“I CARE A LOT”: QUANTO SI PUÒ ESSERE SADICI?

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di Mariantonietta Losanno

Una bionda spietata e bellissima si fa strada in un mondo di squali – e di uomini – giocando più duro e soprattutto più sporco di loro. L’inafferrabile Marla ha individuato una miniera d’oro poco sfruttata e apparentemente legale: gli anziani. Prede facili, soprattutto quando si tratta di vecchietti soli e indifesi e ancora di più se si ha a disposizione un medico che facilmente dichiara l’infermità mentale e la necessità di affidamento ad un tutore legale. Il punto è che, il tutore ha il diritto – riconosciuto dalla legge – di prendersi cura della persona incapace di intendere e di volere e, quindi, di curare anche i suoi beni. Può appropriarsene liberamente e non incorrere neanche in pericoli, perché, appunto, si tratta di una truffa abilmente studiata e a prova di legge. Si possono svuotare conti correnti, mettere in vendita case, mobili o oggetti di valore. Sempre se non si toccano i vecchietti sbagliati e ci si ritrova immischiati in affari di mafia con il rischio di perdere tutto quello che è stato faticosamente costruito. 

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La femme fatale è nata con il cinema, niente di nuovo. Rosamund Pike ha sicuramente una marcia in più ed è a suo agio nel rivestire i panni di una cattivissima così astuta da riuscire a farla sempre franca (seguendo la linea tracciata da David Fincher ne “L’amore bugiardo”). La sua fastosa casa di riposo è il suo unico “amore” (a parte l’affetto verso la sua amante): Marla dedica anima e corpo ad esautorare figli e parenti e approfittarsi – senza mostrare un minimo cenno di umanità – di inermi vecchietti che affollano gli Stati Uniti e non solo. Ha trovato il modo di realizzare il suo sogno americano riuscendo anche a mostrarsi come una cittadina modello disposta a fare qualsiasi cosa pur di non abbandonare delle povere persone incapaci di gestirsi da sole (e lo ha deciso lei che non ne siano in grado). Un nemico più cattivo di lei sembra capace di sconfiggerla, ma Marla è più forte di chiunque (anche se sembra poco credibile). Il suo motto è “I care a lot” (“ci tengo molto”): le importa mostrarsi come una leonessa, autoritaria, austera e soprattutto inscalfibile. Il punto è che, nonostante resti una godibile commedia (molto) nera, la pellicola di J Blakeson finisce per risultare ridondante e abbastanza prevedibile: una donna che vuole imporsi in un mondo dominato dagli uomini (calcando anche un po’ troppo la mano sulla questione femminista) e che lo fa in modo spettacolare ed arguto. Si nota una somiglianza con “Elle”, anche se Verhhoeven ha ritratto la sua Isabelle Huppert in modo molto più graffiante. “I care a lot” insiste (anche troppo) mettendoci di fronte a personaggi capaci delle azioni più vili e spregevoli per ottenere ciò che vogliono. Troppa avidità, troppo cinismo, troppi eccessi. 

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“I care a lot” insiste sulle provocazioni, non “prendendosi cura” di tutto il resto: il risultato è un prodotto di intrattenimento, come tanti altri. Non si capisce per chi si debba fare il “tifo”: è una gara a chi è il più cattivo? Marla conosce tutti i gangli della legge e il suo sistema resiste anche verso il cattivo più temibile. Questo è chiaro, ma oltre questo cosa c’è?L’atmosfera a tratti è persino disturbante: i personaggi sembrano quasi caricaturali e la svolta che prende il film nella seconda parte appare eccessivamente surreale. Non è la rivincita delle prede, né una lotta femminista: è solo un sfoggio (ostentato) di malvagità. Avrebbe potuto dire quello che voleva dire con una maggiore potenza visiva.