ROMA – «Ospedale di Rovigo, triage del pronto soccorso: all’apparenza una giornata caotica e difficile come le altre, gli operatori sanitari lo sanno bene che le difficoltà di gestione dei pazienti in un luogo di primo intervento non saranno mai una passeggiata.
Eppure accade l’impensabile, l’inimmaginabile: una donna, all’apparenza tranquilla, è in attesa del suo turno. Ad un tratto esplode la rabbia, la furia cieca più assoluta. Un gesto imprevedibile, scatta l’agguato a un giovane infermiere. Un morso, un secondo, forse un terzo, più forte degli altri, fin quasi a recidergli il dito.
Un episodio scioccante, una violenza vile e vergognosa, rispetto alla quale non possiamo, non vogliamo farci l’abitudine.
Sono immagini indegne di un Paese civile. Non possiamo continuare a essere noi le vittime sacrificali del legittimo malcontento della collettività».
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale de Nursing Up.
«Da anni, con le nostre campagne di comunicazione, nei faccia a faccia con quelle figure istituzionali che ahimè fanno orecchie da mercante e si limitano alle medaglie e alle parole di elogio, alle pacche sulle spalle che prima già non servivano a nulla e ora, alla luce di queste scabrose situazioni, generano addirittura in noi rabbia. Continueremo ancora più agguerriti, convinti come siamo della necessità di garantire finalmente sicurezza e serenità nei luoghi di lavoro per gli operatori sanitari italiani.
La priorità è di certo il ripristino dei presidi di pubblica sicurezza, in barba a quelle norme inutili, che inaspriscono le pene quando le violenze sono belle che consumate, o in barba agli Osservatori che lasciano il tempo che trovano, senza interventi atti ad estirpare il cancro alla radice.
Un cancro che nasce anche da una “cattiva cultura” della collettività, oltre che a causa di una disorganizzazione latente, in un sistema dove l’operatore sanitario non esita un istante, faccia a faccia con la morte, a mettere a repentaglio la sua vita per salvare quella del paziente, mentre di contro, il suo datore di lavoro lo lascia alla mercé dei pazienti dei parenti dei pazienti che scatenano la loro rabbia come in un ring, dove si svolgono incontri di lotta libera, senza arbitri né regole.
E mentre appare fondamentale, accanto agli interventi mirati come la presenza delle forze dell’ordine, dover contribuire, tutti, con campagne di formazione ad hoc, a far capire ai cittadini che l’infermiere non è “il nemico” di turno contro cui scagliare ansie, paura e stress, ci mettiamo nei panni di questo giovane infermiere, uno come noi.
Chissà cosa gli passerà per la mente, trascorsi i 30 giorni di prognosi, mentre tornerà al proprio lavoro in quel pronto soccorso. E’ difficile, ma proviamo ad immaginarlo.
Il rischio è palese: quelli come lui, e sono tanti, alle prese con le numerose piaghe di una sanità che “non vuole affatto bene ai suoi figli”, vivono un tormento interiore che genera una pericolosa disaffezione. Eppure c’è ancora chi si domanda perché da qui ai prossimi mesi la sanità italiana potrebbe veder arrivare nuove dimissioni a raffica da parte di infermieri che potrebbero decidere addirittura di cambiare vita. Possiamo forse biasimarli?», chiosa De Palma.