SCARIO SHORT FILM FEST “SPRING EDITION”

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di Mariantonietta Losanno 

Da lunedì 17 maggio, alle ore 21:00, sarà possibile vedere in streaming l’edizione primaverile dello Scario Film Fest. Con la direzione artistica di Elio Di Pace, regista campano, verranno mostrati altri cinque cortometraggi internazionali, due dei quali verranno scelti per l’edizione conclusiva che si terrà a Scario; ci saranno, inoltre, interventi del direttore artistico e degli artisti selezionati, che risponderanno ad alcune domande riguardanti la loro idea di arte e l’interpretazione del loro processo creativo. 

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Il primo corto è “A float” di Ève-Chems de Brouwer. 

Garance decide di trascorrere le vacanze estive insieme a sua sorella e ai suoi due figli nel Meditteraneo. Lì incontra un uomo che conosceva una volta. 

Il tema del corto è “sentire il proprio corpo”, letteralmente. Le inquadrature lente si soffermano sui dettagli, spesso impercettibili, di una giovane donna che ha bisogno di riappropriarsi di se stessa. Come riuscire a vivere in un corpo che non sembra appartenerci? Come riuscire ad amarlo, ad essere “gentili”, a continuare a volergli bene? Sta tutto nel prendere consapevolezza che bisogna prendersi cura anche dei dolori e delle insicurezze. Imparare a volersi bene, accettando anche che la sofferenza rimanga sempre viva a ricordare chi siamo e chi vogliamo essere. Non per gli altri: la relazione più importante è quella con se stessi ed è anche la base sincera per riuscire ad averne altre sane, equilibrate, profonde e sempre in evoluzione. Garance evita il contatto con gli altri, si sente libera solo stando da sola, nascondendosi per paura o imbarazzo. Riesce a “sentirsi” solo di notte, in mare, dove nessuno può vederla o toccarla. Arriva un momento in cui, però, bisogna liberarsi ed aprirsi, accettando anche il rischio di un rifiuto. Garance si “confessa”, riprendendo il centro di se stessa. Si ferma e si guarda intorno, prendendo coscienza di doversi amare – e perdonare qualora non fosse possibile – riprendendo a camminare al proprio ritmo: “tenendosi stretta”. Il finale è la massima espressione di libertà. 

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Si prosegue con “Ballast”, di Daniel Howlind. 

Ci troviamo ad una riunione di famiglia. Un bambino solo ed annoiato cerca attenzione senza riuscire ad ottenerla. Cerca disperatamente qualcuno che lo guardi, che si accorga di lui. È come se fosse invisibile: nessuno fa caso alla sua presenza persino se prova a creare un contatto. Non è solitudine, ma una emarginazione che può portare a conseguenze disastrose. Come è possibile che un bambino stia sempre solo? Come è possibile che il vetro che lo separa dalla sua famiglia somigli ad un muro? Nessuno interagisce con lui, nessuno si accorge del suo bisogno di essere guardato e ascoltato. Nessuna parola, solo suoni (a volte disturbanti): “Ballast” è un silenzioso ma violento dramma familiare, in cui l’attenzione è focalizzata sullo sguardo perso e vuoto del bambino che arriva ad assumere comportamenti distruttivi per ottenere considerazione, ma nemmeno in quel caso ci riesce. Come giudicare? Come additare la colpa? Sono i genitori che ignorandolo lo hanno spinto a quegli atteggiamenti o lui stesso per non aver dato loro ascolto? Impossibile prendere posizione. Quello che è incontestabile è che il silenzio si avverte con una tale durezza da restare impresso nella mente. 

Il terzo corto è “Barrier” di Niels Bourgonje. 

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Settembre 1944. Due soldati trovano un ragazzo trascinato dal mare sulla spiaggia olandese. È infreddolito, spaventato, non riesce neppure ad alzare le mani quando viene minacciato. Ci si può fidare? È solo un ragazzo che ha nuotato nell’acqua fredda per otto ore. È solo un essere umano. I suoni ovattati fanno da cornice ad un corto che esprime una diffidenza che si trasforma in umanità.

Il penultimo corto è “Sinking Ships”, di Andreas Kessler. 

Sara vive una relazione malata piena di controllo e violenza. Il suo compagno la riprende, la ferisce, le dà ordini, la umilia. È aggressivo, urla, la mortifica costantemente come donna, come madre e come compagna. Durante una vacanza si presenta improvvisamente l’occasione di separarsi e Sara vorrebbe coglierla al volo. Il terrore nei suoi occhi è così reale da risultare insostenibile: assistere ad una violenza – fisica e psicologica – simile fa così male che per tutta la durata del corto ci si augura che la sofferenza cessi e che il suo compagno esca (letteralmente) di scena. Lo spettatore vorrebbe tenderle una mano, salvarla da quella situazione lasciando affondare la barca su cui “viaggiava prima” con tutto il suo equipaggio. 

L’ultimo corto in gara è “I’m not telling you anything, just sayin”, di Sanja Milardović. Zrinka arriva nella sua città natale per alcuni giorni per fare location scouting (fase di ricerca e selezione della location per delle foto) e si trattiene a casa di sua madre Tanja. Tra le due il rapporto è teso: Zrinka è molto aggressiva, Tanja più fragile, ma entrambe sembrano provare una forte rabbia repressa. Ci sono poi i sensi di colpa a cui seguono delle “sedute di autoanalisi” per capire in che modo si è procurato del dolore all’altro e in che modo è possibile rimediare. C’è sempre la possibilità di riconciliarsi, di abbracciarsi e rassicurarsi. Perché sentirsi dire che “andrà tutto bene” tra le braccia della propria madre avrà sempre il potere di calmare qualsiasi sofferenza interiore.