LA MIA FAMIGLIA (A)SOCIALE

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PEPPE ROCK LA MIA FAMIGLIA (A)SOCIALE   

–   di PepPe Røck SupPa   –                                                      

Mi è sempre piaciuto il distanziamento sociale e non ho mai amato la vicinanza di troppe persone, le strette di mano e tutti quei contatti fisici non desiderati. Ultimamente sono anche per il distanziamento dai social, troppa confidenza, sono un ipocondriaco sicuramente, e Covid a parte ho sempre avuto paura che chiunque può trasmetterti qualsiasi cosa, e appena ho un dolorino mi sento qualsiasi sintomo, e quando non ho sintomi penso subito di avere tutti i sintomi dell’asintomatico.

Marcel Proust LA MIA FAMIGLIA (A)SOCIALEDa buon ipocondriaco nulla può confortarmi meglio che notare il mio disagio anche negli altri, specie se poi sono Persone speciali. Infatti ormai sento come parte della mia famiglia alcuni grandi del passato.

A cominciare da Marcel Proust che sento come un fratello, oltre ad essere lo scrittore che ho più studiato. Aveva l’asma ma della sua patologia ne fece una barriera per tenere lontano il mondo e dedicarsi interamente alla sua opera. Spesso esagerava i sintomi per ricevere le attenzioni della mamma e in generale per tenere lontano il prossimo.

Charles Darwin LA MIA FAMIGLIA (A)SOCIALEUn altro mio affetto è Charles Darwin, per me ormai è come un papà, padre della teoria scientifica che ha rivoluzionato per sempre la storia dell’Uomo. Papà Darwin soffriva di tutto, brividi, vomito nervoso, aerofagia e tremori, a tal punto che in alcune lettere a Joseph Hooker disperava di riuscire a scrivere qualcosa di valore scientifico (da non credere, proprio lui, Darwin), e si sentiva «spento», «scemo», «vecchio», «fiacco». Non voleva frequentare scienziati, voleva dedicarsi interamente alla sua ricerca in beata solitudine, e non c’è niente di meglio che convincere sé stessi e gli altri di stare male.

Glenn Gould LA MIA FAMIGLIA (A)SOCIALEUn altro mio familiare, cugino per la precisione è Glenn Gould, che alla mia stessa ipocondria univa una farmacodipendenza: prendeva di tutto, indipendentemente dalle necessità, medicine per l’ipertensione, mal di testa, gotta, costipazione, vitamina C in quantità industriali, e con lui condivido l’indifferenza verso i piaceri della tavola, come me mangiava tutto quello che gli capitava secondo gusti ancora giovanilistici, altro dal biologico. Una volta un autore di un libro di ricette, nel 1973, gli chiese quale fosse il suo piatto preferito per inserirlo nel volume, mio cugino Glenn rispose: «La mia attitudine di base è che si tratti di una scocciatura che richiede tempo. E sarei felice di potermi procurare tutti gli elementi nutrizionali necessari con la semplice assunzione di 10 pillole al giorno». Non sopportava praticare sport (quelli che lo amano mi sembrano i veri pazzi), come anche essere toccato, soprattutto toccato! Non gli si poteva dare nemmeno la mano. Infatti un giorno mio cugino Glenn dovendo acquistare un nuovo pianoforte dalla Steinway, un tecnico, gli dette la mano e una leggera pacca sulla spalla, e Gould il 6 dicembre 1960 gli fece causa, affermando di aver subito una lesione al collo, alla spalla e alla mano. Come risarcimento chiese 300mila dollari, e da quel giorno chiunque ci pensava 100 volte prima di tendere la mano a Gould.

Andy Warhol LA MIA FAMIGLIA (A)SOCIALEAltro mio strettissimo familiare è che quel geniaccio di Andy Warhol, il quale con il proprio corpo ha sempre avuto problemi fin da ragazzino, diventando calvo prima dei vent’anni e scegliendo di mettersi parrucche sempre più vistose, grigie, come se fosse già anziano, con una tattica ben precisa. Infatti: «Ho deciso di diventare grigio così nessuno avrebbe capito quanti anni avevo e mi avrebbero trovato più giovane dell’età che pensavano avessi. Sarei stato esentato dalla responsabilità di comportarmi da giovane, potevo occasionalmente avere atteggiamenti eccentrici o senili e nessuno ci avrebbe trovato nulla da ridire perché avevo i capelli grigi. Quando hai i capelli grigi ogni mossa, invece di essere considerata normale, appare giovane e frizzante. È come avere un talento speciale». Andy aveva paura che perfino il cancro fosse contagioso, però dobbiamo ricordarci che la sua ipocondria e paura della morte aumentò a dismisura a partire da ciò che successe il 3 Giugno 1968 alle 16,15. Quel pomeriggio Valerie Solanas, autrice femminista del libro manifesto Society for Cutting Up Men (Società per l’Eliminazione dei Maschi), la solita attivista contro la solita società patriarcale, entrò alla Factory e gli sparò. Andy rischiò di morire, ebbe un intervento a cuore aperto e il suo corpo pieno di cicatrici è nelle foto scattategli da Richard Avedon. Certo, scegliere Andy Warhol come simbolo della società patriarcale dimostra quanto le femministe abbiano preso sempre abbagli per bersagli, ma in compenso dopo aver scoperto questa storia mi è venuta una fobia nuova di zezza: quella di vedermi improvvisamente entrare in casa una femminista con un AK-47.