“Il Potere corrompe, il Potere ti fagocita, ti tira dentro di sé. […] Il mio istinto è sempre stato starne lontano, mentre oggi vedo tanti giovani che godono, che fioriscono all’idea di essere vicini al Potere, di dare del “tu” al Potere, di andarci a cena col Potere, per trarne lustro, gloria, informazioni magari”, diceva il giornalista Tiziano Terzani. In un’Italia ancora scossa dagli strascichi del Sessantotto e da poco entrata nei tragici anni di piombo con la strage di piazza Fontana, un regista atipico, complesso e “scomodo” come Elio Petri analizza lucidamente non solo il contesto storico e politico, ma realizza anche un’amara analisi del Potere e dei meccanismi che lo sostengono.
Gian Maria Volonté interpreta un controverso dirigente di polizia (di cui non si verrà a sapere il nome ma verrà chiamato semplicemente “dottore”) che da un lato rappresenta il lato oscuro delle istituzioni e dall’altro sopporta i sensi di colpa scaturiti dall’abuso di autorità. Un personaggio contradditorio, arrogante, ma soprattutto insospettabile. Il “dottore”, infatti, appena promosso da Capo della Sezione Omicidi a Capo della Sezione Politica è l’assassino di Augusta Terzi, la sua amante, con cui intratteneva un rapporto sadomasochista e che aveva deciso di uccidere dopo aver scoperto il suo tradimento con uno studente appartenente alla contestazione attiva. Invece di occultare le prove, il dottore tenta di renderle ancora più evidenti. Sente il bisogno di essere scoperto per potersi liberare dai sensi di colpa, ma al tempo stesso è cosciente del fatto che il Potere che detiene gli consentirà di continuare ad essere ciò che è. Il suo ruolo non può essere intaccato o compromesso, e se anche le prove dovessero essere evidenti, andrebbero eliminate. È questo, dunque, il Potere: uno strumento che tutela e rende inattaccabili. Una delle scene in cui si manifesta il Potere è, ad esempio, quella in cui il dottore interroga uno studente (con l’intento di far incriminare l’amante della donna che ha ucciso): al di là di un’umiliazione è un vero e proprio delirio di onnipotenza. Gian Maria Volonté incarna alla perfezione la complessità del suo personaggio, che con estrema professionalità cerca di accertare l’effettiva “incolpevolezza” di cui gode la sua figura di autorità indiscussa.
La pellicola di Elio Petri è di una bellezza cupa e sublime. La recitazione è di altissimi livelli, le musiche sono di Ennio Morricone, universalmente conosciute dai cinefili di tutto il mondo. Volendo provare a trarne una conclusione, si può affermare che il Potere rappresenti libertà o impotenza?
La differenziazione tra Autorità e cittadino, come mostra Elio Petri, non potrà mai essere eliminata. Questo comporta che si è privi di alcuna responsabilità -e dunque liberi- o oppressi dal ruolo che si ricopre? Il regista lascia al singolo spettatore la possibilità di trarre le proprie riflessioni, lasciando un finale aperto (in cui viene inserita un’esplicita citazione di Kafka: “Qualunque impressione faccia su di noi, egli è un servo della legge, quindi appartiene alla legge e sfugge al giudizio umano”). “Indagine su cittadino al di sopra di ogni sospetto” è una critica del concetto di giustizia e un capolavoro del cinema italiano, oggi più attuale che mai, che punta il dito contro coloro che detengono il Potere ponendoci inquietanti interrogativi sulla loro integrità.
Mariantonietta Losanno