico: entrambi videro la luce ad Aquino, cittadina che fino al 1927 era ricompresa nel territorio della provincia di Terra di Lavoro. Tra l’altro proprio in una satira di Giovenale compare una celebre locuzione latina ancora oggi citata spesso: “Quis custodiet ipsos custodes?”, che letteralmente significa: “Chi sorveglierà i sorveglianti stessi?”. Parafrasando: molto spesso coloro che pure si dicono gelosi custodi di una qualità, di una prerogativa o di un compito (etico o pratico che sia), sarebbero poi anche i primi a dover essere censurati per la violazione di quella stessa qualità-prerogativa. Nel caso di specie che qui interessa, quello delle prossime elezioni regionali in Campania (ricordiamo che si vota a novembre), ci riferiamo ai titolari delle “sigle” o meglio delle ditte personalizzate comunemente contrabbandate per “partiti”, nell’era del pressappochismo politico e del disconoscimento delle funzioni costituzionali loro assegnate. Nulla a che vedere con i movimenti politici e democratici di un tempo, organizzati secondo solidi valori e ben radicate ideologie. Ed è proprio a lorsignori che andrebbe riferita la massima di Giovenale, allorquando costoro agiscono ed operano nella qualità di rappresentanti delle forze politiche pronte a contendersi il verdetto dell’urna. Sia chiaro. Si dovrebbe agire in tal senso su entrambi i fronti in gara. Quello della sinistra, denominato, per l’occasione, “campo largo” con dentro un po’ tutto, dal Movimento Cinque Stelle a quel che resta del partito dell’ex “rottamatore” Matteo Renzi, uniti dal comune intento di dare uno scossone all’esecutivo della Meloni (più che un’efficiente e competente amministrazione alla Campania) ed eliminare lo scomodo Vincenzo De Luca, esperto nell’arte del governo ma anche irregolare, ondivago, maldicente e sprezzante nei confronti del suo stesso partito (il Pd). E quello di centrodestra, schieramento che per propositi speculari ma opposti, sembra voler riproporre la fotocopia della coalizione di governo con alla testa un suo vice ministro, oppure, un ex prefetto come Michele di Bari. Un candidato insomma che possa metterci la faccia per una sconfitta che appare annunciata, non tanto dai sondaggi quanto dalle mefistofeliche e sulfuree scelte dei leader nazionali. In entrambi i casi i designati di questa coalizione non farebbero una corsa per vincere, ben sapendo che ai maggiorenti romani poco importa il risultato finale. Semmai perdenti ma poter passare legittimamente alla cassa, un domani, per il proprio sacrificio. In soldoni: se Atene piange, Sparta non ride, ancorché Atene – sconquassi futuri a parte – venga data come vincente. Bando alle ciance: il pentastellato Roberto Fico, inesperto quanto pentito dei suoi trascorsi barricaderi, guida una compagine disomogenea, dipendente dalle bizze dei vari suoi protagonisti (Schlein, Conte, Renzi e la premiata ditta Fratoianni & Bonelli). Il tutto in ragione dei numeri espressi in consiglio regionale dalle rispettive liste. Sparta, invece, immolerà un uomo valido come Cirielli oppure un attempato gentiluomo preso a prestito dalla cosiddetta società civile come di Bari. La vicenda, tuttavia, non si esaurisce nella commedia delle parti di una competizione farlocca nella quale già si sa chi corre per vincere e chi per perdere, quanto per le grige e recondite intenzioni dei leader di partito nazionali. Nel centrosinistra devono quadrare i conti del dover dare ai grillini un presidente di Regione per poter mantenere ovunque l’assetto del “campo largo”. Nel centrodestra invece, si corre per conquistare la posizione di primo partito della coalizione tra FdI e Forza Italia, perdere dignitosamente anche per non incappare in ipotetici guai derivanti da futuri interventi giudiziari, preordinati e prevedibili. C’è da chiedersi a questo punto perché mai la Campania sia così poco considerata e perché la si ritenga terra di una classe politica di mezze tacche, che poco contano e poco conteranno a Roma, se non per dei contentini compensativi. E c’è da chiedere ai vari “cacicchi” locali, se alla fine il ruolo dei “galli” sulla classica “monnezza” di un potere politico residuale, sia per loro veramente un approdo gratificante, come l’aurea mediocrità. Insomma, lo chiediamo per loro, ma anche per quelli che li seguono, militanti o questuanti che siano di partiti fantasma ed anche per tutto il popolo campano. Dunque è giusto esser considerati e trattati come figli di un dio minore? Forse varrebbe la pena di sparigliare le carte, creare un alternativa a questo triste destino che pare ci venga dato in sorte!! Perché? Semplice, si può perdere ma senza mai svendere chi ti vota, e si può votare senza perdere la propria dignità.

*già parlamentare

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