LA DIMENTICANZA DI UN GENITORE? NON CHIAMIAMOLA DEPRESSIONE

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di Alfredo Grado

Venerdì 19 maggio una bimba di meno di un anno è morta, probabilmente per asfissia, dopo essere stata per diverse ore sotto il sole nella vettura del padre lasciata in sosta davanti allo stabilimento industriale dove l’uomo lavora a San Piero a Grado, comune limitrofo a Pisa.

Quasi un anno fa, il 7 giugno 2017, un’altra tragedia simile si consumò in Toscana. Una donna di 38 anni, segretario comunale a Castelfranco Pian di Sco (Arezzo), dimenticò in auto la figlioletta di 18 mesi, morta in auto dopo cinque ore passate sotto il sole. La madre era convinta di averla portata all’asilo prima di dirigersi nel suo ufficio. All’uscita dal lavoro in municipio a Castelfranco, dopo le 14, la donna salì in auto e si accorse che la bimba era sul sedile posteriore ormai senza vita.

D’innanzi a certi accadimenti si è soliti sottintendere un giudizio, una chiave di lettura celata quanto basta per apparire imparziale, ma abbastanza chiara da far scatenare un esercito di madri e padri indignati. Tali indignazioni sono direttamente proporzionali al punto di domanda: “ma come si può dimenticare un figlio in auto?!”.

So che a questo punto, molto probabilmente, mi creerò più nemici di quelli che già mi ruotano attorno, ma sta di fatto che dimenticare un figlio in auto o in qualsiasi altro posto è possibile. E non c’entra la depressione o la follia. La risposta, ahivoi, è molto più semplice (si fa per dire), e risiede nella stanchezza, nello stress, alle troppe cose che dobbiamo pensare in contemporanea.

A chi non è mai capitato di dimenticare dove si era parcheggiata l’auto? O cercare il cellulare mentre si sta parlando al cellulare? E alzi la mano chi non ha mai riposto la macchinetta del caffè in frigo o lasciato la spazzatura in macchina?

Qualcuno potrà pensare che non sono esempi attinenti, ma invece posso garantirvi che l’unica differenza tra l’uno e gli altri è il risvolto drammatico. Non è certo paragonabile un figlio ad una borsa o ad un cellulare, certo, ma il meccanismo che regola tali dimenticanze è lo stesso.

Per intenderci, dobbiamo pensare al ruolo che svolge il nostro cervello nella vita quotidiana. In esso risiedono alcuni funzioni psichiche, quali la memoria, l’attenzione, la coscienza, la formulazione del pensiero o l’affettività. Tali funzioni (il cui funzionamento non è ancora del tutto noto) operano in modo diffuso attraverso complicati collegamenti tra i neuroni.  In sostanza, potremmo paragonare il nostro cervello ad una specie di computer che apre diverse finestre contemporaneamente  compiendo operazioni in background, ovvero, senza rendercene conto.  E quando ci affidiamo alle routine, quando ripetiamo gesti già fatti centinaia di volte, quando guidiamo su strade che conosciamo alla perfezione,  possono accadere molte cose senza rendercene conto.

E’ scoraggiante ammettere che nessuno tra noi è immune a tali “disconnessioni”, ma è la verità. Dietro la quale non si annida la salute mentale, ma probabilmente una serie di agenti stressanti, sia esogeni (provenienti dall’esterno) che endogeni (provenienti da noi stessi) che minano l’equlibrio dell’organismo fino ad indurlo ad un momentaneo blackout.    

 

1 commento

  1. Condivido quanto affermato.
    Provo una gran pena per i genitori che dovranno convivere con questo straziante rimorso.
    Ho letto giudizi orribili in occasione di queste tragedie. Attenti prima di puntare il dito. Tutti potremmo essere vittime di questo fatale blackout.

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