AL TEMPO DEL “CORONAVIRUS”…

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         –        di Nicolò Antonio Cuscunà         –       

Credo nessuno avrebbe mai immaginato di partecipare al GRANDE FRATELLO in casa propria, invece sembra tale la forzata prigionia imposta dal virus Covid 19.    Non un gioco alla moda ben pagato, non un’agognata meta raggiunta, non un sogno realizzato, non una difficile conquista di cui essere felici, non un obiettivo ottenuto ad ogni costo, ma FORZATA RESTRIZIONE SALVAVITA. Ed ecco trasformato un gioco, un sogno, in drammatica realtà. I desiderosi d’apparire, schiavi dell’immagine, veneratori di divinità effimere, si ritrovano costretti a rinunciare alle abitudini dell’apericena, alla musica assordante delle discoteche e allo sballo di fine settimana. Colpevole… un Decreto Legge.

Per molti giovani sembra difficile, impossibile, traumatico, modificare le proprie costumanze, le abitudini consolidate dall’egoismo strafottente e dalla grassa ignoranza.

“Non rinuncio all’aperitivo con gli amici per un Decreto Legge”.  Così la risposta di una venticinquenne intervistata all’indomani dell’emanazione delle misure cautelative imposte per arginare il propagarsi dell’infezione Covid 19. Mancanza di sensibilità, ignoranza rispetto agli accadimenti, assuefazione al non rispetto delle regole, intolleranza alle stesse ed a chi le impone, anarchia e reazione alle regole dello Stato patrigno? A questi quesiti-domande dovremmo trovare risposte comprensive e risolutive del “dramma dell’odierna gioventù”.

Come dare torto a quella ragazza ed a tanti altri giovani come lei non propensi al rispetto delle regole? Quali i motivi alla base di quella risposta? Solo egoismo, strafottenza ed ignoranza, oppure reazione all’aridità di una società futile, meschina che non ha saputo indicare loro se non solo strade lastricate di falsi miti, effimere mode, costumi dell’apparire e fantasmi da combattere?!  Società trasformatrice della cultura dell’essere in quella dell’apparire nel Grande Fratello. Società che non fa apprezzare a genitori e figli, la gioia di realizzarsi nel lavoro, li accontenta con l’assistenzialismo, spingendoli a trasmettersi la professione di rapinatore.  Alla gioventù della “movida” si risponde chiudendo i luoghi degli abitudinari sballi d’alcol e droghe, militarizzando le città, serrando gli esercizi commerciali, i luoghi di svago, gli impianti sportivi e reprimendo chi non rispetta tali regole. Non ci si interroga sulle origini di mode e costumi, sulle responsabilità degli altri e sulle proprie. Provvedimenti effimeri, sempre uguali, dimostratisi inutili, come quelli utilizzati per esorcizzare l’aumento dei femminicidi e dei morti sul lavoro.  Marce, girotondi, fiaccolate, panchine dipinte con vernice rossa, cortei di protesta ad ogni morto ed in attesa del successivo.

Vietare con Decreto la socialità, privare dall’abitudine all’aperitivo a pranzo o a cena, impedire d’uscire per incontrare amici con cui condividere spazi e scelte, senza interrogarsi sui motivi della ritrosia alle regole, è: “FALLIRE” senza fare tesoro dell’inaspettato dramma del Covid 19.

Manca lo Stato etico, manca la Chiesa della spiritualità.

La giovane venticinquenne napoletana, come i suoi coetanei, non intendendo rinunciare, limitare, le proprie libertà individuali per favorire la sicurezza degli altri, dimostra il “fallimento dello Stato”. La chiesa chiude i battenti al virus ed agli uomini probabili portatori. La chiesa chiede l’8 per 1.000, amministra beni mobili ed immobili, svolge politica espansionistico-missionaria, si secolarizza smarrendo la SPIRITUALITA’ base del suo CREDO. L’infezione, la malattia, non è solo problema di materia umana, la vita è anche ciò che l’uomo realizza, crea e lascia di sé oltre la morte terrena, del suo agire spirituale non solo materiale. La sola cura del corpo, l’approvvigionamento del cibo per il corpo e non il cibo per lo spirito è il vuoto creatosi tra chiesa e uomo.

Cosa pretendere dai giovani, il rispetto per le regole e di quali regole? Le regole della circostanza, dell’occasione e della convenienza? Oppure chiedere rispetto di norme decretate d’urgenza e necessità, da uno Stato patrigno, sempre distratto ed assente ai più elementari diritti dei giovani? Come pretende rispetto quando lo stesso non riconosce né concede? Lo Stato che non garantisce diritto allo studio, alla sicurezza, al lavoro, alle cure, che costringe i giovani a studiare e lavorare all’estero, forse non merita rispetto.

La decretazione del coronavirus è concepita come le altre ed innumerevoli, sterili, non chiare leggi governative in materia di scuola, lavoro e sicurezza.

Si continua a pensare ai giovani solo quali superficiali fruitori di paradisi artificiali, mode e costumi, non attenti e distratti a costruire il proprio futuro. La politica, a tutti i livelli, crede d’essere delegata a decidere senza ascoltare.

I giovani anche se non partecipativi come i loro nonni, sono sensibili e non disposti a deleghe in bianco. I giovani, all’apparenza distratti, sono pregni di nuove competenze, pensano ed agiscono in modo non facile da comprendersi ed è questa una loro colpa.

Un Paese costretto, anche se in emergenza, ad imporre regole e sanzioni per elemosinare consensi e crediti, deve chiedersi quali sono le origini dei propri fallimenti.  Non merita rispetto né dai giovani e tantomeno dai non più giovani esposti al rischio della vita perché colpevoli d’essere nati prima di altri.

Caserta, 11 marzo 2020 – 3° GIORNO al Tempo del Coronavirus