MORO, LA LEZIONE PERDUTA

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  –   di Vincenzo D’Anna*   –                                                     

“Non ci lasceremo processare nelle piazze”. Con questa dichiarazione, nell’aula di Montecitorio, l’on. Aldo Moro difese le prerogative della politica nei confronti della magistratura. Forse cominciò proprio allora, nel marzo del 1977, la grande guerra, peraltro mai dichiarata, tra politica e toghe. In effetti il processo contro il ministro democristiano Luigi Gui (era questo l’oggetto del contendere) si svolse comunque, secondo le regole di allora per i ministri, direttamente di fronte alla Corte costituzionale, con unico grado di giudizio. Era il tempo del cosiddetto scandalo Lockhed che investì USA, Paesi Bassi e l’Italia. Una storia di tangenti per l’acquisto dalla casa aeronautica americana di aerei da trasporto militari. Il primo esempio di uso politico della giustizia. Fu montato dalla sinistra, e dai giornali ad essa collegati, una campagna denigratoria che arrivò ad attaccare l’allora Presidente della Repubblica Giovanni Leone che fu ritenuto essere “antelope cobbler” (mangiatore di antilopi), il nome in codice del percettore della tangente. Una supposizione del tutto campata in aria, costruita sulla seduzione che un Leone e mangiatore di Antopi.!! Fu montata, per questa fantasiosa deduzione, la prima gogna mediatica. Camilla Cederna, giornalista e dirigente politico del Manifesto, organo di stampa dell’estrema sinistra, diede alle stampe un libro nel quale accusò duramente il Capo dello Stato. Ebbene, fu un successo editoriale per copie vendute. In un clima di caccia alle streghe Enrico Berlinguer e tutto lo schieramento di sinistra, finanche i Radicali, chiesero un passo indietro all’inquilino del Colle, il quale, alla fine, si dimise proprio per allontanare dal Quirinale ogni sospetto. Giovanni Leone può essere considerato la prima illustre vittima della macchina del fango, del sistema mediatico giudiziario. Alla fine lui fu assolto, come anche Luigi Gui, ministro democristiano della difesa, che Aldo Moro difese in Parlamento proferendo la frase già citata. Sono vicende politiche lontane maturate nel tempo in cui la politica non si era ancora evirata cedendo le salvaguardie costituzionali per dimostrarsi al di sopra di ogni sospetto. Era il tempo in cui le due Camere si potevano e si sapevano difendere dalle ingerenze di un potere giudiziario che avrebbe, nel corso degli anni, approfittato delle proprie salvaguardie costituzionali, svolgendo ruoli vicarianti e sostitutivi della politica. Quei leader sapevano che ogni squilibrio costituzionale avrebbe fatto saltare il delicato equilibrio tra i poteri dello Stato fino a trasformare il potere giudiziario in una corrente politica che si autogestisce secondo propri interessi non disdegnando i metodi che tanto depreca e persegue nelle aule dei tribunali.  Le vicende, a partire dall’affaire Palamara fino alla recente della lobby di piazza Ungheria ed i maneggi dei fascicoli riservati in CSM, sono forse l’epilogo di quel percorso di imbarbarimento della politica e delle istituzioni repubblicane. Una politica con una lunga coda di paglia certamente, piena di affaristi negli ultimi anni della prima repubblica, piena di semianalfabeti nell’ultima parte della seconda, ha pagato comunque un prezzo che è andato ben oltre i propri errori. Oggi nessuno avrebbe il coraggio e lo spessore politico e culturale che Aldo Moro mostrò nella difesa degli uomini della D.C. dalla montatura giornalistica e dal connubio tra una parte della politica e la magistratura inquirente e galoppante. Di Aldo Moro molto fu detto come uomo politico e dirigente di partito ma ancora molto resta da dire per quanto riguarda la difesa che fece della politica e delle sue ragioni, della forza che le proviene dal voto democratico del popolo sovrano e che la pone sopra le altre istituzioni. Negli anni che vennero, con la progressiva ritirata delle ragioni e del valore della politica, con lo scadimento dei partiti e l’avanzata delle mezze calzette ai loro vertici, la magistratura è riuscita finanche a modificare le proposte e gli esiti delle elezioni. L’orda giustizialista e manettara che ha messo nelle mani dei pubblici ministeri tutto il potere, anche quello che viene dal voto, dovrà cospargersi il capo di cenere. Un gesto, quello penitenziale, non certo per dar vita ad una stagione di lassismo morale quanto per rivalutare ruoli e prerogative costituzionali. In questa nazione ancora molti sentono il bisogno di una rinascita della politica, una catarsi culturale e fattuale senza che questa sia affare preventivo di moralisti e di magistrati. Insomma, innanzitutto c’è bisogno di gente capace, acculturata, appassionata a valori e modelli sociali, prima che banalmente onesta. Coloro che dicono di avere le mani pulite ma non riescono a tirarle fuori dalle tasche, per costruire il bene comune, sono da considerarsi inutili oltre che pericolosi. Anche questa fu la lezione dei grandi politici come Moro. Una lezione che oggi purtroppo sembra perduta.

*già parlamentare